Esistenzialismo, Moravia allievo di Dostoevskij
Alberto Moravia si è considerato da sempre, fin dalle sue prime letture adolescenziali, un “allievo” di Dostoevskij, soprattutto in riferimento ad alcune caratteristiche delle sue opere che richiamo l’esistenzialismo. Il debito di Moravia nei confronti dell’autore russo è stato più e più volte sottolineato dallo scrittore romano in varie circostanze. In un articolo/intervista uscito su «La Stampa» nel 1977, leggiamo appunto: «Dostoevskij è il mio maestro, maestro di tutti coloro che sono considerati scrittori esistenziali. Il capostipite di tutta la fila di scrittori che arriva fino a Sartrea Camus».
Il grande russo ha inciso su Moravia sicuramente su un piano narrativo e stilistico, ma la portata più rilevante di tale influsso va riscontrata a livello esistenziale, sulla visione della vita. L’aspetto principale che, in molte interviste, Moravia sostiene di aver imparato dall’autore di Delitto e castigo, sta nella sua capacità di portare avanti con sicurezza un romanzo nel quale l’individuo non interagisce con la società, ma con se stesso, arrovellandosi in un turbine nevrotico che porta alla luce il problema dell’Io, dell’esistenzialismo appunto.
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Moravia ritiene che il cardine dell’opera dostoevskiana sia da ricercare in Memorie dal sottosuolo (anche se personaggi e questioni esistenzialiste ritornano in tutti i suoi romanzi), ed espone la sua interpretazione a riguardo nell’Introduzione della stessa per l’edizione Rizzoli del 1975. Qui affiora la consapevolezza di come Dostoevskij, scrittore ottocentesco, abbia aperto la strada a tematiche che saranno poi sviluppate in modo sistematico durante il Novecento. Il grande scrittore russo rivolge duramente (e per primo) lo sguardo a se stesso e, andando a realizzare quel tipo di romanzo che in seguito verrà definito esistenzialista, egli deve esserne considerato un precursore. Nell’ambito della letteratura ottocentesca, nella quale domina la rappresentazione della vita sociale, dei luoghi e dei momenti d’incontro della borghesia, Dostoevskij dipinge la figura dell’antieroe, di colui che vive in una dimensione interiore, un tipo di personaggio che regnerà indiscusso nel secolo successivo. L’autore delle Memorie mette un piede nel Novecento e attinge per la prima volta all’inconscio (a suo tempo non ancora definibile con questa terminologia), a questa «zona profonda nella quale così se stesso come gli altri non esistono più, annullati da qualche cosa di non individuale e non sociale» e ha il coraggio di parlarne. Ecco l’esistenzialismo che si fa presente. Utilizzando la metafora della casa a più piani, l’allievo Moravia osserva come Dostoevskij, stanco del “primo piano” in cui è sempre vissuto, luogo in cui regna la repressione di tutti gli aspetti sconvenienti e disdicevoli della vita (il livello borghese europeo e illuminista), decide di scendere al piano inferiore, nel sottosuolo, per cercare nuove risorse.
Nell’Ottocento, per la Russia zarista ancora fortemente legata alla terra, l’incitamento e l’ambizione di seguire i valori borghesi occidentali diventa, secondo Dostoevskij, uno «sterile scimmiottamento» di un sistema che invece in Europa era funzionale all’aumento della produttività, nella logica capitalista. Questo tentativo di imitazione ed esportazione di un sistema europeo in Russia appare, agli occhi di Dostoevskij, ridicolo e fuori luogo, ed ecco perché egli lo combatte, mettendo in scena dei personaggi che non sopprimono gli istinti, non celano le spinte più indecorose e spudorate. Fuori dalla società, immersi negli abissi della propria coscienza (o incoscienza) non ha senso cercare di controllarsi, dominarsi. Le resistenze crollano ed emerge l’uomo “che si confessa” liberamente. Moravia sostiene: «Con l’“io” dei Ricordi dal sottosuolo, comincia […] la sua carriera il personaggio esistenziale per il quale il rapporto sociale non è che una proiezione tra le tante della vita interiore». Non è altro che, secondo Moravia, la rappresentazione della nevrosi, pochi anni prima delle scoperte freudiane. La nevrosi guida ogni azione sociale dei personaggi, dettando comportamenti ambigui e contraddittori. L’uomo nevrotico, assediato dal dubbio, dall’ossessione, dall’ansia persecutoria, masochista e sadico, emerge dalle pagine dostoevskiane con una lucidità d’analisi impressionante.
L’elemento rilevante in Dostoevskij non è però, afferma il suo allievo romano, la scoperta dell’inconscio, ma la sua rappresentazione artistica a livello esistenziale: la nevrosi si fa racconto, e questa è l’«operazione sublimatoria»che compie lo scrittore delle Memorie. Noi vediamo in scena l’artista alle prese con la scrittura del male che sperimenta in sé e l’espediente del racconto della materia interiore diventa centrale per l’“io” della narrazione (le Memorie dal sottosuolo sembrano l’archetipo di opere come La coscienza di Zeno, nelle quali la scrittura in sé ha un valore terapeutico).
L’esito più evidente dell’influsso di Dostoevskij sull’allievo Moravia, e per il quale egli è considerato un rappresentante dell’esistenzialismo, è però l’opera di quest’ultimo. Il primo dei romanzi esistenzialisti dello scrittore romano in cui, come afferma egli stesso, affiora il problema tipicamente dostoevskiano è Gli indifferenti, romanzo d’esordio pubblicato nel 1929. Qui i protagonisti sono figure che si muovono perfettamente inserite nella società (a differenza degli antieroi di Dostoevskij), ma vivono la loro vita borghese in maniera “indifferente”, senza alcuna spinta morale. Il loro è un atteggiamento di disinteresse verso qualunque visione etica dell’esistenza, sono nulli, alienati, aridi spiritualmente. Non sanno più distinguere il bene dal male e quindi per loro un’azione buona ha lo stesso peso di una malvagia, in quanto le due realtà si equivalgono.
Qui dilaga l’essenza antinomica dell’individuo nell’opposizione fra l’esteriorità, che risponde agli schemi mondani, e l’interiorità libera e dolorosamente drammatica, esperienza analizzata in profondità dal grande scrittore russo. E nessuno dei personaggi de Gli indifferenti, pur in ricerca verso una verità, riesce a riempire il vuoto provato con qualcosa che li porti alla serenità, a qualcosa di risolutivo. Con quest’opera Moravia recupera la lezione esistenzialista dello scrittore russo per investigare il vuoto interiore, l’indifferenza morale di una benestante famiglia romana. Questa indifferenza pervasiva impedisce però lo sviluppo tragico dell’opera che, nel contesto della mediocrità borghese, resta impossibile.
Rispetto ai romanzi di Dostoevskij, dunque, l’esito è diverso, ma il punto di partenza è comune: un mondo dove tutte le certezze positiviste crollano, dove non ci sono più punti di riferimento, dove pian piano prende il sopravvento il pessimismo nichilista. A partire da questo, mentre la reazione dostoevskiana è tesa a rappresentare personaggi che rifiutano tutto e tutti, chiudendosi nel proprio malessere interiore, la via scelta dalle figure di Moravia è quella dell’apatia di fronte a un mondo insensato nel quale lottare sarebbe inutile.
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Leggiamo a tal proposito un passo significativo del romanzo:
Un disgusto opaco l’opprimeva; i suoi pensieri non erano che aridità, deserto; nessuna fede, nessuna speranza alla cui ombra riposare e rinfrescarsi; la falsità e l’abbiezione di cui aveva pieno l’animo egli le vedeva negli altri, sempre, impossibile strapparsi dagli occhi quello sguardo scoraggiato, impuro che si frapponeva tra lui e la vita.
Gli indifferenti è il primo di una lunga serie di “romanzi esistenzialisti” di Moravia, i cui temi cardine torneranno con insistenza in opere come Il conformista (1951), La noia (1960), L’attenzione (1965), Io e lui (1971), La vita interiore (1978) e via dicendo. Il peso concettuale di questi romanzi ruota attorno all’analisi dell’aridità morale, all’incapacità degli uomini di trovare un senso e una felicità, alla crisi d’identità, alla noia dell’esistenza, all’ipocrisia e allo sfacelo della vita contemporanea.
Dostoevskij, come precursore dell’esistenzialismo, ha dunque inciso intimamente il suo messaggio disperato di ricerca sulla verità dell’essere e dell’esistere nella mente e nell’anima di scrittori che, come Moravia, si sentivano inclini verso la stessa tensione vitale e possono dunque essere considerati suoi allievi.
Per la prima foto, copyright: Dmitry Ratushny.
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