Fantasy e vin brulé – “God Breaker” e il dio del tuono
Signore e signori, benvenuti alla prima puntata di Fantasy e vin brulé. Non ci siamo ancora presentati: io sono Vlad e collaborerò con Andrea Atzori per questa nuova rubrica di Sul Romanzo. Come ha già anticipato Andrea nel commiato di Nella Pancia del Drago, parleremo di libri di generi fantastici che ci hanno colpito e lo faremo sul divano davanti a un buon bicchiere. In questa prima uscita, ci occuperemo di un libro edito qualche mese fa da Salani, God Breaker di Luca Tarenzi. La butto lì: il libro è accusato di avere le carte in regola per presentarsi come un nuovo classico del genere urban fantasy. Vediamo la trama.
Uno sconosciuto si presenta alla festa di capodanno nel lussuoso open space di Liàthan, a Londra. Indossa un giubbotto di cuoio nero e lancia una sfida al padrone di casa: Liàthan è invitato a decapitarlo, e fra un anno esatto lui ricambierà il gesto. Liàthan è una divinità dell'aria e delle tempeste. È alto, biondo, ha investito nella Compagnia delle Indie Orientali verso la fine del Settecento e ha circa quattromila anni.
Non ci vogliono molte pagine per fare mente locale su un dio del tuono alto, biondo, impulsivo e facile preda delle provocazioni e dei riflessi condizionati di un guerriero. Difficile non averlo ancora visto al cinema o in un fumetto, in armatura scintillante. Al cinema, in genere, brandiva un martello secondo la tradizione scandinava, mentre Liàthan – abaco alla mano – è molto più vecchio dei Vichinghi e anche della forgiatura dei martelli. Ancora meno pagine ci vogliono per riconoscere la trama del poema medievale inglese Galvano e il Cavaliere Verde, perché è lo stesso dio a riconoscerla ridendo di gusto.
Con una divinità millenaria in un quartiere in di Londra, io, da lettore, ho automaticamente delle aspettative. Non lo faccio apposta. Ho letto Sandman nei primi anni Novanta, ho adorato American Gods di cui fra l'altro si fa menzione nella fascetta gialla con cui mi è arrivato God Breaker. È una sparata da fascetta gialla, o il paragone con Neil Gaiman – colpevole con Pratchett e altri dell'esplosione dell'urban fantasy negli anni Novanta – è adeguato? Altroché. Scopriamo come.
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Prima di tutto, la fascetta descrive God Breaker come “incalzante”. Nelle prime pagine, una divinità dell'aria, in preda all'alcol e a stupefacenti metafisici, accetta una sfida mortale, proprio come il cavaliere Galvano. Non c'è difesa contro l'arma scelta, che proviene dalle origini dell'universo. Da questo momento all'anno successivo non c'è un attimo di tregua: Liàthan e i pochi (due) esseri che sopportano la sua presenza corrono contro il tempo per risolvere il mistero. Chi è questo parvenu mai visto, cosa può spingerlo a un tale rancore da fare terra bruciata intorno a un dio plurimillenario spingendolo a rompere uno a uno i patti e le alleanze più importanti? La tensione incalzante è il primo punto: uno a zero per la fascetta.
Il secondo aggettivo è “visionario”, paragonato a Gaiman. Mi sento di ricordare il rispetto di quest’ultimo per le tradizioni dei propri personaggi: il Loki di Sandman ha le labbra strappate, il martello Mjollnir ha un manico da stuzzicadenti, proprio come nel mito. In God Breaker, si scavano ipotesi più antiche di come può essere stato travisato il fatto divenendo tradizione, come per il gigante Bran il Benedetto; assistiamo all'enthousiasmòs del pensiero greco, che nel libro non è chiamato così, ma le reminescenze di studi umanistici non tardano a cogliere l'ispirazione divina dell'attore e del poeta, che mette in relazione l'idea con la carne e la creatività con la manifestazione; gli allucinogeni sono un efficace strumento per contattare il Dio Fungo; le Tre, che sono Tre dalle Parche fino alle Norne, in ogni era e nell'intera Europa, reggono e gestiscono i fili del Fato che legano tutti gli esseri lungo lo spaziotempo. Ciascuno di questi elementi non è uno spiegone gratuito, ma costituisce un tassello della trama: perfino la modalità in cui tutti gli dei della Terra sono passati per l'enthousiasmòs è cruciale per costruire un ingranaggio della minaccia a Liàthan e, quindi, l'impalcatura del libro.
Dopo aver collezionato il secondo punto, la fascetta non parla di paroloni tecnici come l'interpretazione dei personaggi – un'argomentazione che non vende altrettanto bene se non trovi un singolo aggettivo –, ma interessa a noi che siamo lettori esigenti e puntigliosi. Basta con queste fascette noiose. I personaggi sono dipinti attraverso attitudini e gesti e, per divinità e creature ultraterrene, mi pare corretto che le attitudini e i gesti siano ben sopra le righe. Così è normale che al mezz'orco Siaghal ogni parola debba essere estorta malvolentieri, e che lo si trovi chinato col naso sul marciapiede per seguire una pista; è logico trovare la corte di Bran in esasperazioni dell'etichetta come si conviene a una corte, pur con un uso di elettricità e alcolici di cui mi sentirei in colpa a rovinare la sorpresa; infine, è lineare che lo stesso Liàthan sia un fumettone intrattenitore. Ho già detto dell'impulsività e delle reazioni istintive? Liàthan è incapace di formalismi e trasforma una visita ufficiale e la sentenza di una corte rispettivamente in una battaglia e, beh, un'altra battaglia. Come si fa a resistere a un dio biondo e casinista?
Riassumendo, non si può che essere entusiasti di questa lettura. Non è solo un romanzo divertente di fantasia, ma un romanzo che mi ha dato l'occasione di approfondire vecchi miti. In più, non si può ignorare l'incastro di meccanismi cosmici e metafisici, logici e funzionanti come gli ingranaggi di un orologio. Meccanismi che illustrano pressoché l'intero orologio. Poco sopra, God Breaker è stato accusato di fare bella figura sullo stesso scaffale dei classici che hanno lanciato il genere: viste le prove che sono state presentate, l’imputato è dichiarato colpevole.
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