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Fame. Storia di menti in fuga alla fiera dell’editoria di Roma

fiera dell’editoria di RomaDi cosa hanno fame queste menti indecise, stordite da troppe immagini e suoni per crearsene di propri?

Le ho viste spingere su corpi abituati a sprofondare su larghi sofà e mal disposti a salire delle scale verso un cubo di travertino, dove non vi sarebbe stato alcuno spuntino precotto ad aspettarli. Le ho viste costringere i piedi a mettersi in fila, senza che ci fosse un pallone o un idolo dell’ultimo reality a dispensare autografi. Le ho viste farsi strada fra i corridoi, stretti fra gli stand ed altre menti che viaggiavano in senso opposto. Le ho viste iniziare a perlustrare le grandi mappe appese agli angoli dell’immenso salone, alla ricerca della casa editrice per cui erano venute o lasciarsi guidare da una copertina, un colore, uno stand troppo pieno o troppo vuoto. Le ho viste gonfiarsi insaziabili, costringendo i corpi a correre per mantenere il loro passo, le ho viste immobili, davanti ad una distesa di libri, assorbite in minuti convulsi in cui scegliere era diventato impossibile. Le ho viste scontente per non aver trovato ciò a cui sono abituate o ansiose e contente per lo stesso identico motivo. Le ho viste sollevarsi sopra tutti quei corpi goffi e accaldati per perlustrare le storie che potevano iniziare a scartocciare. Ne ho viste di giovani e di vecchie, combattere con corpi che spesso poco avevano a che fare con la loro età. Ne ho viste alcune, che, come me, osservavano le altre, per cercare di capire di cosa avevano fame. Le osservavano passare, soffermarsi, continuare e si chiedevano perché.

Perché quel testo così insulso aveva attirato tante di loro? E perché il vicino, arguto e sincero non ce l’aveva proprio fatta a superare le 300 copie? Perché leggevano con tanta bramosia uno sconosciuto autore straniero, ma disdegnavano un suo simile d’italica origine? Perché compravano tanti libri ai loro bambini ma nessuno per se stessi? Perché era più importante trovare una busta di tela colorata o una copertina in carta vulcanica, piuttosto che un buon libro? Perché non si decidevano a passare ai libri elettronici così non sarebbe stato più necessario rimanere lì impalati a domandarsi perché?

Perché, perché, perché…un brusio di menti che si fronteggiava, stand contro stand, logo davanti a logo,  promessa d’autore verso autore che prometterebbe di tutto pur di essere ascoltato. E intanto la fame delle menti cresceva, le une di fronte alle altre, così lontane dai loro corpi da iniziare ad immaginare.

Libere.Impensabilmente e inavvertitamente avevano scoperto il loro lungo digiuno, fatto di immagini montate, suoni semplificati, parole accorciate, pensieri stipati, azioni vietate e da tutti compiute. Potevano scegliere qualsiasi strada, ogni desiderio, azione e pensiero prodotto dallo scrittore potevano farlo loro, potevano viverlo in una maniera diversa da qualsiasi altra mente si fosse avvicinata allo stesso testo. Tutte quelle scatole da riempire con le loro volontà. Erano i libri che ora bisbigliavano. Si presentavano, lucidi ed odorosi di stampa, stesi su un tavolino pieghevole ricoperto per l’occasione da una tovaglia di carta bordeaux; cercavano di sovrapporsi gli uni agli altri, per non perdere neanche una delle menti che da lì poteva passare, neanche una delle mani che su di loro scorreva, li prendeva e si affrettava a lasciarli per continuare a scappare. Alcuni si  annoiavano, riposti in uno scatolone che forse non sarebbe mai stato aperto, altri si lamentavano della mensola nascosta su cui erano stati abbandonati, altri ancora litigavano con il vicino perché non sapeva come comportarsi alla sua prima fiera. Tutti chiedevano occhi da far spalancare, idee assolute da far infrangere, immaginazione da far deragliare, volontà da far impigliare fra le loro pagine senza più poter scappare.

A quel punto ho smesso di osservare e ho lasciato anch’io che la mia mente scegliesse dove andare.

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