Ferzan Ozpetek: in “Sei la mia vita” la stessa passione di Hikmet e Szymborska
In occasione della manifestazione Bookcity 2015, sabato 24 ottobre al teatro Elfo Puccini di Milano abbiamo incontrato il famosissimo regista e scrittore di origini turche Ferzan Ozpetek. Un autore che sgorga passione da ogni pagina, come dimostra il suo nuovo libro Sei tutta la mia vita.
In Italia è noto al pubblico per essere il regista di film come Le fate ignoranti, Saturno contro e La finestra di fronte; tre film che per sensibilità, trama ed emozioni hanno conquistato il favore del pubblico e della critica cinematografica.
Ogni tanto, tuttavia, preferisce esprimere se stesso anche nella scrittura. Così due anni fa è uscito Rosso Istanbul e quest’anno Sei tutta la mai vita, editi entrambi da Mondadori.
Romanzo autobiografico o epistolare? Resoconto personale o invenzione verisimile? Difficile definire il genere di questo libro che, da qualunque esigenza sia nato, immette nel personaggio narrativo gran parte della personalità e dei ricordi del regista turco.
Lo indica il titolo, ma di fatto lo si comprende subito: in queste pagine si snocciola una meravigliosa storia d’amore. È l’amore che lega il protagonista, palese alter ego di Ozpetek, a Simone, il suo attuale compagno, l’uomo che gli ha cambiato la vita e che ama profondamente.
Chiunque si aspetti una semplice vicenda amorosa raccontata con un andamento lineare, si sbaglierebbe sin dall’inizio. Scritto in prima persona, forse per rendere più vivida la memoria, che lui stesso definisce «una cosa strana», va in scena un monologo, meglio definibile un dialogo a una sola dimensione, dove Ferzan parla al suo amato, che non interagisce mai direttamente con lui, nel corso di un lungo viaggio verso una meta di montagna, un paesaggio ameno, dove vivere di tenerezze e affetto, nulla più.
L’itinerario è l’occasione per rivivere il passato, gli amici abbandonati (la famosa compagnia delle Mummie), le feste e i traslochi, la carriera agli esordi e gli ultimi anni. Il lettore scava insieme alla voce guida nel vissuto degli anni Settanta e Ottanta, quelli dell’esplosivo boom dell’erotismo, del femminismo e della vita trasgressiva. Ambienti di Roma irriconoscibili rispetto a oggi, vita in comune e grandi pranzi o cene nell’appartamento di via Ostiense in una capitale in fermento, ricca di vita e di costumi licenziosi, pur spaventata dalla diffusione del virus HIV.
In un ambiente così fremente, fra film e passerelle, il regista conosce Simone, l’uomo con cui condividerà quindici anni della sua vita. L’autore, da buon regista, sceglie una presa narrativa diretta, e il dialogo con l’altro, il TU narrato, che non assume mai tratti chiari, è tutto basato sul bisogno di sfogarsi, di cogliere con piacere quegli attimi scomparsi che il tempo gli ha rubato. Se talvolta l’ego del protagonista travolge la materia con la sua passionalità, altre volte la memoria è il canale per raccontare storie di vita altrui: momenti delicati, dolorosi, felici, amori omosessuali, uomini o donne solitarie, vite come quella di Vera che da uomo si trasforma in donna e si muta in un personaggio scomodo, ma fascinoso.
Come abbiamo anticipato è il dio Amore a filtrare ogni momento di questo libro e si sente in tutto il in tutto l’intreccio: nelle riflessioni personali, nelle storie amorose, nei dialoghi e nelle poesie di Nazim Hikmet e in quelle della polacca Szymborska. C’è l’arte di raccontare la passione. A tal punto che ogni cosa va consacrata a quel sentimento ineguagliabile. Ma è un concetto che vale per ogni aspetto della vita: arte, scrittura, cinema…?
Nel libro sono partito dall’idea che mi comporto sempre così e lo stesso fa il mio personaggio. Avevamo scritto così Saturno contro e da quel momento ho compreso che, se un giorno perdessi Simone, io non vorrei più vivere e dividerei fra i miei amici le mie cose. Mi terrorizza l’idea di perdita della memoria, perché è la nostra coscienza, da lei dipende il nostro modo di comportarci. Oggi, la maggior parte delle persone non ha memoria. Ho scritto questo libro di getto e con serietà al tempo stesso, divertendomi e con grande passione. Adesso mi sto dedicando alla messa in scena de La Traviata e lavorerò allo stesso identico modo.
Sei la mia vita racconta anche storie che a un lettore accorto e altrettanto appassionato dei suoi film richiamano alla memoria situazioni che si ripetono, figure emblematiche che si ripropongono. Sono tutte storie vere?
Sì, alcune sono ispirate alla realtà, ma modificate. Le persone incontrate mi hanno dato molto, nel senso di materiale per scrivere e girare film come Vera la trans che ha avuto il coraggio di rinnegare la sua parte maschile e, fra le altre persone importanti, citerei anche Elio Petri.
Colpisce molto la storia d’amore travagliata fra Giacomo e Giuseppe, le loro incomprensioni e la dura lezione che quest’ultimo apprende dalla vita, quando l’altro se ne va per sempre. Un tragico epilogo che entra nell’anima del lettore coinvolto…
Ho trovato Giuseppe molto malinconico, lui reclamava sempre Giacomo, poi ha cercato di sfuggire al pentimento e l’ha trovato dopo tanto tempo. Poi ha scoperto che è morto.
Questo è un diario autobiografico che nasce da un quid che genera fascino e attesa. Cosa non si sa e cosa si scopre leggendolo?
Nei miei due libri ho raccontato di me e della mia vita, ma sempre fino a un certo punto, perché si perderebbe il gusto a rivelare tutto il mio vissuto. In tal modo, si scopre il valore delle cose, proprio mentre le racconti (ad esempio, Vera è stato un personaggio storico del palazzo, perché quando la incontravo, mi creava imbarazzo di fronte agli altri. Era un personaggio scomodo, mentre s’è rilevato importante). Il fatto di mettere su carta delle situazioni o delle persone è un po’ come richiamarle alla memoria ed è molto interessante; facendo un altro esempio ho ripercorso le estati giovanili del Buco (un lido sulla riva ostiense a Roma molto frequentato negli anni Settanta e Ottanta, ndr). Addirittura non sono sicuro che alcune cose realmente fossero andata come le ho descritte. La memoria è una cosa strana. Quel senso rimane sempre…
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La caratteristica, che illumina le scene del libro come se fossero un film, è la capacità di rendere teatrale il sentimento, colorandolo, esprimendolo in tutto il suo potenziale, sia quando sembra essere demoralizzante sia quando rappresenta la felicità assoluta...
Quando ho conosciuto Simone, lui non mi ha riconosciuto. Non è facile fidanzarsi o frequentare un attore o un’attrice. Perché c’è un EGO strano, perché è difficile stare vicino a una persona del mondo cinematografico. L’elemento che viene meno è l’autenticità. Nel libro stesso, il protagonista con una scelta singolare, ossia quella di abbandonare tutto, compie un gesto d’amore per riscoprire la naturalezza del sentimento. Penso, per quel che riguarda questa situazione, alla relazione fra Giacomo e Giuseppe, di cui parlavamo poco prima, a come forse siano mancati momenti di puro affetto. Attenzione, però, spesso l’autenticità, se diventa trasparenza, toglie la felicità nella coppia.
Non soltanto i personaggi, come già evidenziato, ma le situazioni sono figlie del passato cinematografico e questo aspetto è evidentissimo in moltissimi dei protagonisti di questo libro. Che differenza c’è nel fare il regista degli altri e invece dirigere se stessi, per controllare la propria penna? Insomma è più difficile passare dal film al libro o viceversa?
Sono due cose diverse. Nel cinema non è mai come nel libro; quando scrivi un libro, puoi far riferimento ai tuoi revisori, mentre nel film ci sono sessanta/settanta persone sul set. Voglio sempre che si dica “è il nostro film”, nell’accezione più ampia. C’è più esposizione fin dall’inizio, mentre nel libro l’esposizione arriva dopo. Ho raccontato della mia vita nei film e poi stranamente l’ho rifatto nel libro, quasi un circolo biografico. Sempre quello che vivo ed è intorno a me è buttato nel calderone di un film o di un libro. Passaggio dalla vita al film, dal film al libro attraverso la vita. Sono tutte storie vere!
Vita in comune, serate artistiche e microcosmi dove ogni persona incontrata ha una propria storia, Sei tutta la mia vita riporta in auge l’atmosfera libera degli anni Settanta.
Pensate se per mezz’ora non ci fossero internet o il telefonino. Ti sentiresti un pesce fuor d’acqua! Sembriamo collegati al mondo grazie al cellulare. Negli anni Settanta la gente s’incontrava per strada, ed eri costretto a creare un rapporto diretto, la cui sensazione è diversa. Ad esempio, il sacrificio di cercare la persona, quando le si dava il numero di casa.
Nel testo non compare mai l’elemento social, ma Ferzan Ozpetek cosa pensa dei nostri social network?
Facebook non lo uso, però amo molto Twitter e ho amici che si dilettano su Tinder.
Di solito in Italia la lettura e la letteratura vengono considerate con una legittimità culturale maggiore rispetto al film, al videogioco o altri tipi di arte. Dal punto di vista di chi fa i film, lei sente questa marginalità delle altre arti? E quali differenti urgenze di comunicazione ci sono per il regista o lo scrittore, per riuscire a conquistare la massa o detto altrimenti quali corde del pubblico bisogna toccare per far emergere alcuni settori della vita culturale da noi tralasciati?
Sì, questa cosa è vera. Anzi aggiungerei l’opera ai generi posti in secondo piano. Quando dico di aver lavorato a un’opera come La Traviata mi guardano, cambiano atteggiamento e sembra che io sia molto più importante. Non è così, l’opera è stata la cosa più popolare al mondo e ti dà maggiore sensibilità. Il libro non deve essere considerato solo con un aspetto eccessivamente serio, piuttosto va messo in evidenza anche l'aspetto ludico. Solo così funziona! Io dico sempre che, se leggi un libro, entri in un mondo inventato che, però, può portare a un positivo senso di assuefazione. Io stesso, a undici anni, lessi autori più maturi della mia età e i miei famigliari rimasero sbigottiti. Ho letto libri molto forti sull’omosessualità; ho letto la letteratura femminile. Non c’era televisione, internet o videogiochi e non mi piaceva il calcio. Non bisogna dare un tono a tutto, l’opera per esempio non va capita, ma bisogna lasciarsi andare. Oggi l’atmosfera è un po’ spocchiosa intorno al concetto libro.
Ferzan Ozpetek è anche scrittore turco oltre che italiano, che differenza c’è fra narrare la propria vita in italiano e successivamente trasporre il racconto in turco?
Ho riletto il mio libro tradotto in turco, mi sono sentito male. Un conto è una lingua che ti rimane leggermente estranea, un altro è leggere nella propria lingua madre: la sensazione si fa strana.
Saprebbe dirmi quali sono i suoi scrittori di riferimento, quelli da cui prende spunto magari dal punto di vista stilistico? Ho notato per esempio che non le sono indifferenti il poeta Nazim Hikmet e la poetessa Szymborska.
Nazim Hikmet è stato un sognatore, ribelle; lui usa frasi meravigliose, è stato un personaggio con una storia particolare. È un carattere forte, ha sempre cercato la giustizia e gli uomini. S’è messo contro Stalin, l’ha criticato ed è stato messo alla gogna come scomodo. Ti parla della sua vita privata e lo fa con una commozione impressionante. Ha un’umanità forte! È un grande passionale, si dà a tutti in modo meraviglioso. La scelta non è casuale ed è un grande poeta.
Sei tutta la mia vita è un diario autobiografico dove un IO felice e sereno dialoga, pieno d’amore, con il suo amato (un TU esistente, ma mai attivo, quello che si potrebbe definire un attore non protagonista); uno stile a tratti epistolare, in una pagina piena del pathos di Ozpetek, ma soprattutto dell’amore che ha saputo trasmettere al suo innamorato e al pubblico di lettori che lo ama come romanziere e come regista.
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