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Editing ‒ Il punto di vista onnisciente può essere personale o impersonale

Editing ‒ Il punto di vista onnisciente può essere personale o impersonaleBene, avete osservato le criticità principali come si diceva, oggi ci dedichiamo ad approfondire un concetto cui abbiamo già accennato qualche lezione addietro: il punto di vista onnisciente. In realtà può essere di due tipi ed è qui che tanti scrittori alle prime armi cadono. Un editor troverà spesso questo errore.

Nel momento in cui un romanzo abbraccia il narratore onnisciente, la scelta dovrebbe da subito chiarire un aspetto: personale o impersonale?

Se è personale il narratore partecipa nei commenti e nel giudizio ai fatti della storia, al contrario, nell’impersonale il narratore si limita a raccontare i fatti e a presentare eventualmente i pensieri dei personaggi senza alcun commento o giudizio.

Qual è il problema di non pochi scrittori? Non riflettono su questo punto, fanno un po’ a caso e invece dovrebbero essere coerenti: aut aut, o di qua o di là. Non tanto perché sia un errore editoriale (non saranno molti i lettori ad accorgersene) quanto per ragioni stilistiche. Anche da questo si nota la voce di un autore.

Provo a dirlo in altre parole. Quando c’è un narratore personale, l’autore desidera rivolgersi direttamente ai lettori, fare loro qualche confidenza, mostrare loro un giudizio su qualche azione o pensiero di un personaggio. Vuole entrare nella storia, in termini calcistici si potrebbe dire che fa un’invasione di campo, perché sente che sia importante mostrare esso stesso, il narratore, come un personaggio principale dentro la storia.

 

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Nel caso di un narratore impersonale non c’è mai il desiderio di mostrarsi, di far sentire la propria presenza nella storia e non c’è neanche un coinvolgimento emotivo con quanto accade. Ogni opinione del narratore è espressa come una verità, non come opinabile.

L’editor sentirà durante la lettura l’odore di ambiguità fra le due forme e, dopo averlo segnato qua e là nel testo, cercherà di capire quale forma sia preferibile per la storia. Un consiglio. Negli anni mi è capitato di ragionare concettualmente con numerosi autori su questo argomento ma ho notato che è molto meglio volare subito nel testo indicando i diversi punti di ambiguità. Da un lato, chi scrive si sente autorizzato a intervenire quando e come vuole nel campo di gioco, dall’altro si sente anche nella posizione di diventare impersonale per decine di pagine se lo vuole. Il nodo è qui: diventare consapevoli della differenza di approccio.

In tantissimi casi un autore si affeziona particolarmente a un personaggio ed è proprio qui che diventa ambiguo, a tratti lo giudica, a tratti lo osserva in silenzio.

Ricordate sempre che confondere i lettori sul punto di vista non è efficace per nutrire la curiosità, meglio tenere un’area di manovra definita nei confini. Se dovessi trovare una domanda da porre a uno scrittore con un inedito direi: «Volevi che la tua coscienza come narratore ci fosse o non ci fosse nella trama?»

Di solito non sa rispondere o risponde in maniera imprecisa.

C’è una cosa che ho imparato come editor: sì, gli interventi nel testo sono importanti, ma ho capito nel tempo che sono anche importanti le domande da rivolgere a chi scrive. L’editor dovrebbe essere un sostenitore del metodo socratico, aiutando perciò lo scrittore a rispondere con più chiarezza alle domande. Questo percorso di consapevolezza permette poi di riscrivere con maggior efficacia.

 

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Altro consiglio. Se notate che l’invasione di campo è troppo forzata, cercate di consigliare a tale autore di smetterla di fare l’arbitro e di limitarsi a giocare la partita. Ho notato in passato che questa immagine funzionava bene per riflettere sulla differenza fra punto di vista onnisciente personale e impersonale.

A giovedì prossimo.

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