Eccezionale scoperta italiana sul “Pericle” di Shakespeare
Grazie a un progetto internazionale e a un docente italiano, sembra sia giunto il momento di sciogliere uno dei misteri più intricati che riguarda il Pericle di Shakespeare. La questione della datazione dell’opera, o meglio della sua prima rappresentazione, è infatti al centro di studi, analisi e ipotesi da tempo. E solo oggi una scoperta italiana ha chiarito ogni dubbio.
Il Pericle di Shakespeare, chi è il vero autore?
Pericle, principe di Tiroè il titolo esatto di questo dramma storico in cinque atti, scritto tra il 1606 e il 1608, ma fu pubblicato per la prima volta nel 1663.
L’attribuzione a Shakespeare appare certa, ma molti studiosi hanno notato una certa discrepanza nello stile tra i primi due atti e gli ultimi due. In particolare, si pensa che i primi due siano stati opera di George Wilkins, uno dei collaboratori di Shakespeare.
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Il progetto della Folger Shakespeare Library di Washington
Shakespeare Documentedè il nome del progetto al centro del quale si colloca la scoperta di cui stiamo per parlare, ed è coordinato dalla Folger Shakespeare Library, la più importante biblioteca di studi shakespeariani al mondo con la più grande raccolta di opere del Bardo, che negli ultimi anni ha avviato la digitalizzazione delle opere di Shakespeare e di documenti relativi a quest’ultime.
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La scoperta italiana
All’interno di questo progetto lavora un unico italiano, Carlo Maria Bajetta, professore ordinario di Letteratura Inglese presso l’Università della Valle d’Aosta, il quale ha trascritto e pubblicato uno dei documenti più importanti della raccolta e redatto nella Repubblica di Venezia.
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Si tratta di una deposizione durante il processo all’ambasciatore veneziano Antonio Foscarini, accusato di aver fatto sperpero del denaro della Serenissima e di aver pagato una somma enorme per prendere parte a una rappresentazione teatrale.
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L'opera in questione era il Pericle di Shakespeare e la rappresentazione ebbe luogo tra il maggio del 1606 e il giugno del 1608.
La scoperta, annunciata dal «The Wall Street Journal», chiude uno degli interrogativi più spinosi circa lo studio e l’analisi delle opere di Shakespeare.
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