Evgeny Morozov: “Internet non salverà il mondo”
Già da diversi anni Evgeny Morozov, giornalista bielorusso trapiantato in America, conduce una battaglia personale contro quella visione troppo ottimistica della Rete che ne prevede illimitate possibilità di sviluppo futuro, polemizzando ripetutamente con alcuni dei principali esponenti della corrente di pensiero definita come cyber-ottimismo.
A Milano per presentare il suo ultimo libro, intitolato significativamente Internet non salverà il mondo, appena pubblicato da Mondadori nella traduzione di Gianni Pannofino, Morozov è stato protagonista di un incontro con alcuni blogger, organizzato dalla casa editrice presso la Maison Moschino, durante il quale ha espresso con passione le proprie tesi sulle implicazioni di una diffusione sempre maggiore della tecnologia informatica in tutti i settori della nostra vita.
Già nel suo libro precedente, L’ingenuità della rete – il lato oscuro della libertà di Internet (Codice Edizioni, 2011), Morozov si preoccupava, ad esempio, di ridimensionare il ruolo ricoperto da Internet, attraverso i social media, nel corso dei rivolgimenti politici che hanno costituito la cosiddetta “primavera araba”: se possono facilitare l’avvio di una rivoluzione, Facebook e Twitter si rivelano però inadeguati come supporto alla costruzione dei progetti politici necessari a costruire nuovi governi. In pratica, se può essere facile riempire le piazze e spodestare un dittatore chiamando a raccolta la popolazione attraverso un social network, non è poi altrettanto semplice gestire nello stesso modo le fasi successive di una rivoluzione e la formazione di un nuovo governo.
Proseguendo nella sua messa in discussione del potenziale di emancipazione insito nella tecnologia informatica, Morozov affronta in Internet non salverà il mondo svariati aspetti dell’utilizzo di Internet nella vita quotidiana, mettendo in risalto quei lati negativi che una visione generalmente ottimista, per non dire trionfalistica, delle illimitate potenzialità del Web, tende a sottovalutare, se non a occultare del tutto.
Morozov non si dichiara per nulla contrario all’uso del Web, ma intende metterne in evidenza i limiti strutturali, e soprattutto rendere più consapevoli gli utenti delle grandi società tecnologiche, come Amazon o Google, di tutte le tecniche di manipolazione messe in atto da queste per guidare il comportamento degli individui in determinati settori.
Fino a che punto ci rendiamo conto di come il nostro comportamento in rete sia costantemente monitorato? Quelli che dovrebbero essere soltanto degli intermediari, ad esempio Amazon, che in teoria dovrebbe solo venderci prodotti non suoi, si sono da tempo trasformati in società che raccolgono sistematicamente tutti i dati degli utenti, utilizzandoli con metodo per gestire e influenzare le loro scelte future.
L’editoria online, tanto per fare un esempio alla portata di tutti, si sta trasformando in un settore quasi del tutto privo di rischi: in base alle scelte degli acquirenti, è in corso la pubblicazione a getto continuo di libri che ricalcano spesso pedissequamente i precedenti che hanno venduto di più, col risultato di produrre opere create su misura per i presunti gusti dei lettori.
Usando libri di successo per produrne altri, ci si garantisce buone vendite, ma si cancella del tutto quello che Morozov definisce il rischio culturale dell’editore che sceglie di pubblicare qualcosa di nuovo, che si differenzi dal gusto corrente. L’innovazione, che tradizionalmente è considerata tipica della rete, in questo caso viene a mancare, perché all’assunzione della responsabilità di pubblicare opere originali e controcorrente si preferisce il guadagno sicuro.
Del resto, chiunque abbia acquistato qualcosa in rete, ha sperimentato come Amazon ci proponga in seguito possibili acquisti basati sulla nostra prima scelta: se io compro un romanzo giallo, ogni volta che tornerò sul sito riceverò proposte riguardanti i libri più venduti dello stesso genere. Il successo di un libro tenderà quindi a basarsi più sull’applicazione dell’algoritmo di Amazon che sul suo effettivo valore culturale, perché saranno molte le persone che si convinceranno ad acquistarlo seguendo il suggerimento del sito.
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L’utente medio del Web lo considera un fantastico mondo da cui ricevere una quantità di informazioni, e di altre possibilità, a titolo del tutto gratuito, ma non si rende conto che questa gratuità è pagata, in definitiva, dall’uso occulto dei suoi dati personali, che alimentano il cospicuo settore delle ricerche di mercato, volte a individuare sempre meglio i gusti e le necessità, vere o presunte, dei potenziali consumatori.
Per Morozov, l’aspetto negativo del dilagare della tecnologia riguarda anche la sua pretesa di sostituirsi alla politica e all’economia. Un capitolo molto importante del suo libro riguarda l’ascesa in Germania del Partito dei Pirati, basato sulla ricerca di una trasparenza assoluta del Web, e su un suo utilizzo sistematico per controllare l’attività politica e per esprimere direttamente consenso e/o dissenso da parte dei cittadini in merito alle questioni discusse in parlamento. In realtà, sostiene Morozov, i Pirati sono un movimento del tutto apolitico, perché non comprendono che la politica non si può fare solo a colpi di sì e no, ma esige discussioni, riflessioni e mediazioni tra le parti: la loro logica tecnologica non coincide con quella esistente, e il loro concetto di “trasparenza” non sempre si rivela corretto, dal momento che più volte hanno spacciato per pareri espressi dal “popolo del Web”, identificato senza mezzi termini con la cittadinanza tutta, l’opinione di poche decine di utenti in un territorio con diversi milioni di abitanti.
La tecnologia da sola non può risolvere problemi che dovrebbero essere di pertinenza di politici ed economisti, anche perché l’innovazione implicita in essa non sempre corrisponde a effettivi miglioramenti qualitativi della vita. Secondo i cyber-ottimisti, però, il mondo è ormai diviso tra chi è perennemente collegato in rete e chi non lo è, cosa che in futuro sarà sempre meno possibile fare: già ora, negli Stati Uniti, chi non ha un profilo Facebook viene giudicato negativamente dalle aziende nel momento in cui cerca lavoro, in quanto si è diffusa la convinzione che se non lo possiedi sei senz’altro una persona che ha qualcosa da nascondere.
Facebook ha quindi assunto un ruolo del tutto sproporzionato al suo essere una semplice combinazione di sistemi, così come Google si basa su un uso sistematico degli algoritmi in ogni campo, ma siamo sicuri che lo spodestamento in atto del pensiero umano a opera dei numeri sia un vantaggio?
Internet non salverà il mondo è un libro piuttosto impegnativo, denso com’è di rimandi al pensiero di altri autori, con cui di volta in volta Morozov dissente, polemizza o si mostra d’accordo, ma se ne consiglia la lettura a tutti i cyber-ottimisti, perché invita a riflettere su moltissimi aspetti della nostra vita online di cui troppo spesso non siamo per nulla consapevoli, e può senz’altro aiutarci a gestirlo in modo più responsabile.
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