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Ecco come ho scoperto un falso Leopardi. Intervista a Laura Nicora

Ecco come ho scoperto un falso Leopardi. Intervista a Laura NicoraÈ nelle sale un film che sta appassionando molti bibliofili o semplici lettori. Parliamo di Copia originale, film di Marielle Heller, che racconta la storia di Lee Israel, biografa e nota falsaria americana, a partire dalle sue memorie, Can You Ever Forgive Me? Memoirs of a Literary Forger.

Per conoscere più da vicino questo mondo di manoscritti da autenticare e di veri e propri falsi da smascherare, abbiamo parlato con Laura Nicora, che si occupa, tra le sue molte attività, anche di autenticare documenti manoscritti.

 

Una professione molto interessante: ci spieghi meglio di cosa si occupa.

Mi occupo di autenticare e valutare libri antichi, manoscritti, autografi e anche carte musicali; sono consulente tecnico del tribunale sia per la sezione civile sia per la sezione penale e mi occupo di perizie giurate, assegni assicurativi, ereditari o per constatazione danni; sono anche consulente di una casa d’aste, la casa d’aste Gonnelli di Firenze e per loro seguo gli autografi e le carte di musica.

 

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Come avviene l’autenticazione di un documento?

Innanzitutto è fondamentale vedere il documento in originale. Spesso, oggi, grazie al computer con le mail molti inviano scansioni; anche con il telefonino mandano dei messaggi con un’immagine e dall’immagine, del computer come di Whatsapp, ci si fa un’idea, questo sì: però è fondamentale vedere il documento in originale perché solo dallo studio della carta, dall’inchiostro, da tutta una serie di caratteristiche che è possibile vedere con il documento in mano, si capisce effettivamente se il documento è originale oppure se è una copia o un falso.

Ecco come ho scoperto un falso Leopardi. Intervista a Laura Nicora

Quindi sono necessarie anche delle nozioni di filologia o di paleografia?

Sì, io per esempio arrivo proprio da una scuola di filologia e paleografia. Certamente, questo è un mestiere che implica una serie di competenze che aumentano nel tempo: non si arriva mai a sapere tutto, sarebbe molto bello, ma ci si accorge che c’è sempre qualcosa da imparare. Se abbiamo un manoscritto del Duecento bisogna conoscere un minimo di paleografia, distinguere una carolina da una gotica, da una beneventana, da una gotica francese oppure da una gotica bolognese: in questo caso parlo di manoscritti antichi, quelli ancora su pergamena. E poi c’è tutto quello che è il mondo dell’autografo, di Giuseppe Verdi o di Mazzini o di Garibaldi o di Darwin – perché poi non lavoro soltanto su autografi italiani ma anche su documenti di autori stranieri e lì è opportuno avere un’infarinatura a livello linguistico. Quando, poi, la situazione è molto complicata, si chiede aiuto a qualcuno che magari legge benissimo, per dire, il gotico corsivo; ci si fa aiutare da qualcuno che è estremamente esperto di un determinato argomento.

 

Come si fa quindi a riconoscere un autografo? Quali sono gli elementi principali che contano nel riconoscimento di un testo autografo?

Le faccio un esempio di un falso che mi è arrivato, così almeno facciamo il discorso al contrario: un po’ di anni fa, un signore mi ha portato una carta, evidentemente una lettera, datata “Bologna, 18 giugno 1836”: l’incipit era “Caro Pietro”, la firma di Giacomo Leopardi; la carta era antica, non di quelle moderne e industriali (se il documento fosse stato su una carta industriale si sarebbe capito immediatamente il falso: Leopardi non avrebbe mai potuto scrivere su quel genere di supporto perché nel primo Ottocento non esisteva ancora una produzione di carta a livello industriale). In ogni caso la grafia era palesemente un’imitazione: una delle prime azioni da compiere è verificare la grafia di un determinato personaggio e ci sono personaggi come Leopardi, la cui grafia si trova con facilità perché anche guardando su Internet troviamo tante riproduzioni delle sue lettere. Ci sono poi altri autori che magari sono un po’ più o sconosciuti o meno circolanti sul mercato o, ancora, meno conservati nelle biblioteche: non avendo una grafia di riferimento certa, dato fondamentale, si fa fatica a capire se in mano abbiamo un autografo o una copia o un falso come nel caso sopracitato: quel Leopardi, nello specifico, non era la copia di qualcuno che voleva ricordare una sua lettera trascrivendola, ma un vero e proprio falso moderno: l’autore della truffa aveva preso da un libro il primo foglio bianco, il foglio di guardia, l’aveva strappato e poi aveva scritto una lettera immaginando che Leopardi si rivolgesse al suo caro amico Giordani, col suo modo di scrivere arcaico e classicheggiante. Poi, leggendo bene anche il contenuto e confrontandolo con le altre lettere di Leopardi, ci si accorge che il poeta di Recanati non avrebbe potuto scrivere in quel modo: c’era qualcosa che strideva. Mancava tra l’altro la filigrana, che invece è presente nelle lettere di Leopardi (e che cambiava a seconda del periodo). Questo criterio di studio si estende anche a tutti gli altri autori, logicamente. Spesso la carta era molto povera e quindi non c’era filigrana: in ogni caso il supporto scrittorio, la filigrana, la grafia, il contenuto, la piegatura e le dimensioni della carta (differenti a seconda delle varie epoche) sono i dati fondamentali da analizzare per scovare un falso.

 

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Il caso più strano, più eclatante?

Una volta, una persona mi aveva mandato per e-mail un’immagine di una citazione musicale di Rossini: consisteva in un foglietto di carta pentagrammato sul quale il compositore aveva scritto alcune battute dell’Attila di Giuseppe Verdi. Una carta molto bella, ricercata e interessante. Ricevendola per mail, vedo la grafia di Rossini: quello era il tratto e, dall’immagine, la carta sembrava piuttosto antica. Pareva autentica. Pensando, però, mi sono chiesta: “com’è possibile che Rossini abbia scritto questa citazione di Verdi e nessuno lo sappia?”. Certo, sarebbe stata effettivamente una grandissima scoperta, molto interessante. In ogni caso ho voluto controllare. Dal momento che in casa ho una grande biblioteca, tanti libri, soprattutto di musica, ho modo di cercare e trovare, nel primo catalogo della biblioteca del Museo della Scala, una piccola annotazione con scritto “citazione musicale di Rossini dall’Attila di Verdi”. Allora, penso, la citazione è stata rubata: succede anche questo, purtroppo. Chiamo immediatamente il Museo della Scala che dichiara di possedere ancora l’originale: il documento arrivato per mail non era nient’altro che una riproduzione che stava girando come originale in vendita a diverse migliaia di euro. Un altro caso che posso raccontare – ma ce ne sono anche altri che il mio mestiere mi porta a mantenere nella riservatezza più totale sempre non siano casi di documenti rubati e lì si avvisa chi di dovere – è questo: una decina d’anni fa avevano cominciato a circolare nei mercatinidi Piazza Buonarroti, a Milano, delle carte che sembravano riconducibili alla costruzione della Casa di Riposo di Giuseppe Verdi, con tanto di firma del grande compositore. Erano dei falsi: in quel caso siamo andati dai carabinieri e la notizia è finita pure sui giornali.

Ecco come ho scoperto un falso Leopardi. Intervista a Laura Nicora

Tutto questo discorso sui falsi si ricollega al film Copia Originale: quali conseguenze hanno dei casi come quello di Lee Israel sul vostro lavoro?

Spesso si arriva a pensare facendo di tutta un’erba un fascio, a generalizzare, per cui se una persona fa qualcosa di profondamente scorretto poi lo fanno tutti. Non è così, al contrario: ci sono persone che sono mele marce ed è successo anche ultimamente che alcuni personaggi che lavorano nell’ambito del collezionismo librario siano stati arrestati, ma non tutti si comportano così. La prima conseguenza di vicende simili a quella di Lee Israel è di pensare che viviamo in un mondo totalmente privo di morale: il più delle volte non è vero e ci sono molte persone che lavorano con tanta passione, voglia di conoscere e imparare tutelando l’eventuale acquirente collezionista.

 

Guardando il film mi sono accorto di come Lee Israel trovi facilmente le lettere e il materiale per i suoi falsi: è tutto così semplice?

Lee Israel si è concentrata su carte del Novecento, per certi aspetti un lavoro più semplice che studiare e trascrivere carte antiche: se abbiamo osservato bene, Lee Israel batte a macchina le lettere e poi falsifica a mano le firme. Per la prima lettera che prova a falsificare, Lee Israel usa una macchina da scrivere moderna; poi si accorge che non è il caso di usare una macchina da scrivere non consona con i tempi e allora ne prende una più vecchia ben sapendo che sulla carta, il carattere dattiloscritto cambia a seconda del modello, dell’età della macchina e della qualità dell’inchiostro. Tutto sommato per la Israel era più semplice perché battere una pagina o due e apporre soltanto la firma, o predisporre carte intestate è molto più facile che scrivere una lunga lettera a mano: in quest’ultimo caso, per righe e righe occorre mantenere una grafia identica a quella dell’autore che si vuole falsificare e non tutti sono capaci.

 

Nel mercato del collezionismo invece ci sono stati dei casi di rivalsa in cui degli scritti di autori del tutto sconosciuti hanno assunto dei valori esorbitanti o comunque elevati?

In genere il grande nome ha sempre alte valutazioni. Poi ci sono tutti quegli autori che magari in passato sono stati famosi e però poi col tempo e per tutta una serie di motivi sono stati dimenticati tra le pieghe della storia. Capita però quello studioso o studioso-collezionista (spesso le figure si fondono) che spende volentieri anche una cifra importante per avere l’oggetto del suo interesse. È logico che comunque i valori li fa il mercato: è inutile mettere una lettera di Cavour a ventimila euro se il mercato la recepisce a cinquecento: non la venderò mai. È necessario tener conto di quelle che sono le sensibilità del mercato. Tante volte è anche una questione di moda: anni fa, per quanto riguarda i libri, c’erano tanti collezionisti di libri stampati da Bodoni, un grande stampatore di Parma dell’Ottocento; oggi ad esempio non se ne raccolgono più molti di questi tipi di libri, libri di una bellezza incredibile dal punto di vista tipografico. Magari tra qualche anno ritornerà la moda di acquistare i Bodoni. L’altro giorno ho venduto una lettera di Bodoni autografa, una piccola letterina che parlava di lavoro e di caratteri tipografici: ha realizzato una cifra interessante, per cui ci sono periodi in cui l’autografo va per la maggiore e il libro un po’ meno, dipende dal momento. Certe volte ci si stupisce: due lettere autografe di Canova sono rimaste alla base di partenza ed erano due lettere lunghe e molto interessanti che io immaginavo sarebbero salite, anche molto.

Ecco come ho scoperto un falso Leopardi. Intervista a Laura Nicora

Quindi che cosa cerchiamo, che cosa troviamo nelle lettere? Da un lato è certamente divertente, intrigante osservare la vita degli scrittori, dei musicisti, come attraverso il buco della serratura, però c’è anche qualcosa di più, un quid segreto concentrato in queste righe?

Se leggo la lettera di uno scultore, è logico che cerco e voglio informazioni sulla sua attività, sul suo lavoro. Se leggo la lettera di un musicista, altrettanto: cerco un’informazione sulle sue composizioni; lo stesso vale per un poeta. Se Manzoni scrive che sta pensando ai Promessi Sposi, quella sarà una lettera che varrà molto di più rispetto a una in cui racconta delle sue lunghe passeggiate: è il contenuto che cambia il valore. Poi, è logico che la lettera in cui si scopre la curiosità o il dettaglio simpatico possa colpire eventuali acquirenti: mi ricordo una lettera di Donizetti che scriveva a un suo librettista “col ca**o che verrò a Parigi come l’anno passato se non mi pagano”, queste espressioni anche un po’ volgarotte spesso attraggono i compratori; è anche il caso di Puccini, che è tutto una parolaccia, ha questo modo di scrivere (almeno con alcuni interlocutori) un po’ goliardico e triviale e, quindi, simpaticissimo. Effettivamente, qui, anche quando non si parla di musica, il collezionista cerca la lettera, il mercato recepisce questa predilezione e il documento vale quindi di più di una lettera senza piroette stilistiche o guizzi di scurrilità.

 

Quindi, questo ingrediente segreto potrebbe anche servire a dare forma a nuove storie, come la storia di Lee Israel?

Chi ha fantasia e voglia di creare qualsiasi cosa che sia un romanzo, un film o un racconto, in questi mondi può trovare di tutto, tanti piccoli semi che possono germogliare: ci vuole ovviamente una buona penna, una buona testa e il tempo, per creare qualcosa che certamente di interessante per il pubblico: dalle lettere, in ogni caso, si scoprono sempre storie intricate e intriganti o magari anche piccole informazioni che possono fungere come spunti.

 

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Una curiosità per la domanda finale: è possibile acquistare copie originali di lettere e scritti di Lee Israel?

Non so se siano sul mercato, non ne ho la più pallida idea. Per restare in tema di falsi, mi sono capitate addirittura delle carte di Stradivari, altro nome enorme: erano falsi clamorosi redatti nella fine dell’Ottocento, con tanto di disegni dei violini e dei violoncelli, le lettere inviate a lui, le sue risposte. Sembrava una scoperta strepitosa, incredibile, pazzesca: la carta era antica, l’inchiostro era quello usato per i pennini, ma una lettera iniziava con “Egregio signor Stradivari”: nessuno, a fine Seicento inizio Settecento avrebbe iniziato così una lettera poiché si tratta di un modus scribendi diffuso dalla fine dell’Ottocento; e “Filippo V” non si sarebbe mai firmato così come firma: avrebbe scritto “El Rey”, come era consuetudine. Ogni periodo, poi, ha il suo tratto nella scrittura e il tratto non era tipico della fine del Seicento, e lo stesso vale per la lingua: si trattava di un’imitazione, spesso confusa, dello stile di quel tempo. Io non li ho messi sul mercato, neanche come falsi: se tra vent’anni circoleranno nuovamente e non ci fosse più la mia informazione/testimonianza, potrebbero tornare sul mercato spacciati per originali: non voglio essere una strada per far tornare carte false sul mercato, lo ritengo molto scorretto. Non so dove siano le carte di Lee Israel, quelle che sono state poi vendute, se le hanno sequestrate magari l’FBI però quello che non è buono si evita di farlo circolare, altrimenti si va a fomentare un mercato non corretto.

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