Festa del 25 aprile, 70 anni della Resistenza nei ricordi delle persone comuni
La festa del 25 aprile, con tutto l’insieme dei ricordi legati alla resistenza di cui si correda, è sempre occasione, allo stesso tempo, di celebrazioni ufficiali che rischiano di sfociare nell’apologia o di critiche eccessivamente dure che non riconoscono l’importanza di questo momento della storia italiana.
Ne abbiamo parlato con Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera e autore di Possa il mio sangue servire – Uomini e donne della Resistenza, pubblicato da Rizzoli. Con questo lavoro, che riporta storie vere di quotidiano eroismo, Cazzullo conduce il lettore dritto al cuore della Resistenza, troppo spesso liquidata solo come una “cosa di sinistra, fazzoletto rosso e Bella ciao” o riletta attraverso le maglie fitte della coltre revisionista. Ma, come spesso accade, la verità sta nel mezzo e non negli estremi di chi tira la coperta da una parte o dall’altra a proprio uso e consumo.
Cazzullo restituisce la dignità di Storia alle e agli uomini che hanno contribuito alla Liberazione dal Nazifascismo: non solo partigiani, certo, anche casalinghe, contadine, operai, sacerdoti, carabinieri sui quali si è abbattuta un’inaudita e gratuita crudeltà. Queste storie meritano di essere raccontate per chi c’era, per chi le ha sentite solo raccontate e per chi non le hai mai sentite nemmeno raccontare, come i ragazzi delle giovani generazioni (Aldo Cazzullo dedica il libro al figlio diciottenne) e che hanno diritto a formarsi e a crescere con queste consapevolezze.
Oggi si celebra non solo il 25 aprile, ma anche i 70 anni della Resistenza italiana. Come ha iniziato a lavorare a questo progetto?
Nel 2010 ho pubblicato un libro che si chiama Viva l’Italia, era un libro in difesa del Risorgimento, della Resistenza e dell’Unità nazionale – erano i tempi in cui la Lega era secessionista. Il libro ha venduto più di 100mila copie ed è stato portato anche in teatro con più di cinquanta rappresentazioni, con un successo inatteso anche per me. Ora, sull’onda di questo impatto emotivo molto forte, mi sono interessato alla Resistenza, che in questi anni è stata sotto attacco: per quarant’anni è stata considerata una cosa solo di sinistra, fazzoletti rossi e “Bella ciao”, mentre negli ultimi dieci anni è quasi parso che i partigiani fossero cattivi e i ragazzi della Repubblica di Salò, in una definizione assolutoria, le vittime. Sono stati gli anni del sangue dei vinti. I vinti sono, in realtà, tali solo dopo il 25 aprile perché fino a quel momento hanno avuto il coltello dalla parte del manico e lo usano, poiché Salò ha dalla sua la formidabile macchina bellica tedesca, mentre i vincitori venivano braccati, torturati, impiccati, esposti nella pubblica piazza con dei cartelli al collo. Chi ha combattuto contro i nazisti ha fatto la scelta giusta, chi ha combattuto accanto ai nazisti ha fatto la scelta sbagliata. È un’ovvietà, ma in Italia questa ovvietà è stata spesso messa in discussione. Ho raccontato questa cosa che mi sta molto a cuore, non parlando dei partiti, dei leader o delle ideologie, ma delle persone comuni che si trovano di fronte alla scelta di andare a Salò o di andare in montagna. Anche gli oltre 600mila militari internati nei lager nazisti hanno fatto la Resistenza perché hanno preferito gli stenti alla Repubblica di Salò per combattere contro altri italiani. Hanno fatto la Resistenza anche tantissime donne, operai in sciopero, sacerdoti, suore. Tutto ciò mi stava molto a cuore e ho cominciato a raccogliere materiale, documenti, lettere e volevo intitolare il libro L’Italia che resiste. Solo che poi è capitato che mi sono imbattuto in una storia molto bella del mio paese (Alba, ndr), dai contorni leggendari che andava necessariamente raccontata in un romanzo, non in un saggio, pubblicata nel 2011 per Mondadori La mia anima è ovunque tu sia. Nel frattempo ho scritto altri libri, ma l’idea del lavoro sulla Resistenza rimaneva nella mia mente e ho continuato ad accumulare nel mio archivio materiale e libri, anche di storia locale. Dopo il successo del libro de La Guerra dei nostri nonni (Mondadori) – che aveva venduto 200mila copie – il mio dir. Ferruccio De Bortoli mi ha detto «Secondo me, adesso, per i 70 anni, dovresti fare il libro sulla resistenza di cui parli da tanto tempo». Il libro è il frutto di questo lavoro, adesso è già in ristampa dopo pochi giorni dall’uscita e sono molto contento.
Chi sono i destinatari di questo libro? Gli adolescenti, che hanno pochi contatti con quella realtà, visto che i testimoni diretti sono sempre meno, o gli adulti che si sono fatti trascinare dall’indifferenza…
Il mio libro si rivolge a tutti. Chi c’era probabilmente troverà conferma, chi non c’era potrà rendersi conto di quello che hanno fatto generazioni di donne e di uomini che dimostrarono coraggio, attaccamento all’Italia, senso della comunità, coraggio fisico per resistere alle torture e alla barbarie. Mi sono spesso chiesto come facessero a resistere alle torture fisiche, oggi molti non resistono alla tentazione della corruzione! È impressionante leggere le testimonianze di coloro che raccontano di non aver parlato sotto tortura, di non aver dato la soddisfazione del pianto, dell’urlo ai torturatori. Non posso che provare infinita ammirazione per queste persone, a volte ho lacrimato mentre scrivevo, ammetto che l’impatto emotivo del libro è molto forte. Per questo mi rivolgo a tutti, perché il vero problema della Resistenza oggi non è chi la odia, chi la critica o la denigra, ma chi è indifferente a questa pagina di storia. Tanti giovani non sanno cos’è perché nessuno ne ha parlato con loro. Ad esempio, non hanno mai sentito parlare di Boves, di Sant’Anna di Stazzema, di Civitella Val di Chiana, dove si consumarono le stragi nazifasciste. È importante raccontare queste storie perché i nostri giovani siano orgogliosi di questa pagina della nostra Storia, visti i tanti cattivi esempi che diamo loro ogni giorno. Queste persone avevano ideali, fede, coraggio e tanta fiducia nel futuro, ed è una cosa, quest’ultima, che mi ha sempre colpito molto. In molte lettere ho trovato frasi del tipo «Io muoio, ma ce la faremo, sono sicuro che costruiremo un Paese migliore». Chi ha figli, poi, si raccomanda che studino perché lo studio è un mezzo di elevazione sociale ed è l’unico modo per costruire un’Italia più giusta. Spero di riuscire a trasmettere questi messaggi alle giovani generazioni e non a caso ho dedicato questo libro a mio figlio Francesco, che ha 18 anni, e ai suoi coetanei, perché sappiano qual è stato il prezzo della loro libertà.
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Riusciremo un giorno a parlare di Resistenza da un punto di vista europeo e non solo con l’occhio parziale del fascismo e dell’antifascismo?
La Resistenza europea fu Resistenza al fascismo. È stato questo un fenomeno nato in Italia, ma esportato in Europa, anche se il Nazismo ha delle caratteristiche diverse e delle responsabilità ancora più grandi. In effetti, si tratta di memorie molto separate, naturalmente si tratta di vicende molto diverse, la Francia ha avuto la sua, così come l’Italia o la Jugoslavia per esempio. Anche Einaudi tempo fa pubblicò un libro con le lettere dei condannati a morte della Resistenza europea. Nel momento in cui si cerca di fare faticosamente l’Europa, bisogna avere una memoria comune, non condivisa perché non credo in questo genere di memoria, ognuno ha la sua. Mettere insieme delle memorie comuni, convergenti, questo sì credo che sia importante e opportuno da ritrovare nelle varie resistenze.
Se si pensa a Boves, le nostre menti vanno alla politica del terrore, obiettivi: colpire i ribelli, uccidere civili e bruciare centinaia di case. Anche il parroco fu arso vivo, rinunciando così al rispetto verso la Chiesa. La crudeltà come arma e lezione. È possibile dimenticare la crudeltà in tempo di pace? Come si può elaborare la crudeltà che l’uomo dimostra di avere, quasi come una risorsa insospettabile?
Boves è la prima strage e lì si capisce subito che i nazisti faranno subito una guerra di terrore e di sterminio, anche se hanno cercato di dare la colpa ai partigiani persino su Boves. La crudeltà è la dimostrazione che non ci sarà pietà per nessuno, neanche per i civili. Le stragi servono, dal punto di vista tedesco non solo a ripulire le retrovie, ma anche a terrorizzare la popolazione civile: si vede il mostro creato dalla dottrina nazifascista. Crudeltà, sadismo, disprezzo della vita altrui, soprattutto della vita delle donne. Si accanirono su donne, sacerdoti e carabinieri. Le prime perché dovevano restare a casa, nella loro mentalità. Vedersele di fronte in armi non era assolutamente concepibile. Con i carabinieri si accanirono, invece, strappando loro gli alamari, anzi li costringevano a strapparsi gli alamari prima di essere fucilati e c’è un carabiniere che stende con un pugno un tedesco che comanda il plotone di esecuzione. Ci sono storie molto commoventi o molto dignitose. Non dimentichiamo, infine, gli oltre 300 sacerdoti fucilati dai nazifascisti.
Non ci si poteva fidare di nessuno, o quasi, perché le spie erano ovunque. La riservatezza era un valore fondamentale. Ha trovato nelle storie della Resistenza esempi di riservatezza che hanno salvato molte vite?
C’erano tanti reti sotterranee, molto spesso gestite da sacerdoti e partigiani insieme e sono tante le storie a lieto fine, grazie agli sforzi e alla segretezza, per nascondere persone o per muovere denari necessari per finanziare la Resistenza. Ci furono tanti modi di dire di no ai nazifascisti, non necessariamente con le armi in pugno, e dobbiamo ricordarli come meritano. Citiamo Gino Bartali che faceva da staffetta in bici da Firenze verso Assisi dove c’era la madre superiora del convento di clausura delle Clarisse, portando i documenti per gli ebrei nascosti nella canna della bicicletta, le suore che a Firenze che salvano 300 ebrei. Sono storie bellissime di cui si sa veramente poco.
70 anni della nostra Resistenza, e ci auguriamo, insieme a Cazzullo, che la memoria della nostra Storia diventi anche recupero delle storie di chi, da persona comune, ha partecipato alle azioni di liberazione dell'Italia, perché il 25 aprile diventi una festa italiana nel senso più ampio del termine.
Per le illustrazioni n. 3 e n. 4, si ringrazia l'autore Alain Cancilleri.
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