Edgar Allan Poe, il genio del brivido
«Gli uomini mi hanno definito pazzo, sebbene non risulti ancora chiaro se la pazzia sia, o no, il grado più alto dell’intelletto e se molto di quanto dà gloria e tutto ciò che rende profondi non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione dello spirito, a spese dell’intelletto in genere».
Da Eleonora (Racconti del Terrore, 1841)
Qualcuno lo ha definito “autore maledetto”, ma ogni etichetta, associata a Edgar Allan Poe, non riassume nemmeno un decimo della cupa, dirompente creatività di questo genio del brivido. La critica del suo tempo non lo amava e il pubblico non si rese immediatamente conto di quanto questo scrittore ai margini di qualunque regola o canone avrebbe influenzato la letteratura.
Edgar Allan Poe, infatti, seppe indagare l’animo umano fin nei più tenebrosi meandri, senza timore di portare alla luce manie, angosce e pulsioni ben celate in ognuno di noi.
Ebbe un’esistenza al limite, del tutto caotica che, invece di sopprimere o imbrigliare la sua creatività, la condusse verso sentieri inesplorati, talvolta spaventosi, regalandoci dei veri e propri capolavori.Non fu solo uno scrittore, ma anche un giornalista, un poeta e un saggista. Oggi è considerato uno dei più importanti esponenti del genere gotico (benché tale genere fosse precedente alla sua produzione) con venature decadenti, crepuscolari e una particolare attenzione all’introspezione psicologica dei personaggi. Viene reputato anche padre del genere poliziesco, non senza accesi dibattiti tra chi sostiene che, per motivi stilistici e cronologici, non gli si possa attribuire tale paternità.
Per noi ammiratori, comunque, Edgar Allan Poe rimane, senza esagerazione ma guardando alla sua intramontabile popolarità, uno degli esponenti di spicco della letteratura a livello mondiale, un precursore di generi quali il thriller e persino la fantascienza.
Poe nacque a Boston il 19 gennaio 1809 da una famiglia di attori, David Poe ed Elizabeth Arnold, che morirono di tisi un paio di anni dopo. Il piccolo venne affidato alle cure del mercante John Allan, il quale gli consentì di studiare in ottime scuole inglesi. Edgar, fin da giovane, mostrò un’inclinazione per gli studi, la composizione di rime e un carattere fatto di romanticismo misto a un prepotente senso della drammaticità. Se la vita da studente gli diede soddisfazione in ambito intellettuale, così non fu dal punto di vista della condotta; il padre adottivo, nel 1826, si rifiutò di pagare ancora i suoi debiti e perdonare le infrazioni alla disciplina.
Edgar Allan Poe iniziò, così, a scrivere per passione e per mantenersi dopo essere stato diseredato nel 1834. Nel 1835 pubblicò i primi racconti e venne assunto nella redazione del «Southern Literary Messenger» a Richmond. La lotta contro i demoni che vivevano nel suo animo, però, non cessò mai, neppure dopo il matrimonio con la cugina Virginia Clemm, avvenuto l’anno successivo.
I racconti e l’unico romanzo che scrisse, ovvero Le avventure di Gordon Pym (1838) rappresentarono l’unica vera valvola di sfogo per lui, il solo modo per distruggere, seppur temporaneamente, le angosce che lo dilaniavano.
Tra i racconti più celebri citiamo, invece, Metzengerstein (1832), Berenice (1835), Morella (1835), Re Peste. Un racconto contenente un’allegoria (1835), La caduta della casa degli Usher (1840), Il ritratto ovale (1841), La maschera della morte Rossa (1841) e I delitti della Rue Morgue (1841), Il pozzo e il pendolo (1842), Il cuore rivelatore (1843), Il gatto nero (1843).
Ne I delitti della Rue Morgue compare il personaggio di Auguste Dupin, in cui critici e ammiratori concordano nel riconoscere il “padre” letterario di Sherlock Holmes, Nero Wolfe, Hercule Poirot e tutti gli investigatori che fanno del ragionamento, dell’intuizione e della deduzione le loro “armi” per risolvere i casi più intricati.
Poe scrisse anche racconti umoristici e di satira e rimase talmente affascinato dalle teorie di Franz Anton Mesmer (1734-1815) da dedicare al mesmerismo due storie immortali, Rivelazione mesmerica (1844) e La verità sul caso Valdemar (1845), divenuti di ispirazione anche per alcuni fumetti del celebre Dylan Dog di Tiziano Sclavi.
Nel 1846, Poe perse la moglie, da anni malata di tubercolosi e, da quel momento, iniziò a sprofondare in un circolo vizioso di paure e crisi a cui si sommarono l’abuso di alcol e la povertà.
Quest’ultimo punto è molto importante per comprendere la vita del genio Poe: al contrario di altri autori, la sua fama crebbe davvero solo dopo la morte, mentre quasi tutta l’esistenza fu una continua lotta contro l’indigenza e il mancato riconoscimento artistico. Due ostacoli che avrebbero scoraggiato scrittori coraggiosi, ma non Edgar Allan Poe, che continuò a creare fino alla fine.
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Proprio sulla sua morte aleggia l’ultimo mistero a cui, involontariamente, contribuì l’autore americano. Il 3 ottobre del 1849 Poe venne ritrovato per le strade di Baltimora in stato confusionale e non si seppe mai come fosse arrivato fin lì e con abiti che, a quanto pare, non gli appartenevano. Morì il 7 ottobre e alcune fonti sostengono che abbia più volte invocato il nome “Reynolds”, ma chi lo accudiva non riuscì a capire a chi si riferisse. Sulle cause della morte ci furono, e ci sono ancora, molte ipotesi, dalla rabbia all’abuso di alcol. Probabilmente non sapremo mai la verità, anche perché non venne effettuata l’autopsia e non sono pervenuti fino a noi referti clinici.
Di questa esistenza fuori dal comune, però, ci rimangono gli scritti, dai racconti alle poesie fino alle lettere che ci aiutano ad avere una visione, se non esatta, almeno più chiara della psicologia di Edgar Allan Poe.
Il suo stile è caratterizzato dalla brevità dei racconti, in cui nessun dettaglio può essere casuale o poco approfondito; la psicologia dei personaggi che la penna dello scrittore ha letteralmente forgiato in ogni storia senza dimenticare l’evoluzione di questi e della stessa narrazione; il colpo di scena che deve arrivare in modo repentino, dopo l’inarrestabile ascesa dell’angoscia nel lettore, il quale può intuire la verità, ma deve arrivare a toccarla davvero solo sotto la guida dell’autore; il mistero; le paure ataviche, insite in noi e che si ripresentano quando siamo più indifesi; il linguaggio colto ma semplice, immediato.
Per il genio di Poe il racconto è come una perla perfettamente sferica, senza impurità o imperfezioni di alcun tipo. I suoi racconti sono talmente profondi e dotati di bellezza estetica, cioè ritmo, scelta precisa delle parole, frasi brevi e senza orpelli, da non avere bisogno di alcun ritocco per essere compresi e gustati dal lettore moderno.
Edgar Allan Poe fu, in effetti, un esteta della parola; detestava il gusto pacchiano, il lusso sfrenato e amava, invece, la semplicità insita nella vera bellezza, nella raffinatezza e nell’eleganza che è e non ha bisogno di apparire.
Gli americani lo amano, benché questo amore sia stato un po’ tardivo e non mancano un premio in suo onore, l’Edgar Award assegnato dalla Mystery Writers of America alla miglior opera (non solo narrativa) di thriller e decine di racconti e opere televisive a lui ispirate.
Abbiamo citato prima Dylan Dog, ma dobbiamo ricordare anche la celebre serie della Fox I Simpson, in cui non mancano trasposizioni delle opere di Poe mandate in onda nei cicli de “La Paura fa Novanta” dedicati a Halloween.
Edgar Allan Poe è tuttora studiato nelle scuole anglosassoni e chi vi scrive ha sempre un sorriso nel ricordare un frammento di un episodio tratto proprio dalla fortunata serie di Matt Groening (ciclo “La paura fa novanta”, seconda stagione) in cui Bart e Lisa si trovano nella casa sull’albero a leggere storie inquietanti per celebrare degnamente la festa di Halloween. Bart, a dire il vero, prova già una certa inquietudine nel notare che sua sorella sta per leggere una storia tratta da un libro scolastico, ma quando Lisa accenna le prime parole della novella Il corvo (1845) di Edgar Allan Poe, persino Homer, che ascolta non visto, rimane talmente terrorizzato e suggestionato, da non riuscire nemmeno ad addormentarsi.
Il genio di Edgar Allan Poe, il maestro del brivido, sta proprio in questo: turbare le nostre notti affinché i giorni diventino motivo di riflessione sulla nostra condizione esistenziale.
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