Fatta l’Unione bisogna fare gli europei
Due fazioni decisamente contrapposte e ostili. Da un lato gli europeisti convinti, di tutto, incapaci anche solo di osservare con maggiore criticità le scelte e le decisioni dell'europarlamento. Dall'altro gli euroscettici, su tutto, convinti che la soluzione a gran parte dei problemi attuali sia un ritorno perentorio a serrati nazionalismi.
La ragione, questa volta, forse non sta neanche nel mezzo. Perché le politiche o si fanno bene oppure è meglio non farle proprio. Soprattutto quando vanno a incidere su cittadini appartenenti a realtà economiche e sociali differenti. Perché l'Unione europea non ha automaticamente creato cittadini europei. Perché i cittadini europei forse ancora non si sono mai visti. Ognuno si sente tuttora italiano, inglese, francese, tedesco… solamente in seconda istanza, forse, ci si ricorda di essere anche cittadini europei.
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Sempre attribuito a Massimo d'Azeglio ma in realtà formulato da Ferdinando Martini nel 1896, secondo quanto si legge nell'enciclopedia Treccani, la frase che meglio di tanti discorsi sintetizza la situazione del nostro Paese all'indomani dell'unificazione: «Fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani». Parafrasandolo si adatta benissimo anche all'Unione europea.
Si è poi riusciti a fare gli italiani? In realtà non molto. Lo stesso Fubini sembra essere ancora molto lontano dal considerare gli italiani un popolo unico laddove, parlando di Sanità, sottolinea come quella italiana sia tra le migliori e per trovare forti criticità bisogna arrivare «alle regioni più arretrate del Mezzogiorno».
Si riuscirà a fare gli europei?
Federico Fubini, nel suo provocatorio saggio Per amor proprio. Perché l'Italia deve smettere di odiare l'Europa edito da Longanesi, esorta gli italiani a superare l'attuale crisi identitaria e lottare per vedere riconosciuti, finalmente, i propri diritti di cittadini italiani ed europei, ma di farlo dopo aver liberato l'Europa dai sovranisti e dagli «europeisti di professione». Analizzando i dati delle recenti elezioni europee sembra che i cittadini, italiani o europei che siano, siano intenzionati a seguire tutt'altra via.
Fubini analizza le fasi attraversate dagli italiani nei vari processi di creazione dell'Unione europea. Dalla speranza di aver trovato finalmente l'ancora di salvezza per i nostri conti pubblici alla globalizzazione, dalla moneta unica alla crisi economica del 2008. Ed è proprio su quest'aspetto che si sofferma l'autore, indicandolo come l'origine del malcontento, dovuto soprattutto al tentato processo di “germanizzazione” che dall'Europa hanno ripetutamente suggerito ai Paesi, come l'Italia, che non riuscivano a tenere il passo. Alle economie deboli indicate dalla potenziale ancora di salvezza come le zavorre dell'economia dell'intera Unione. Da ciò si origina la crisi d'identità degli italiani, compresi quelli nelle istituzioni europee, che cercano di far dimenticare con ogni mezzo l'onta di appartenere a uno di questi Paesi-zavorra.
Leggendo il saggio di Fubini si denota con chiarezza quanto l'autore sia fermo nella volontà di considerare l'Unione europea una svolta decisamente positiva e necessaria, nonostante tutto. Afferma di essere stato un europeista convinto fin dalle origini, che ha seguito come corrispondente improvvisato alle prime armi. Ammette le criticità ma permane nelle sue parole la volontà di restare attaccato all'ancora di salvezza, ritenuta unica soluzione possibile per mantenere a galla l'Italia nell'era della globalizzazione, delle superpotenze mondiali e dell'economia finanziaria planetaria.
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Per Fubini tutto ciò è possibile, eliminando le posizioni estremiste di entrambe le fazioni, euroscettici ed europeisti di professione, facendo valere i propri diritti e mantenendo alto il livello di identità nazionale anche in Europa. Ma ciò vale anche per i cittadini delle «regioni più arretrate del Mezzogiorno»?
Per la prima foto, copyright: Jakob Braun su Unsplash.
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