Editing ‒ Le domande obbligatorie da porsi
Fare editing è, semplificando, una forma di controllo su un testo e con controllo si intende una visione rigorosa di ogni singola parte, in primo luogo. Non si può avere una visione di insieme, altrettanto fondamentale, se non si possiede piena consapevolezza delle singole parti, anche le più piccole.
Tuttavia, durante la (ri)lettura, dovrebbero esserci sempre alcune domande martellanti nella testa dell’editor per poter passare dal particolare al generale e viceversa. Domande che soprattutto in qualche punto del romanzo diventano la vera ragione della qualità.
All’inizio di ogni capitolo ci si chiede: «Sta incuriosendo chi legge?». Non può incuriosire dopo 30 righe o quattro pagine, deve incuriosire da subito. I lettori abbandonano la lettura con velocità se non sentono la fame di proseguire. Perciò, come spesso osservo, attenzione con le descrizioni di ambiente o di contesto lunghe e banali e che potrebbero benissimo non essere presenti.
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Si lavora anche per esempio sulla lunghezza delle frasi: alternarla comporta un’alterazione nel ritmo e questo può a volte salvare da una descrizione debole. Si lavora per esempio sulla presenza dei sensi: tanta è la potenza di vista, olfatto, gusto, udito e tatto, che sarebbe sciocco non usarli per attaccare il lettore alla pagina. Si lavora per esempio su qualcosa di non detto che attira chi legge verso una domanda: non si dovrebbe mai dimenticare che quasi tutti i lettori sono più intrigati da ciò che manca rispetto a ciò che è esplicito. Era chiarissimo a Leopardi quando spiegava che l’immaginazione delle persone è stimolata da quanto è vago e indefinito, non certo dalla precisione e dal definito.
Se le prime righe di un romanzo raccontano la macabra scoperta di un uomo assassinato con un coltello, non saranno certi i tantissimi dettagli a incuriosire il lettore, bensì le domande che stimoleranno la sua fantasia. Perciò perché insistere in noiosissime scene colme di particolari se questi non portano domande?
Altra domanda da porsi, questa volta alla fine dei capitoli: «Ha lasciato qualcosa in sospeso?», perché i lettori dovranno sentire l’istinto di girare pagina. Come ottenere tale risultato se non lasciando un paesaggio letterario aperto a più opzioni che quindi NON risolve una determinata situazione? Magari quella scena sarà ripresa ‒ come spesso accade ‒ non subito, ma più avanti, a distanza di due capitoli o a distanza di 80 pagine. Lasciare in sospeso qualcosa è un modo, in altre parole, di trascinare la curiosità verso un futuro indeterminato di cui si sospetta la sua certezza ma che nelle pagine in lettura non si sa ancora quando.
Vediamo un esempio banale, pieno di altre debolezze, ma concentratevi sul concetto espresso poc’anzi: è la fine di un capitolo.
Ha scoperto un tradimento di Claudia, ne ha la certezza. Durante un caffè in un bar del centro città lei, incalzata dalle domande di Luca ha confessato fra le lacrime come fosse confusa, debole in quel momento e che non significava nulla più che una faccenda fisica.
«Scusami amore… io mi vergogno tantissimo di ciò che ho fatto, ti prego scusami…»
Lui impassibile, serissimo in viso, ascoltava in silenzio.
Dopo pochi minuti, si è alzato, andandosene. Non ha risposto per giorni alle chiamate di Claudia, non ha aperto la porta quando si è presentata per due volte a casa sua. Un muro.
Al quinto giorno, un sms: «Stasera alle 21 verrò a casa tua, devo parlarti e tu mi ascolterai».
Lei, fra pianti e angoscia, distrutta dal senso di colpa, ha trascorso le ore con le mani che le tremavano e sfogandosi con due amiche che cercavano inutilmente di consolarla.
Alle 21:00 suonò il campanello.
«Sì?»
«Sono io.»
«Sali».
Il rumore dell’ascensore le aveva dato un brivido alla schiena.
Claudia, con la mano sudata, aprì la porta. Si fissarono per qualche secondo gli occhi. Lui accennò a un timido sorriso, anche lei.
«Posso entrare?»
«Vieni… vieni».
Ecco un pessimo modo per concludere un capitolo. Lascia qualcosa in sospeso? Poco. Quei sorrisi complici dicono già troppo. Un editor dovrebbe andare giù di cesoie. Vi propongo una versione diversa nel finale e chiedetevi quale lasci più in sospeso. Alla prossima puntata.
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Ha scoperto un tradimento di Claudia, ne ha la certezza. Durante un caffè in un bar del centro città lei, incalzata dalle domande di Luca ha confessato fra le lacrime come fosse confusa, debole in quel momento e che non significava nulla più che una faccenda fisica.
«Scusami amore… io mi vergogno tantissimo di ciò che ho fatto, ti prego scusami…»
Lui impassibile, serissimo in viso, ascoltava in silenzio.
Dopo pochi minuti, si è alzato, andandosene. Non ha risposto per giorni alle chiamate di Claudia, non ha aperto la porta quando si è presentata per due volte a casa sua. Un muro.
Al quinto giorno, un sms: «Stasera alle 21 verrò a casa tua, devo parlarti e tu mi ascolterai».
Lei, fra pianti e angoscia, distrutta dal senso di colpa, ha trascorso le ore con le mani che le tremavano e sfogandosi con due amiche che cercavano inutilmente di consolarla.
Alle 21:00 suonò il campanello.
«Sì?»
«Sono io.»
«Sali».
Il rumore dell’ascensore le aveva dato un brivido alla schiena.
Claudia, con la mano sudata, aprì la porta.
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