“Exit strategy” di Walter Siti
Exit strategy, titolo dell’omonimo romanzo dello scrittore modenese Walter Siti, è un’espressione inglese che si traduce in italiano con “strategia di uscita”, “piano di fuga”; ha diverse alternative di traduzione anche come locuzione verbale, ma il primo significato può bastare. Strategia di uscita da dove? Da quale realtà? Questo libro, edito da Rizzoli nel marzo 2014, è l’ultimo capitolo della tetralogia iniziata con Scuola di nudo nel 1994 e proseguita con Un dolore normale e Troppi paradisi, pubblicati rispettivamente nel 1999 e nel 2006. Il libro recensito segue Resistere non serve a niente, vincitore del Premio Strega 2013.
Il protagonista è un omosessuale di 65 anni a cui l’autore ha prestato il suo nome (nulla di autobiografico, almeno in parte). La sua vita è perennemente in bilico fra l’attività di scrittore e la prepotente ossessione per i “prostituti”, pagati a caro prezzo e lodati per le loro perfette performance da culturisti. Una vita fatta di lussi, perversioni e senza sentimento che spiri dal cuore, disseminata di delusioni e tradimenti occasionali. Anche la partecipazione come autore ad un reality sul mondo scolastico non cambia le coordinate di una vita che sembra lanciata inevitabilmente verso il fallimento, all’insegna di una depressione morale e intellettuale. La società italiana uscita dal primo decennio del Duemila è un quadro desolante di crisi politica, economica, sociale ed estetica. Le città dove lo scrittore vive – fra cui Roma, Modena e Milano – sono il ritratto di una paralisi nascosta agli occhi del popolo italiano. Il materialismo intellettuale e la mercificazione dell’essere umano sono i due valori che spadroneggiano in un contesto temporale recentissimo.
La narrazione diaristica segue le vicende del protagonista dal gennaio 2011 al febbraio 2014: dal soggiorno a Roma, in compagnia dei due idolatrati Marcello e Rodrigo, alla collaborazione malriuscita con il reality La scimmia, fino al definitivo trasferimento a Milano, quando inizia la felice e sofferta convivenza con il gerontofilo Gerardo. In questo movimentato viaggio dal centro al nord della penisola si colloca la morte della madre, anziana e malridotta, alla quale l’autore dedica capitoli degni di lode. Lo stato decrepito della donna viene descritto con particolari raccapriccianti, perché lo stesso Walter possa rendersi conto che prima o poi tutti sono destinati a diventare così e quanto sia superfluo ammirare la perfezione greca del corpo umano. In una frase come «i morti si somigliano tutti perché non somigliano più a niente, ma quelle labbra rientrate bevono ancora il ribrezzo» è contenuta tutta la sintesi della sconfitta di Walter, amante di una vita fatta di escort maschili e dominata dalla ricerca del massimo godimento carnale. L’uomo, in bilico fra passato e presente, si rende conto che le questioni in sospeso e gli affetti mancati ritornano in prossimità della morte per fargli pagare il conto salato di chi ha trascurato la propria famiglia.
Dal punto di vista storico, la narrazione segue le drammatiche fasi del post-berlusconismo: la caduta del Governo Berlusconi, il sofferente avvicendamento di Monti e Letta, i primi mesi del mandato di Matteo Renzi. In questo romanzo, tuttavia, argomenti come la spending review, la falce della riforma Fornero, le incertezze di Letta e le possibili soluzioni di Renzi non sono mai oggetto di discussione da parte del tormentato protagonista. Si tratta piuttosto di temi che restano dietro le quinte e si nascondono fra gli italiani, ancora oggi distratti dai fasulli valori inculcati loro dal ventennio berlusconiano. È solo quando il fido compagno Gerardo accenna a un rischio lavorativo nella sua azienda di Modena che si avverte il pericolo latente di un’Italia disastrata. L’unica crisi messa in scena è quella del personaggio Berlusconi, che passa da premier a politico che «vuole risalire sulla giostra». Un parallelismo impressionante con il Walter del romanzo che, da omosessuale ossessionato dalla perversione sessuale verso corpi atletici, scolpiti e modellati dal fitness, si scopre follemente innamorato di Gerardo. “Il marito” modenese rappresenta la realtà, tangibile e sofferente, dell’amore felice e profondo. È un passaggio delicatissimo, è una “exit strategy” che obbliga l’ormai anziano Walter a gettare alle ortiche i suoi vecchi culti e ad affrontare se stesso per imparare ad amare. C’è dunque di fronte a uno scenario immobile, ravvivato dalla protesta del dicembre 2013 (immediatamente sopita), una via di uscita, una possibilità di redenzione.
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La salvezza non è politica, perché il neo-premier Renzi viene definito come «il metadone per l’anti-berlusconismo tossico», bensì è legata a valori da recuperare. Non ci sono strade certe nel nostro futuro, ma abbiamo il dovere di tornare a guardare in faccia quello che siamo come nazione Italia: la tv spazzatura, la mercificazione vergognosa del nostro corpo e l’evanescenza di alcuni presunti valori vanno rasi al suolo. Come può farlo lo scrittore Walter Siti? Sbattendo in faccia al lettore, non propriamente disabituato, una scrittura-bisturi che rade al suolo la finta facciata del mobilismo estetico in cui siamo inviluppati. Via libera a un letterato che, sfruttando le potenzialità sconvolgenti del flusso di coscienza, sovrappone pensieri e voci narranti in ogni fase della sua storia. Il lettore ne è disorientato, ma la vera caratteristica che potrebbe farlo sbiancare è il linguaggio crudo, nudo e sconcio. Molte parole attinenti alla sfera della sessualità più perversa non devono spiazzarci perché, etero o omosessuali che siamo, in realtà le usiamo ogni giorno. Con Walter Siti cade la figura dello scrittore che nasconde le proprie fantasie erotiche dietro perifrasi culturali: oggi fare letteratura significa rendere vivibile la verità, ossia l’uomo o la donna che moralmente siamo.
In un’ottica simile non c’è più bisogno di nascondere nemmeno la varietà geografica del nostro parlato; così, a dar maggior caratterizzazione ad alcuni dialoghi, c sono il dialetto romano, quello modenese, quello veneto e quello milanese. Non si dimentichi poi la presenza rarefatta dell’inglese, che finalmente sta cominciando a diventare la nostra seconda lingua. Dal punto di vista prettamente linguistico si nota una forte ripresa dell’idea di scrittura pasoliniana, se non addirittura verista. D’altronde, è giusto così: se la realtà deve emergere, è meglio abbandonare anche quell’italiano standard che perfino la vera politica non conosce. La caratterizzazione regionale non è sufficiente, per questo l’autore, sulla falsariga di Vasco Pratolini, ricorre a quelle che sono pennellate da impressionista. La penna di Siti regala al lettore il quadro grigiastro e da “cisterna polare” di Milano, così come quello più solare dell’immortale Roma.
Non è semplice questo testo e lo è ancor meno per chi non ha seguito i precedenti romanzi di riferimento. La suddivisione in macrosequenze, spezzate da una serie di paragrafi, aiuta a districarsi nel complesso gioco di rimando fra presente e passato. Spesso alcuni incipit burrascosi disorientano il lettore, che deve recuperare in fretta le corrette coordinate narrative per seguire un romanzo scritto con lo stile di un diario, ma che diario autobiografico non è. Talvolta Siti si perde in una metafora di troppo, costringe il lettore a seguire un periodo tortuoso e si allontana così dall’efficacia della scrittura-bisturi. Inoltre,certe espressioni dialogiche talvolta sottintendono riferimenti culturali che non sono sempre alla portata del lettore medio, ragion per cui diventa più complesso comprendere la singola frase. Dietro ogni possibile obiezione stilistica che può essere rintracciata in Exit strategy, tuttavia, resta un involucro concreto: non c’è la salvezza per il mondo di oggi, ma soltanto una via d’uscita, che è una cosa ben più dolorosa e complessa.
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