Fantasy e vin brulé – “The Republic of Thieves” di Scott Lynch
Benvenuti a questo secondo appuntamento alcolico con Fantasy e vin brulé. Lo scorso mese nella puntata d’esordio è stato il turno del buon Vlad Sandrini aprire le danze con l’ottimo God Breaker di Luca Tarenzi. Io raccolgo il testimone e mi sposto, però, fuori dai confini nazionali per spendere due parole sul terzo capitolo di una delle saghe fantasy più appassionanti che gli dèi hanno avuto la clemenza di inviare su questa terra: il libro è The Republic of Thieves, di Mr Scott Lynch, e la saga è quella dei Gentlemen Bastards.
Liar? Bastard! Lo giuro con le dita incrociate: già dalle prime 10 pagine di un libro che ne ha 650, crolla in frantumi ogni pretesa di “recensire”: gli strumenti critici si sgretolano; leggi e sorridi, sorridi e continui a leggere. Poi ti svegli a pagina 300 per i crampi allo stomaco che iniziava ad auto-digerirsi e scopri che sono passate 36 ore, che i gatti sono andati a mendicare cibo dal vicino e la(il) tua(o) compagna(o) ti ha lasciato un biglietto sulla scrivania: «Addio, è stato bello».
Non si tratta più di dire se un libro è buono oppure no, di trovare i piccoli difetti qua e là, quegli espedienti narrativi che Lynch avrebbe potuto gestire meglio (e ci sono): tornare ai Gentlemen Bastards è come rivedere vecchi amici; il cuore si scalda e li abbracci. Non badi a quanti chili siano ingrassati o alle rughe sulla fronte: vuoi loro bene e basta.
Ma andiamo con ordine, perché una saga non la si comincia al terzo libro e se non conoscete Lynch dovete capire da dove ha iniziato e – riservato ma non timido trentaseienne del Wisconsin – perché è arrivato in tre libri a guadagnarsi il podio degli autori fantasy mondiali. Tutto inizia nel 2006 con The Lies of Locke Lamora (Gollancz, pubblicato in Italia dalla Nord come Gli inganni di Locke Lamora, nella traduzione di A. Martini). Descrivere la trama di un romanzo di Lynch presumo abbia mandato in psichiatria molti poveri addetti alle sinossi, preferisco, quindi, astenermi. Dovete solo sapere che l’intero impianto narrativo è ambientato in un continente fantastico “rinascimentale”, senza draghi e senza i vari orpelli del fantasy classico, ma costituito da città stato e imperi decaduti dove famiglie nobili regnano su masse caleidoscopiche di vari altri strati di umanità: dove i ladri prosperano. Ed eccolo, Locke, che da bistrattato e scarmigliato orfano delle gang di Shades’ Hill arriverà a compiere l’apprendistato nella banda più sofisticata, strampalata e letale di tutta la città di Camorr: i Bastardi Galantuomini; gli amici con cui crescerà sino a essere conosciuto come The Thorn of Camorr.
Mi è capitato di parlare del primo libro in questi termini:
Fantastico! Semplicemente fantastico!
Questo è uno di quei libri che ti portano a dire che, accidenti, per fortuna c'è qualcuno che piazza il sedere sulla sedia e si mette a scriverli i libri in questione. Scott Lynch in 530 pagine manipola personaggi, trame e ambientazione come un giocoliere fa con palline e lazzi vari, lanciandoli in aria, facendoli roteare, scomparire e ricomparire e senza che nessuno mai cada a terra rovinando lo spettacolo. Divertente, entusiasmante, commovente, coinvolgente, dannatamente ben architettato e scritto magistralmente. […] Lynch, che il Crooked Warden lo abbia in gloria, nel sacco di farina ce n'ha messa, e tanta, per il bene della letteratura e la gioia di tutti gli amanti del genere. Inutile aggiungere altro, da leggere, assolutamente. Liar? BASTARD!
Leggere Lynch è un misto tra una sbronza colossale e un’inalazione di elio. Locke e i suoi gregari, tra cui i temibili gemelli Sanza e il miglior amico di Locke – nonché uomo campione in «the art of introducing faces to cobblestones», Jean Tannen – sono un cocktail di corruzione e goliardia, ma con classe; non avidi, né malvagi; essi servono il Crooked Warden, il dio segreto dei ladri; servono l’etica della ripartizione universale delle fortune, quella della grazia nell’organizzare schemi e ricordare al prossimo che – per quanto ricco sia – c’è sempre un modo per essere fottuti. Ops! Ho detto fottuti? Be’, se siete suscettibili allo slang volgare, Lynch non fa per voi.
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Il secondo capitolo della saga, Red Seas under Red Skies (Gollancz, 2007; I pirati dell’oceano rosso, Nord, 2008, nella traduzione di A. Martini), vede Locke e Jean in fuga da quello che a Camorr si è dimostrato un colpo disastroso, e diretti alla città di Tal Verrar, dove il fato non sarà clemente e li spingerà per necessità a fingersi pirati per poi in parte diventarlo davvero. Abbiamo dovuto aspettare il 2013 per vedere finalmente il terzo capitolo The Republic of Thieves [RoT]. Cinque anni non facili per Lynch, che si è visto costretto a posticipare deadline e modificare il contratto per dare tempo alla sua depressione di rifiatare, sfumare e lasciarlo libero di creare: il risultato? Commovente.
Una sola parola deve bastare al lettore in questo RoT: Sabetha. Un nome, un’ombra, una presenza ricorrente eppure sfuggente nell’arco dei due libri precedenti e nel cuore di Locke, che finalmente si rivela: Sabetha, cresciuta anche lei tra i Gentlemen, amore incondizionato del povero Locke da quando su Shades Hill, all’età di otto anni, sfoderò i capelli rossi di fronte a lui, per poi sparire. Sabetha, che Lynch descrive come LA donna, l’archetipo di donna per cui gli uomini perdono la testa per più vite consecutive: inarrivabile. Intelligente, sagace, bella, semplice, graniticamente se stessa. E inebetiti si segue il narrato con il cuore stretto, tra flashback nel passato di loro adolescenti e del presente, dove i cattivi di turno – I Bondsmagi della città di Karthain – li hanno assoldati per combattere l’una contro l’altro.
Da un punto di vista tecnico, Lynch scrive in terza persona al passato, un narratore onnisciente sempre molto vicino al PoV dei personaggi principali, che ogni tanto divaga e si cala negli antagonisti e nei gregari di turno, creando una rete attorno alla mente del lettore. E forse c’è un punto dove Lynch, in questo terzo capitolo, ha tirato troppo la corda (sì, lo ha fatto, lasciando a incontrollabili trame del fato il permesso di fare capolino in una storia che era magnifica proprio perché soltanto basata sull’astuzia dei suoi eroi) ma non mi va di parlarne. Ci sta, è una sua scelta come autore, come burattinaio che ci tiene con il fiato sospeso, e forzare per una quisquilia il nostro disenchantment sarebbe colpa nostra, non sua.
E in che lingua vi emozionerete nel leggere Lynch? Questo è il problema. In Italia, la Nord pare non abbia acquistato i diritti per il proseguimento della saga. Ci sarebbe molto da dire, tanto, perché – oltre i calcoli di portafoglio che l’editoria deve necessariamente fare – c’è un problema culturale (un gap nella già travagliata cultura narrativa del nostro Paese; rispetto nei confronti dei lettori che hanno iniziato a leggere la storia in italiano). Io consiglio la lingua originale perché la scrittura di Lynch è di quelle che soffrono di ogni trasposizione, ma rimane il fatto che bisognerebbe lottare per una edizione italiana a prescindere. A questo proposito segnalo un link, una petizione lanciata dalla blogger La Leggivendola e rivolta alla Nord per far capire che in Italia Lynch ha già una readership forte e un investimento non sarebbe a perdere. Firmate tutti, e speriamo bene.
Un’ultima cosa, per concludere: in giro si trovano recensioni più argomentate sul lavoro di Lynch, dove si parla di stile, di trama, di cosa poteva ma non è stato, di cosa è e non doveva essere, di tre stelline ma forse quattro meno-meno virgola cinque e mezzo, perché chissenefrega di Sabetha, Lynch ha ignorato l’intreccio della trama etc. etc. Io mi sono rifiutato. Lynch ci descrive personaggi: persone, coerenti, deboli e forti, con demoni e chimere; come in uno spettacolo per teatranti, che è il vero protagonista di questo libro… Per una volta lasciamoci emozionare, e non rompiamo le scatole.
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