Fantasy e Vin brulé – “Le Figlie del Rito” di Vanni Santoni
Benvenuti in questa puntata di Fantasy e Vin Brulé con Le Figlie del Rito di Vanni Santoni, secondo volume nella sagaTerra Ignota, edito da Mondadori. Mentre la volta scorsa Andrea si occupava di Joe Abercrombie, a me capitava in mano per la seconda volta di fila un libro che strizza ben più di un occhiolino alla leggenda britannica di Re Artù. In modo profondamente diverso da Dura pioggia cadrà di Paolo Logli, per fortuna, anzi per molti versi opposto. Vediamo un attimo il soggetto per capire di cosa stiamo parlando.
Vevisa è stata rapita dal Villaggio Alto nel primo volume ed è la schiava personale del Gran Maestro, che essendo a capo dei dodici malvagi Cavalieri del “Cerchio Interno”, è la figura più autorevole del mondo intero. Vevisa subisce ogni notte attenzioni poco adatte ai minori e si è salvata la vita leggendo: rendendosi più colta degli stregoni guerrieri che la circondano, le sue osservazioni la mantengono utile da viva. Nel frattempo la Strega dell'Ovest, giovane donna tanto scontrosa quanto potente, invia il prode Ignatio a cercare l'alleanza di due guerriere non meno potenti e intrattabili…
Narrata con registro “old-fashioned” e periodi lunghi e complessi, l'ambientazione di Terra Ignota è un mondo alieno e ancestrale, una realtà permeata di magia e potenza degli elementi – ma anche popolata da guerrieri al cui confronto Raoul, con tanto del cavallo Re Nero, per chi ricorda vecchi fumetti di Tetsuo Hara, sarebbe sembrato uno scudiero smilzo. È soprattutto questo che mi ha trascinato ammirato una pagina dopo l'altra: l'euforia degli scontri devastanti fra titani. Non solo i terribili Cavalieri del Cerchio Interno, anche le tenere fanciulle a cui capita di essere Figlie del Rito sono ciascuna la personificazione di un elemento alchemico. Fatti i conti algebrici, significa poter attingere alla possanza della corrispondente porzione della creazione stessa. Per finire con la stessa Imperatrice in carica, che è demiurgo, nel senso che crea il mondo sognandolo. Se non è abbastanza titanico questo, porterò sempre con me l'immagine di una ragazzina che para un fendente con il braccio nudo e affetta l'avversario in armatura come fosse paté.
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In un setting imbevuto fino a questo punto di magia, creazione e spiriti elementali, è apprezzabile che i meccanismi dei riti e delle macchinazioni si basino su una forte coerenza simbolica. Qui torniamo agli ammiccamenti verso la leggenda di Artù, che si manifesta fin dall'elenco dei personaggi con la scelta di alcuni nomi – come Yvain, Galahad, Percival e Morrigan. Ancora, l'esistenza di una Coppa e di una Spada come manufatti divini primordiali non poteva non farmi pensare al Graal e ad Excalibur.
Sono espliciti invece altri richiami meno leggendari, come la rosa e la croce, e la setta degli adoratori di Bafometto come lontana origine dei Cavalieri. Ma anche un cenno a strumenti di tortura tristemente noti per l'uso che ne è stato fatto durante il Rinascimento.Tanto da chiedermi quanto sia legato il cosmo di Terra Ignota al nostro mondo. Il narratore una o due volte si fa sorprendere ad accennare a cronache future più o meno distorte, e anche all'eco delle vicende in altri mondi.
Se c'è qualcosa che non mi ha convinto appieno? Dall'accettazione sbrigativa dell'elemento Etere, che da quasi bestemmia passa a dato di fatto di cui i dodici Cavalieri erano a conoscenza per aver visto di persona tutti gli elementali molto tempo prima, all'uso smodato di rune che, secondo l'autore, dovrei andare a consultare nell'appendice del primo volume. Non sono mai un fervido sostenitore di soluzioni narrative che dovrei consultare in un glossario: mi fido sulla parola facendomi bastare un'infarinatura sommaria.
A parte questo, ho apprezzato un'opera che ha messo insieme un bel lavoro di costruzione di un setting consistente, una trama incalzante e tanta adrenalina durante questi combattimenti colossali. Non vorrei mai trovarmi contro delle Figlie del Rito.
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