Essere se stessi porta al successo. Intervista a Giorgio Morandi
Se vi diciamo Morandi, chi vi viene in mente? Certo, la risposta è ovvia: Gianni. Tuttavia la storia dell'arte ci ha regalato un'altra figura con il medesimo cognome: un tale Giorgio Morandi. Celebri sono i suoi dipinti di paesaggi, ma soprattutto le nature morte realizzate con sequenze di bottiglie, caraffe, caffettiere, bicchieri.
Abbiamo incontrato l'artista in un nostro viaggio a Bologna e più precisamente in un tratto di strada che porta verso Grizzana Morandi, un piccolo paese di poco più di tremila abitanti, luogo in cui egli a lungo soggiornò.
Nella sua disarmante discrezione, si è avvicinato a noi con la sua inconfondibile sigaretta penzolante dalle labbra e ci ha salutati come era solito fare, togliendosi il cappello e abbassando leggermente la testa. Conosciuto da tutti per il suo tratto ironico e sagace allo stesso tempo, per Morandi l'arte aveva il compito di rappresentare l'invisibile, non la realtà oggettiva delle cose. Un approccio che potrebbe ricordare molti suoi colleghi del tempo come Jackson Pollock, Lucio Fontana, Alberto Burri. Ma il nostro pittore bolognese, sebbene influenzato da diverse correnti artistiche, ha mantenuto uno stile personale e originale. Lo conferma in quest'intervista.
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Buongiorno, signor Morandi. Splendido questo paesaggio. So che lei venne a conoscenza di questo zona all'età di 23 anni, quando sua sorella Anna si ammalò e il medico consigliò alla sua famiglia un posto come luogo di convalescenza/villeggiatura in cui l'aria fosse "buona". Oggi qui a Grizzana ha sede la casa museo a lei dedicata, costruita negli anni '50.
Sì. Percorrevo a piedi questo tratto della Valle del Savena, sostando sull'una o sull'altra sponda del fiume. Ma il più bel paesaggio del mondo lo so io qual è: andando in su proprio verso Grizzana, a un certo punto c'è una curva e lì, quando si esce dalla curva, c'è il più bel paesaggio del mondo.
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Che cosa la affascinava di questi scorci?
Tutti i calanchi. Ricordo che quando non ero a Grizzana e avevo voglia di dipingere un paesaggio, non facevo altro che affacciarmi alla finestra e guardare. Sappiamo che tutto quello che riusciamo a vedere nel mondo oggettivo come esseri umani in realtà non esiste come noi lo vediamo e lo percepiamo. Per me non vi è nulla di astratto. Peraltro ritengo che non vi sia nulla di più surreale e di più astratto del reale.
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Ha fatto più nature morte che paesaggi però?
È vero, ho fatto più nature morte che paesaggi. E dire che i paesaggi li amavo di più. Ma bisognava viaggiare e soffermarsi in un posto e ritornarvi per completare il lavoro.
Lei ha dipinto raramente figure umane o autoritratti. La ricordiamo per le sue bottiglie, caraffe, bicchieri. Sono sempre molto sincera con gli artisti che incontro, e perdoni la schiettezza, ma i suoi quadri sembrano ripetitivi, gli oggetti sembrano sempre gli stessi, simili nella loro collocazione... So che le donne di casa avevano il divieto di spolverare i suoi oggetti.
Non esiste un modo di rappresentare le cose, esiste soltanto un modo di sentirle. Ciò che noi vediamo credo sia creazione, invenzione dell’artista, qualora egli sia capace di far cadere quei diaframmi, cioè quelle immagini convenzionali che si frappongono tra lui e le cose. Ritrovare le ragioni per riguardare le cose da un punto di vista formale, ritrovare il significato delle cose per ricominciare a guardare le cose. Quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose.
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Quindi a lei non importava un bel niente di quelle bottiglie messe in fila. A lei interessava lo spazio, la relazione tra le cose. Un'evocazione della realtà, più che la rappresentazione di essa. Concetti non proprio immediati... Possiamo riassumere con una citazione di un suo collega, Giorgio de Chirico: «Bisogna scoprire l'enigma che è in ogni cosa». Certo che la pittura di voi artisti contemporanei è difficile da comprendere nell'immediato. Una pittura molto contemplativa...
La mia è una natura incline alla contemplazione.
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Quando immagino una sua ipotetica giornata, penso a lei all'interno della sua casa, in solitudine come un romantico eremita. So che non amava partecipare a mostre, eventi mondani. Trascorreva molto tempo da solo?
Per ragioni d'arte e di temperamento ero incline alla solitudine, ciò non deriva né da vano orgoglio né da mancanza di solidarietà verso tutti gli uomini della mia stessa fede. Era un mondo di una tale miseria che unico mio desiderio era quello di essere dimenticato e di poter lavorare in pace. Tutti i peggiori difetti degli ambienti politici li avevano ereditati gli artisti. Pettegolezzi, casi personali, si usavano tutti i mezzi più illeciti, si arrivava anche alla menzogna.
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Come appresero i suoi genitori la notizia della sua vocazione?
Fin da ragazzo dimostrai passione per la pittura che col crescere degli anni divenne sempre più forte, sì da farmi sentire il bisogno di dedicarmici interamente. Queste mie idee non erano però condivise da mio padre. Egli, dedito al commercio, avrebbe preferito che io avessi seguito le sue orme e non lasciò intentato nessun mezzo per piegarmi alla sua volontà; da buon padre, vedeva la via dell'arte incerta e difficile ed era preoccupato per il mio avvenire. Ma visto che ogni tentativo di smuovermi dalla mia idea riusciva vano ed essendo molto pressato dalle insistenze di mia madre, finì col permettere che m'iscrivessi all'Accademia di Belle Arti di Bologna.
Fu questa per me una gioia grandissima, purtroppo presto rattristata dalla morte immatura di mio padre. Rimasi a diciotto anni con mia madre e tre sorelline minori.
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Chi la sostenne nel perseguire il suo sogno di diventare un artista in quella fase della sua vita non facile da affrontare per un figlio?
In quel grave momento della mia vita debbo molto alla saggezza di mia madre, che ha sempre avuto fiducia nella mia vocazione. È grazie a lei che mi fu possibile continuare i miei studi.
Come affrontò gli studi all'Accademia?
Della mia esperienza alle Belle Arti debbo dire che gli insegnamenti che venivano impartiti non ebbero altro effetto che di porre il mio spirito in uno stato di profondo disagio. Ben poco di ciò che servì alla mia arte vi appresi.
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Era nel bel mezzo delle idee futuriste, l'epoca della rivoluzione, della controtendenza, della volontà di cambiamento. Quanto tali correnti influirono nella sua formazione?
Fin dal tempo in cui ero iscritto ai corsi, ascoltai con entusiasmo e interesse il verbo demolitore dei futuristi: troppo piatto e ingombrante mi appariva l'indirizzo pittorico dell'Italia d'allora. Anch'io come tanti altri giovani di buona volontà sentivo la necessità di un totale rinnovamento dell'atmosfera artistica italiana. Mi ero accorto che ancor meno delle vecchie, le nuove idee estetiche rispondevano alle esigenze del mio spirito. Sentii che solo la comprensione di ciò che la pittura aveva prodotto di più vitale nei secoli passati avrebbe potuto essermi da guida a trovare la mia via.
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Ciò che colpisce maggiormente della sua produzione artistica, nonché della sua personalità, è che, nonostante il periodo artistico movimentato in cui si alternarono futurismo, atrattismo, concettualismo, Pop Art, lei ha sempre tenuto fede al suo stile. Un modo di dipingere personale, che so a volte essere stato deriso dagli stessi futuristi come privo di vitalismo e anacronistico. Come risponderebbe ora a chi non ha inteso la sua arte?
Esprimere ciò che era nella natura, cioè nel mondo visibile, era la cosa che maggiormente mi interessava.
È proprio vero: i pettegolezzi a lei non interessavano e credo sia uno degli aspetti che l'ha resa così celebre. Le sue opere sono state acquistate da molti musei di tutto il mondo. Si ricorda qualche personaggio storico che comprò una sua opera?
Fra gli acquirenti dei miei quadri, mi è grato ricordare S.E. L'Onorevole Benito Mussolini. Ebbi molta fede nel Fascismo fin dai suoi primi accenni, fede che non mi venne mai meno.
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L'opera fu esposta durante la prima mostra del Novecento italiano e Mussolini la pagò seicento lire. Se potesse tornare indietro nel tempo, si pente di qualcosa che ha fatto nella sua vita?
Nulla rinnego del mio passato perché nulla ho da nascondere di ozioso; la coscienza mi ha sempre guidato nell'operare e mi è di conforto il constatare che in tutti i miei tentativi, anche in quelli dei momenti di maggiore esitazione, la mia personalità è sempre riuscita ad affiorare.
Questo è un buon consiglio per molti che credono di dover conformarsi alla maggioranza per avere successo nella vita. Manca forse l'originalità.
Speriamo che finalmente ritorni un po' di sereno per questa povera Italia che ne avrebbe bisogno.
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Quest'ultima frase fu pronunciata da Giorgio Morandi il 4 agosto 1943. Una citazione evergreen?
Per approfondire la vita su Giorgio Morandi vi segnaliamo i seguenti libri:
- Giorgio Morandi. Lettere di Lorella Giudici (a cura di), Abscondita, 2004.
- Il mistero delle cose. Nove ritratti di artisti, Massimo Recalcati, Feltrinelli, 2016.
E il seguente documentario:
- La polvere di Morandi di Mario Chemello.
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