Ecco perché non dobbiamo temere la chimica. Intervista a Marco Malvaldi
Tutto ciò che ci circonda, in un modo o nell’altro, è frutto di un processo chimico. Eppure se c’è una branca della scienza che guardiamo con una certa diffidenza è proprio la chimica.
Marco Malvaldi, nel suo L’architetto dell’invisibile ovvero come pensa un chimico, edito da Raffaello Cortina Editore e finalista nell’edizione 2018 del Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica, cerca di indagare quegli aspetti della chimica che sono vicini a noi più di quanto riusciamo a immaginare. E lo fa con un linguaggio semplice e accattivante, come la divulgazione scientifica dovrebbe sempre fare, e rivolgendosi a un pubblico di non esperti a cui cerca di raccontare letteralmente come pensa un chimico.
In occasione della sua candidatura al Premio Galileo abbiamo posto qualche domanda a Marco Malvaldi.
Nella premessa al libro, lei scrive che il chimico ha bisogno di un vocabolario particolare «fatto di lettere (gli atomi), di parole (le molecole), di frasi (i processi chimici) e di storie (i materiali finali)». In che modo il suo essere chimico influisce sulla sua attività di scrittore?
Le due cose sono intrecciate in modo tale che separarle sarebbe sconsigliabile, credo. Da chimico ho imparato l'importanza del feedback, del riscontro, del confronto tra quello che tu pensi e quello che in realtà succede. Questo processo di autovalutazione ti porta, necessariamente, a chiederti che tipo di errori fai quando tenti di spiegare la realtà in termini del tuo pensiero; e quindi, in successione, a chiederti che persona sei. Una domanda a cui puoi rispondere solo scrivendo, e una domanda che non ha una risposta: la persona che sono oggi è necessariamente diversa da quella che ero ieri. è una diversità effettiva, fisica e chimica: le mie sinapsi cambiano in base a quello che faccio, che leggo, che ascolto. Per rispondere alla domanda “io chi sono” devo ammettere che la risposta è “non lo so, ma posso dirti quello che penso degli altri”.
Ogni persona è un processo, ogni persona cambia col tempo: è un concetto profondamente legato alla chimica.
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Il sottotitolo del saggio invita a una riflessione su “come pensa un chimico”. Vorrei invece chiederle come vede e interpreta il mondo un chimico?
Principalmente, con ammirazione. Sapere che cosa causa un determinato fenomeno non lo sminuisce, ma aumenta la meraviglia per l'uomo, che è stato in grado di spiegare il visibile attraverso il proprio cervello, e di spiegarlo anche a quelli che non ci sarebbero mai arrivati da soli, come me.
Ogni senso per un chimico è importante; particolarmente l'olfatto, che è dei nostri sensi il più negletto e il meno collegato con la sfera razionale, in chimica è fondamentale, perchè è il più acuto, il più sensibile. Bastano pochissime molecole per stimolare il nostro naso, e la nostra capacità di distinguere odori è potenzialmente stupefacente, e se educata può arrivare (penso ai sommelier, o ai profumieri) a vette spaventose.
Oggi siamo circondati dalla chimica e dai risultati dei suoi esperimenti che, nel bene e nel male, riguardano quasi tutte le nostre azioni quotidiane. Eppure una certa diffidenza verso questa disciplina (ma verso la scienza in generale a dire il vero) è sempre più palpabile. Esiste una responsabilità degli scienziati in questo senso?
Senza dubbio. Non è però tanto una responsabilità di quello che è stato fatto, ma di non aver saputo sottolineare quanto il nostro mondo sarebbe diverso senza la chimica. Prendiamo la cara, vecchia e vituperata plastica: se lo chiediamo all'uomo della strada, la plastica inquina e se ne potrebbe fare a meno. Se lo chiedete a un chimico, be', vi risponderà che il nostro mondo si basa sull'elettricità, e per usare l'elettricità è necessario l'isolamento elettrico, cioè è necessario rendere i cavi sicuri e isolati perchè trasmettano energia senza disperderla. Ecco, questo senza plastica sarebbe semplicemente impossibile.
Una grossa fetta di responsabilità però è anche di chi parla di cose che non conosce, e che magari si lancia in una filippica sulla chimica dopo aver preso un Oki per farsi passare il mal di testa, e magari tutto vestito di fibre sintetiche per fabbricare le quali non è stato ucciso nessun animale...
Ricordando Fritz Haber, lei lo presenta allo stesso tempo come “benefattore” dell’umanità per il suo lavoro sui concimi e i fertilizzanti e come uno scienziato senza scrupoli responsabile della morte di molti uomini per la produzione dell’iprite. Cosa scatta nella mente di uno scienziato che decide di collaborare volontariamente a qualcosa con finalità negative?
L'uomo è un uomo, e la tentazione di usare qualcosa che sai per avere un vantaggio sugli altri è sempre presente. Haber non è stato il solo scienziato ad aver usato le sue conoscenze a fini orribili, andando al di là di quello che era, anche all'epoca, visto come crudele e inumano. Credo che la storia di Haber sia un monito: il potere, sia quello politico sia quello scientifico, rischia sempre di farci perdere il contatto con la realtà e ci rende meno propensi ad accettare i nostri errori (è un fatto scientificamente dimostrato, questo, dai grandi psicologi israeliani Kahneman e Tversky).
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Dal punto di vista di un chimico, cos’è il progresso?
Poter fabbicare cose che oggi posso solo pensare. Trovare nuovi modi di utilizzare materie di scarto. Sprecare sempre meno energia per fare le stesse identiche cose.
E insegnare ad altri quello che tu hai capito: se hai fatto una scoperta fondamentale, ma sei il solo a capirla e a poterla utilizzare, non sei uno scienziato, sei uno stregone.
Il suo è un libro che non si rivolge a specialisti. Perché è importante far conoscere al grande pubblico come pensa e lavora un chimico?
Perchè non lo sa. Anche io, quando mi sono iscritto a chimica, non lo sapevo, e affermavo con protervia le mie convinzioni su questo e su quell'altro. Mi sono reso conto solo studiando di quante cose non sapevo, e di quanto fosse ingiustificata la mia superbia. Credo che questo sia un problema comune: su ciò che non si sa, che non si è studiato, spesso siamo troppo sicuri delle nostre convinzioni.
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Il Premio Galileo è dedicato alla divulgazione scientifica. Qual è oggi il compito di chi vuole praticare quest’attività? Potrebbe indicarci tre caratteristiche che dovrebbe assolutamente possedere?
Dovrebbe essere comprensibile: l'avanzamento scientifico è anche saper spiegare a un numero sempre maggiore di persone quello che tu o altri hanno capito.
Dovrebbe essere bella da leggere, perchè se non sono uno specialista ho tutto il diritto di annoiarmi a leggere una cosa noiosa e autoreferenziale.
Dovrebbe essere onesta, e distinguere quello di cui siamo sicuri da quelle che sono ipotesi affascinanti, e spiegare la differenza tra le due.
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