“Favole” di Andrea Pazienza
Raccontare per i bambini, raccontare per i ragazzi: molti autori, prima o poi, convergono qui e si fanno attirare dalla fascinazione del mondo dei piccoli. I motivi possono essere tanti e bisognerebbe chiederne ragione ai diretti interessati, quando possibile; di certo, l’infanzia rappresenta, secondo una mitologia abbastanza semplice, un periodo di purezza, d’ingenuità e semplicità; ma anche il momento della scoperta, quello in cui tutto era ancora possibile e l’impatto con la realtà non era presente e non era, neppure, preventivato.
Eccoci, allora, con le Favole di Andrea Pazienza (Gallucci editore, 2013) tra le mani.
Si tratta di un volume che contiene due storie a fumetti, precedute da due brevi introduzioni, di Vincenzo Mollica e di Marina Comandini Pazienza, moglie dell’artista.
Fatte salve le considerazioni di apertura, può apparire comunque bizzarro, per chi lo conosca almeno un po’, che Pazienza si sia dedicato a creare storie per bambini e a illustrarle: spesso il suo mondo immaginativo è costellato da disegni anche duri, con espliciti riferimenti al sesso, alla realtà quotidiana, alle piccole cattiverie che nessuno dice ma tutti pensano, nel tentativo di descrivere il mondo che lo circondava. Non sembra di trovare tenerezza o lirismo; ma è necessario guardare meglio. Il mondo degli affetti è pure presente, ad esempio in una poesia del 1966:
Dedicata alla mamma
Dormi, dormi, dormi
Dormi almeno tu che puoi dormire.
Io penso a te, tu non pensare a me.
Tu pensa ad un cavallino d’argento,
tu pensa ad un trenino
che con i fari accesi ti diverte,
tu pensa ad una mano che t’accarezza.
Io penso a te,
tu non pensare a me.
A fermarsi qui, si sarebbe detto poco: perché è forse nel disegno che si trovano le radici più profonde della vicinanza al mondo, dunque non perduto, del bambino. Il tratto del disegno, infatti, si avvicina talvolta nei suoi fumetti a quello dei cartoni, in una stilizzazione e una rotondità delle forme. I visi spesso escono dal tratto con “deformazioni” che li rendono, per l’appunto, più simili al mondo dell’incanto. Ecco, dunque, l’approdo alla favola: in questi fumetti, il colore predomina sulla pagina, attraverso volumi molto solidi e personaggi che sono protagonisti della scena. Colpisce, anche, la cura dei dialoghi, che godono di un ritmo serrato, molto strutturato. Soprattutto in A che serve un Perepè?, il gioco di parole è essenziale nella costruzione della storia: si parla di amicizia, di accettazione della diversità, di lotta contro l’ignoranza attraverso la vivacità dirompente non solo del colore ma anche della parola, attraverso cui i tre protagonisti (una margherita, un cavallo e un Perepè) si prendono gioco del Gran Maestro dei Grigi, ossia una forza esterna e negativa che vorrebbe impedire la gioia del gruppo di amici. Così anche nella seconda favola, compare un misterioso personaggio di un mondo esterno: il Grande Inventore di Tutto il Mondo, che aiuta il leone Pancrazio a risolvere i suoi problemi con la dieta. In questo caso, il colore bianco, pure staccato rispetto alla tavolozza principale, esprime la valenza metafisica del personaggio e la sua positività.
Una bella scoperta, insomma, che vale la pena leggere e gustarsi. Se ai bambini piaceranno i colori, i personaggi e il ritmo incalzante della storia, i grandi non mancheranno di apprezzare la forza con cui queste tavole, che hanno più di venticinque anni, possono parlare e spiegare valori importanti nel modo più semplice possibile.
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