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Editing ‒ Un aneddoto fra due giganti

Editing ‒ Un aneddoto fra due gigantiEditare, si diceva, è soprattutto un rapporto umano. Van Wyck Brooks fu un importante critico letterario statunitense che nacque nel 1886 nel New Jersey. Ricevette un Premio Pulitzer e il «Time» gli dedicò una copertina nel 1944, due elementi per far comprendere in breve quanto fosse noto a quel tempo. Ma non ebbe solo giorni felici. Nel 1926, a quasi quarant’anni, cadde in una depressione che lo colpì profondamente. Brooks, in capo a poco tempo, fu debolissimo a livello di salute e aveva altri problemi da risolvere. Inoltre, si riteneva un fallito dal punto di vista della scrittura.

Max Perkins, che già vi ho menzionato in passato, era un caro amico di Brooks dai tempi dell’infanzia, si erano poi rivisti anche all’Università di Harvard, frequentavano il club letterario Stylus e vivevano nella stessa casa. Anni dopo, durante la depressione di Brooks, l’editor Perkins, che stava vivendo una fase importante della sua carriera, si dedicava quasi ogni domenica all’amico, passeggiando insieme. Ragionavano di libri e di scrittura, e non c’era soltanto l’aspetto professionale: la cara amicizia nutriva il loro rapporto e, nonostante ciò, ci fu un periodo in cui Brooks si isolò da quasi tutti, incluso Perkins. Ne parlava pure con la madre, come attestano alcune dichiarazioni dell’epoca, e sembrava una scelta consapevole, come se il vecchio amico fosse un ostacolo alla sua carriera come scrittore.

 

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Anni complessi, anni nei quali la loro amicizia visse momenti altalenanti, ma Perkins non mollò mai l’osso, pur rispettando le altrui decisioni.

Nel 1935, quando gli eventi presero una piega migliore, Brooks fece visita all’amico, periodo nel quale stava scrivendo Flowering of New England, il suo capolavoro. Due anni dopo vinse il Pulitzer per la storia e fu dedicato a Maxwell Perkins.

Nel mezzo c’era stata la depressione, ma anche una casa di cura privata a New York, un matrimonio sofferente per un tradimento, problemi economici, eppure il legame fra i due amici servì a sbloccare una situazione che sembrava essere destinata alla tragedia.

Questa puntata di passaggio mi serviva per esprimere un concetto che pare essere dominante in Italia: la convinzione che il rapporto fra editor e scrittore debba essere esclusivamente professionale. Dipende, verrebbe da dire. Esistono casi, come quello di Brooks e Perkins, che dimostrano quanto la scrittura e il riflettere sulla scrittura possano portare a legami umani imprevedibili e che nulla tolgono alla professionalità. Capiamoci, non è la strada maestra, ma può capitare.

Lo dico agli editor neofiti: potrebbe succedere che un autore desideri sconfinare rispetto ai temi dell’editing di un testo. La mia esperienza mi ha insegnato che non è affatto un male, di frequente questo aiuta a rafforzare la fiducia fra le parti, se non diventa un flusso di coscienza che si allontana troppo dalla natura più importante del rapporto.

 

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Perciò il consiglio è di non essere inutilmente rigidi su tempi e modi di comunicare, c’è sempre qualche aspetto interessante che potrebbe aiutare a eseguire l’editing con maggior consapevolezza e non pensiate che chiacchierare con l’autore non possa rappresentare una forma di esplorazione del suo immaginario, che vi tornerà utile per capire meglio un suo testo.   

Alla prossima lezione.

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