"Elena di Sparta", il sorprendente esordio di Loreta Minutilli
Loreta Minutilli, laureata in fisica classe 1995, esordisce nella narrativa con Elena di Sparta (Baldini+Castoldi, 2019), un romanzo davvero interessante e originale che è stato tra i nove finalisti della XXXI edizione del Premio Calvino.
Attingendo ai miti del mondo classico, l'autrice dà voce alla protagonista, considerata la donna più bella del mondo e causa scatenante della guerra di Troia, ma nella cui vita c'è stato molto altro: un'infanzia infelice tra genitori distratti e fratelli impegnati a inseguire il loro destino di eroi, l'incontro precoce con la brutalità maschile, la mancanza complessiva di amore. La bellezza, in definitiva, non ha reso Elena felice, prigioniera di un ruolo da regina che le va stretto, ma che nemmeno lasciando il marito per fuggire a Troia con Paride ha trovato la felicità.
L'Elena di Sparta che si racconta nelle pagine di Loreta Minutilli è una donna in cerca della possibilità di esprimersi pienamente, al di là dell'immagine che ci siamo fatti di lei leggendo e studiando i classici.
Abbiamo fatto qualche domanda all'autrice nella sede milanese di Baldini+Castoldi.
Come è nato il desiderio di affrontare un personaggio come Elena di Sparta?
Ho frequentato il liceo classico, e per me è sempre stato fondamentale rielaborare per conto mio ciò che apprendevo in aula. La mitologia mi ha affascinato fin dall'inizio: era incredibilmente stimolante l'idea stessa che potessero esistere più versioni della stessa storia, tramandate nel corso dei secoli.
Mi è sempre piaciuto scrivere, e scrivere di miti: questo che avete tra le mani come romanzo pubblicato è l'esperimento meglio riuscito, ma mi è capitato più volte di scegliere un personaggio secondario del mito e provare a dargli una voce. La mitologia mi dava l'idea di potermi inserire, visto che per secoli lo avevano fatto in tanti.
Mi affascinava l'idea di questa donna che è stata la causa scatenante della guerra di Troia, eppure nell'Iliade non parla quasi mai, è un personaggio senza voce. E questo nonostante il fatto che l’Iliade non esisterebbe senza Elena!
Alla sua figura è sempre legata una colpa, sia che la si voglia scagionare, sia che la si accusi: la colpa non smette mai di esistere.
Ho iniziato a scrivere la sua storia dopo l'arrivo all'università, perché passando dal liceo classico alla facoltà di fisica ho cambiato completamente ambiente: mi sono ritrovata in un contesto prettamente maschile, in cui dovevo insistere un po' di più per far sentire la mia voce.
Ho capito che non era affatto scontato avere qualcuno che mi ascoltasse, e questo mi ha fatto ragionare sulla figura di Elena sotto questa luce.
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Sembra che la grande colpa di Elena sia, prima di tutto, quella di essere bella.
Sì, perché lei stessa spesso la percepisce così. Fin dall'infanzia viene trattata in modo diverso dagli altri a causa della sua bellezza, ed è considerata più un oggetto da contemplare e da proteggere che una figlia da amare come gli altri: la sorella Clitennestra, meno bella di lei, ha però un rapporto più stretto con i genitori e una maggiore libertà di movimento e di pensiero rispetto a Elena.
Poi, naturalmente, c'è la colpa legata al tradimento e all'abbandono del marito, quando lascia Menelao per andare a Troia con Paride. Nella mia lettura del suo personaggio, Elena sceglie di essere colpevole: nel momento in cui deve scegliere tra una vita tranquilla, priva di avvenimenti e una in cui, grazie alla sua bellezza, può davvero vedere e sperimentare qualcosa di nuovo, in una città come Troia, molto diversa da Sparta, lei sceglie la colpa e parte.
Quindi, sotto questo punto di vista, Elena è una donna moderna?
Certo! Ci tengo a dire che la mia, naturalmente, non è un’Elena “storica”: ho deciso di farla parlare come avrei parlato io, perché mi sembrava il modo migliore di far rivivere il suo mito oggi.
I miti greci raccontano l'uomo attraverso la narrazione del divino. Penso che fosse il loro scopo: tutte le emozioni della natura umana vengono rappresentate in modo molto più efficace da un dio, separato da te, e alla fine quello che leggi non è un mito, ma sei tu. In questa chiave, leggere la storia di Elena raccontata così, permette di trovare molto delle donne di oggi. Secondo lei, perché dopo migliaia di anni il mito greco continua a parlare di noi?
Sono d'accordo sul fatto che il mito servisse per raccontare gli uomini agli uomini, ed è proprio questo a renderli attuali anche dopo tanti secoli. La chiave del mito è quella della bellezza di una storia semplice, che si presta a essere affrontata da diverse prospettive. Il mito è impersonale, è una vicenda che viene raccontata in modo così lineare che può essere letta da più punti di vista. Noi sappiamo chi sia stata Elena di Sparta, la donna più bella del mondo, ma sta a noi, in fondo, immaginarne i pensieri e i desideri.
Leggendo il romanzo mi ha incuriosita la sua visione di Paride: nel mito si presuppone che Elena scappi con lui per amore, quindi lo si immagina come un uomo bello e affascinante, ma il suo Paride non è assolutamente l’uomo che saremmo portati a immaginare, tanto che ci si chiede cos'abbia visto in lui Elena. Come mai ha scelto di descriverlo in un certo modo?
È stata la prima decisione che ho preso: non volevo che quella di Elena fosse una fuga d'amore, sia per rendere originale la mia storia, sia perché volevo creare un personaggio razionale e trasgressivo. Mi piaceva che fosse più vicina a Menelao che non a Paride: volevo che la sua scelta fosse più cinica, calcolata, che partisse con Paride per ottenere qualcosa per se stessa. Elena parte con Paride essenzialmente per andare a Troia, non per stare con lui.
Il romanzo appare come un monologo, una confessione e la liberazione di Elena dal peso della sua storia. Nella seconda parte, quando subentra il disincanto, la protagonista dice «sono cresciuta troppo lentamente», rendendosi conto di essere stata bambina e figlia troppo a lungo.
Sì: questo rientra sempre nell'idea che lei non abbia mai conosciuto il mondo perché intrappolata tra le mura di Sparta: la sua bellezza l'ha fatta vivere in una gabbia dorata, dalla quale non poteva uscire, anche per il suo ruolo di regina. Quando arriva a Troia, Elena inizia a rendersi conto che la sua bellezza la rende sì unica, ma che in un ambiente in cui deve guadagnarsi il rispetto del prossimo questo non basta a renderla speciale.
Deve dimostrare di saper dare qualcosa al prossimo. Se non avesse seguito Paride, probabilmente non avrebbe mai lasciato Sparta e forse avrebbe sempre creduto di essere una donna unica al mondo: lasciare la sua casa le permette di scoprire che non è così.
Nel romanzo fa la sua comparsa anche la sessualità di Elena, in particolare si parla di un evento molto doloroso, che non dev'essere stato facile mettere su carta.
La scelta che Elena fosse vittima di violenza serve da un lato a spiegare la sua difficoltà nel costruire un rapporto col prossimo, dall’altro mostra un contrasto tra l'idea di lussuria associata alla sua straordinaria bellezza e il fatto che, invece, lei appaia completamente bloccata nel godere della sua sessualità. Per lei quello della sessualità resta un mondo incomprensibile, ma è anche questo uno stimolo a partire, per cercare di diventare qualcosa di più di un corpo bellissimo.
Questo desiderio di Elena di viaggiare la fa accostare in qualche modo alla figura di Ulisse, l’eroe che viaggia spinto dalla curiosità.
All'inizio volevo persino mettere una citazione dall'Odissea, dove Telemaco, cercando il padre, si reca a Sparta alla corte di Menelao e vede Elena, ma anche nell’Odissea, in definitiva, Elena non ha voce.
Ulisse è il personaggio che nel mito rappresenta l'avventura, la curiosità estrema, le esperienze straordinarie: non esiste un suo corrispettivo femminile, ma secondo me Elena è l'unica che esce dal suo mondo conosciuto compiendo una scelta, grazie alla quale vive una vita diversa da quella già scritta per lei. Per me Elena parte anche per vivere un'avventura. Inoltre, come Ulisse racconta a Penelope il suo viaggio, così fa la "mia" Elena con Menelao: perché è il racconto del viaggio a dare un senso e una dimensione al viaggio stesso.
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Lo studio della fisica e dell'astrofisica ha cambiato la sua visione del mito? E come riesce a conciliare studio e scrittura?
Mi serve sicuramente avere entrambe le cose nella mia vita, lo studio scientifico e la scrittura. Se dovessi solo studiare o solo scrivere mi mancherebbe qualcosa e non credo funzionerebbe: passare dall’uno all'altro mi permette di avere una via di fuga che mi aiuta molto.
Studiare astrofisica, d’altra parte, mi ha aiutata a mettere ordine, anche nel mio modo di scrivere: è uno studio che ti rende disciplinato, e ha fatto in modo che imparassi a scrivere in maniera più chiara, oltre a darmi gli strumenti per portare a termine ciò che iniziavo.
Avevo iniziato e abbandonato tante storie, in passato, prima di riuscire a portare a termine questa, scritta proprio mentre studiavo all’università.
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