Editing ‒ Il punto di vista… dell’autore
Nella scorsa puntata accennavo a Taylor Caldwell e al suo editor per parlarvi della necessità di tagliare qualche volta dove la trama e le descrizioni vanno oltre il necessario: un buon modo per migliorare il punto di vista d’una storia.
Restiamo negli Stati Uniti, ma questa volta immaginate William S. Burroughs, scrittore della Beat Generation, di fronte alla pagina bianca. Qual era il suo punto di vista preferito per scrivere un romanzo? Dimenticate le focalizzazioni o altre diavolerie dell’ingegneria narrativa. Non c’entrano le tecniche. Burroughs scriveva per immagini, partiva da una o più immagini. Non a caso fu anche pittore. Meglio soffermarsi, diceva, su un’immagine e poi le parole emergono come conseguenza naturale. C’è chi sostiene che la tendenza verso la generalizzazione e la generalizzazione non visiva sia la maledizione della scrittura.
Nel 1961 Burroughs si trovava a Tangeri, tutto preso dal demone della letteratura e con la macchina da scrivere davanti. Gli chiesero: «A cosa stai pensando Bill?». Lui rispose: «A mani che tirano le reti dal mare». Un’immagine definita. Non un’idea. E aggiunse: «Ogni mattina i pescatori vengono giù alla spiaggia prima dell’alba e tirano le loro reti». Sono anche gli anni degli esperimenti letterari di cut-up (per un cut-up serve tagliare fisicamente un testo, lasciando soltanto parole o frasi, e infine mischiare i pezzi ricreando così un testo nuovo e differente che conserva un senso logico anche se talvolta oscuro), esperimenti che portava avanti con Brion Gysin, Gregory Corso, Allen Ginsberg e Sinclair Beiles.
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Burroughs era interessato sia alle linee delle parole sia a quelle delle immagini e possedeva una visione assai spirituale verso il linguaggio. Talmente estremo a volte nelle sue teorie che a un certo punto pensò che fosse necessario sterminare tutte le donne per passare a una fase più matura con l’uomo in grado di partorire. A parte le sue follie esagerate, rimane uno scrittore che per quanto concerne il punto di vista aveva non solo le idee chiare ma anche un metodo di lavoro preciso.
Immaginate che un editor, sicuro delle proprie tecniche di osservazione testuale, incontri un novello Burroughs, che ragiona per immagini. Capite che il punto di vista è particolare, la costruzione delle frasi è particolare, il legame fra le scene è particolare. Inutile scontrarsi con una determinata tecnica se il modo di vedere la trama dell’autore è nelle fondamenta diverso.
Ecco un consiglio per gli editor quando è possibile: parlate un po’ con lo scrittore, chiedetegli di raccontarvi quando e come ha pensato a quella storia, se ascoltate con attenzione troverete già di sicuro principi su cui riflettere una volta che avrete il naso sul testo. In altre parole, avrete qualche informazione aggiuntiva che vi aiuterà a comprendere meglio il romanzo.
Non sempre il punto di vista riguarda soltanto un ingranaggio strutturale della scrittura, a volte è lo stesso scrittore che si approccia alla costruzione delle storie con sguardi interiori particolari. Saperlo aiuta a ragionare con maggior consapevolezza.
Esistono scrittori che pensano un’idea e ci ragionano; esistono scrittori che vibrano grazie a un’immagine; esistono scrittori iperconcentrati sull’intreccio; esistono scrittori che iniziano a creare pensando alle caratteristiche dei personaggi; esistono scrittori che pensano a un climax e poi costruiscono la trama andando a ritroso. Potrei continuare con modalità differenti per almeno un’altra decina di minuti.
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Conoscere almeno un po’ l’approccio di chi scrive serve a metabolizzare meglio certe scelte testuali per proporre modifiche più efficaci. Non è che allo scrittore si spiegheranno queste riflessioni, non servirebbe, ma rappresentano la cassetta degli strumenti dell’editor per affrontare con più serenità i momenti in cui si potrebbero creare fraintendimenti o quando certi tagli sembrerebbero eccessivi.
Ci vediamo nella prossima puntata.
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