Editing ‒ Una nuova rubrica per imparare a conoscerlo
Da qualche tempo mi girava nella testa il desiderio di condividere qui alcune riflessioni sull’editing, campo del sapere che in Italia pare avvolto da una patina di mistero. I motivi sono diversi e cercherò di spiegarli nelle puntate di questa nuova rubrica, oltre a presentare una serie di principi che negli anni è diventata strumento imprescindibile per il mio approccio come editor.
Si può essere editor in tanti modi.
Lo scrittore Thomas Wolfe e la costumista Aline Bernstein si incontrarono la prima volta nel 1925. Lui aveva 24 anni ed era cristiano, lei 44, all’apice della sua carriera, ebrea e sposata con Theodore F. Bernstein, un broker di Wall Street e con il quale stava vivendo un matrimonio infelice. Non solo quell’incontro fu l’inizio di una passione clandestina, ma rappresentò una svolta per Wolfe, tanto che lei divenne la sua musa, oltre che un sostegno economico ed emotivo. Tuttavia, lo scrittore attraversò fasi di incertezza per tale relazione, così decise di chiedere un consiglio al suo editor, Maxwell Perkins, già famoso a quel tempo per avere per esempio scoperto il talento di Francis Scott Fitzgerald.
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Gli raccontò i circa quattro anni di dolcezza e difficoltà con Aline, ma Perkins, fedele all’etica professionale, preferiva sorvolare sui patemi d’animo dello scrittore. Dopo ripetuti tentativi in varie occasioni, l’editor si limitò a dichiarare che non capiva «come la relazione potesse continuare e che dal momento che lei era tanto più grande, certamente si sarebbe dovuta concludere prima o poi». Perkins era una persona riservata e preferiva parlare soprattutto di libri con gli autori. La scrittura rappresentava per lui l’unico motivo di un rapporto professionale, anche se considerava Wolfe, con il passare del tempo, una sorta di figlio adottivo. Nonostante le sue prudenze, possiamo considerare Perkins un editor empatico con gli scrittori, sempre pronto a diventare trasparente per facilitare il successo altrui.
Se passiamo dallo zenit al nadir, esattamente opposto è il caso di Gordon Lish, uno degli editor più temuti, per differenti ragioni. Infatti, al netto della sua visione chirurgica della scrittura, sono rimasti nella memoria di numerosi addetti il suo carattere poco conciliante, per dirlo elegantemente, oltre a un egocentrismo che lo portava a prendersi l’attenzione anche quando Perkins si sarebbe adombrato.
Difficile in molti casi separare l’editor dal suo modo di stare al mondo, perché una parte nutre l’altra e viceversa. Per alcuni la dinamica osmotica è ancor più vera, si pensi allo statunitense Robert Gottlieb o alla russa Natasha Perova.
Numerosi sono anche i casi di scrittore/editor, per restare nelle sponde italiche si pensi a Giorgio Bassani o a Elio Vittorini, e fra i contemporanei Chiara Valerio, Andrea Gentile o Andrea Bajani.
Da quando lavoro nell’editoria non ho mai sentito due formazioni uguali fra gli editor, di rado simili, c’è chi ha iniziato con uno stage in una casa editrice e poi si è appassionato al mestiere, c’è chi è stato prima autore e dopo ha iniziato a fare l’editor, c’è chi ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Mondadori e ora fa l’editor freelance.
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La capacità di editare bene un testo è anzitutto la volontà di tenersi aggiornati leggendo quanto più possibile dei contemporanei, sarebbe infattibile diversamente. L’editor chiede a se stesso di valorizzare un inedito in un tempo preciso, che sia il 2018 o che sia il 2020, perciò in un contesto socioeconomico non vago e questo gli/le permette di poter eseguire al meglio il suo lavoro, giacché uno scrittore chiede dal canto suo di essere capito in un tempo preciso. Un romanzo su una pandemia nel 2018 va valorizzato assai differentemente dallo stesso romanzo su una pandemia nel 2020.
Continueremo nella prossima puntata a porre nel piatto altri concetti per conoscere sempre più il magico mondo dell’editing.
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