Fantasy e vin brulé – “Il Viaggio di Tuf” di George R.R. Martin
Benvenuti alla terza puntata alticcia di Fantasy e vin brulé. Lo scorso mese Andrea Atzori ha parlato di Scott Lynch; oggi resto anch’io fuori dei confini nazionali per dire due parole su questo Il viaggio di Tuf di George R.R. Martin. Dell’autore hanno sentito parlare più o meno tutti, grazie alla serie tv A Game of Thrones. La storia di Haviland Tuf è un volume di otto novelle uscite in origine negli anni Settanta e Ottanta, perlopiù nel 1985, quindi ben prima che l’autore si dedicasse alla sua ambientazione più fortunata, ma giunte in Italia solo nel 2013 in questa edizione curata da Mondadori e nella traduzione di S. Altieri e G.L. Staffilano.
Tuf è un geniere ecologico. Cosa fa un geniere ecologico? Tuf gira fra le stelle a bordo della sua nave “Arca”, che è lunga trenta chilometri e attrezzata per clonare qualsiasi forma di vita. Offre i suoi servigi ai pianeti che ne hanno bisogno, e i suoi servigi sono quello che gli permette la strumentazione dell’Arca. Tuf è grosso e grasso, vegetariano e ama la buona cucina; viaggia con i suoi gatti, non ride, non perde le staffe ed è così prolisso che mi aspettavo che qualcuno lo aggredisse per farlo star zitto. Una delle ultime novelle inizia proprio con un attentato, in effetti. Ahimè le motivazioni sono altre, e comunque i protagonisti godono di immunità speciali quando una serie non è ancora finita (una legge che è stata rovesciata con piacere dallo stesso Martin, ma in opere successive).
Il recupero dell’Arca è l’obiettivo della prima novella. Tale nave è quella che la popolazione di un pianeta sperduto chiama “Stella del morbo”, che ogni tre generazioni invia fior di pestilenze alla superficie. Un gruppo di archeologi sospetta che si tratti di una “nave inseminante”, usata dal vecchio Impero del passato per rendere abitabili i pianeti nuovi. Questa prima novella è un’avventura di cappa e spada, cannoni al plasma e botte da orbi: una gara a eliminazione in cui i superstiti hanno sempre meno fette in cui dividere il bottino una volta che sarà conquistato. E a questo punto il lettore chiude un attimo il libro col dito in mezzo, guarda la copertina che chiarisce che il protagonista è Tuf anche per le restanti novelle e continua a leggere tranquillo.
No, perché sono novelle di George Martin, mi spiego? È vero che le novelle sono degli anni Ottanta, ma l’autore era lo stesso che, dopo, si è reso famoso come assassino sterminatore di personaggi. Quando in libreria prendete in mano una copia di A Game of Thrones, subito qualcuno vi avverte, “Non affezionarti a nessuno!”. È così.
Per chiudere la parentesi sulla prima novella: è completamente diversa dalle altre, per soggetto e per ritmo. Lo spartiacque è palpabile: prima, Tuf è un commerciante da strapazzo dai modi irritanti, e l’Arca è solo una leggenda che si liquida con un “Naaah”; dopo, Tuf si inventa geniere ecologico (dai modi non meno irritanti), un titolo scomparso per secoli, e l’Arca è il suo strumento. Così passiamo alla parte delle novelle seguenti, che anche se l’azione non è altrettanto rapida e incalzante e il buon Martin non aveva ancora consolidato lo stile fino a farsi apprezzare per A Game of Thrones, sono quelle che mi hanno lasciato sempre più a bocca aperta con la mascella che viaggiava pagina dopo pagina verso il pavimento. In metropolitana dev’essere stata una scena raccapricciante.
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Dicevo che Haviland Tuf si presenta come geniere ecologico, e con quel po’ po’ di strumentazione e una colossale nave per la terraformazione, ha la possibilità di studiare e mettere in atto interventi di entità epocale sugli ecosistemi. Interi pianeti possono rifiorire o perire sotto l’introduzione selezionata di specie viventi da mondi esotici. Non è un potere da poco, e visti anche i fragili cavilli con cui si arroga il diritto di rimanere a bordo dell’Arca e di fregiarsi di un titolo scomparso, vien proprio da rallegrarsi che quest’Arca non sia rimasta in mano ai maneschi impulsivi della prima novella. Come ha modo di fargli notare Tolly Mune, la vecchia cianotica che gestisce lo spazioporto di S’uthlam, il potere tende a corrompere. E sembra proprio che sia così: il primo obiettivo dei politici di S’uthlam è trovare ogni pretesto per impadronirsi dell’Arca.
Un intero pianeta ha più diritto di un singolo mercante di entrare in possesso di una nave tanto formidabile? E Haviland Tuf può resistere alla corruzione del potere come auspica Tolly Mune? Man mano che avanza l’esperienza del geniere ecologico, che le tappe su S’uthlam per pagare le rate delle riparazioni di trenta chilometri di nave si fanno più stressanti (perché ovviamente un omone così tutto d’un pezzo, si presenta anche nella tana del nemico pur di non essere insolvente), c’è qualcosa che cresce in Tuf, e non è il ventre prominente già pasciuto. Tuf è sempre più schivo e disilluso, più consapevole del proprio potere, più accorto dei fili che portano dal giusto allo sbagliato e viceversa. Tuf mi fa paura, se devo dirla tutta.
Perché a chiedere i servigi di un geniere ecologico amante degli animali proprio per i combattimenti nell’arena, e ad assalire un geniere ecologico sulla base di indizi e di voci di corridoio, non è poi così garantito che ne esca qualcosa di buono. Lo si sente prorompere dall’effetto scenico di una colonna di fuoco, «Io sono il signore Dio tuo». C’è di peggio? Sì, la possibilità che Tuf dimostri di avere ragione.
In sostanza: se mi ha colpito? Eccome. Nonostante le battute di dialogo di mezza pagina e oltre, che nelle prime pagine mi facevano gettare occhiate agli altri libri che ho impilati da leggere. Se mi ha colpito di più di A Game of Thrones? Forse sì. Quello ha un’ambientazione più ricca e una profusione di colpi di scena e battaglie, ma Haviland Tuf ha messo in crisi tutto il mio bagaglio etico. Ogni tanto mi guardo alle spalle per verificare che non ci sia nessun omone pallido, glabro e schivo.
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