E vissero tutti felici e contenti – Ultima puntata
Siamo finalmente giunti alla fine di Nella pancia del drago. Tristi? Tristissimi. Non piangete, vi prego. La rubrica è durata un anno, e in dodici puntate di approfondimento si è cercato di tracciare traiettorie plausibili verso l’origine e l’evoluzione del fantasy come genere letterario, come estetica, come sensibilità narrativa.
Si è partiti dall’etimologia phantasia, sono stati toccati i lidi della filologia e della cartografia del fantastico; si è discusso di tòpoi e cliché, di Bene e Male, si è ironizzato su sottogeneri e cross generi, si è parlato di fantasy al femminile, di magia e multimedialità; un percorso che è servito in primis al sottoscritto Andrea Atzori per cercare di affinare gli strumenti critici e l’umiltà intellettuale. Cosa rimane di questo calderone, oltre alle statistiche di share sui social network? A ognuno il suo. Vi posso dire il mio.
Nel corso della rubrica ho cercato in tutti i modi – leciti o meno – di riportare il fantasy al nucleo originario della letteratura fantastica, “contrapposta” al realismo: un cuore pulsante dalle più antiche istanze del mito sino a oggi e in divenire; la risposta al perché si raccontino storie, quel bisogno di alterare il reale per poterlo riconoscere. Ho cercato, parlando di “letteratura di genere”, di demolire il concetto di genere in sé, strapparlo alle strumentalizzazioni, o meglio, di guardare cosa le avesse generate; forse peccando d’orgoglio. In una discussione su un forum di Science Fiction mi è capitato da poco di intraprendere uno scambio con Massimo Mongai, prolifico autore italiano nonché vincitore del Premio Urania nel 1997 con il celebre Memorie di un cuoco d’astronave. Mongai criticava una mia riflessione su un romanzo di Ursula Le Guin (The Left Hand of Darkness), dove cercavo di estrapolare la trama dal genere fantascientifico per riportarla a un minimo comun denominatore esistenziale, so to say. Credo criticasse a ragione.
I generi non hanno bisogno di giustificazioni, di legittimazioni, di nobilitazioni. Citando Mongai (che parlava però della sola fantascienza), il genere «è genere, e solo essendo genere ha la spaventosa forza che ha». Accettato ciò, rimango comunque convinto (che si parli di fantasy, SF, weird o horror, Mongai non me ne voglia) che trascendere i singoli generi sia necessario – almeno una sola volta, come esercizio cognitivo – proprio per comprendere questa forza spaventosa nel come si manifesta, per capirne l’unicità, e perciò la necessità. Ma forse anche qua pecco: è solo un modo per dire che tutta la letteratura, le storie, quali che siano, sono un gioco al riconoscimento di noi stessi.
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Perdonata la digressione, cosa ne sarà del drago? Morto un drago se ne fa un altro. Con gioia annuncio che Sul Romanzo ha accettato la permanenza di uno spazio mensile esclusivamente dedicato alla stramaledetta letteratura fantastica di genere. Ladies & Gentlemen, da febbraio sarà con voi Fantasy e vin brulé. Yes, avete letto benissimo. La rubrica parlerà niente di meno che: di libri! Dove fantasy sta per “fantasia” (in tutte le sue svariate forme “di genere”), e “vin brulé” sta esattamente per vin brulé, quel vino speziato e caldo che corrobora lo spirito e ci lascia un po’ alticci e in pace con il mondo (ehm, i mondi).
Mio compagno in questa nuova avventura editoriale sarà l’autore Vlad Sandrini (lo trovate qui), anch’egli artigiano del fantastico a tutto tondo e onesto chiacchieratore di libri. Recensore no, neanche io. Lasciamo la cattedra ai censori. In Fantasy e vin brulé vi parleremo di libri, di novità estere e italiane, di autori affermati o esordienti, pubblicati da altri o pubblicati da soli; ma se lo faremo è perché ci hanno incusiosito e pensiamo che non sia tempo buttato condividere le nostre opinioni per incuriosire anche voi.
Se cercate stroncature al vetriolo e abissi di sarcasmo, state alla larga; credo ci riveleremmo terribil-mente fallibili nel soddisfare il vostro ego. Con l’infinità di sconosciuti buoni libri che ci sono là fuori, nostra modesta opinione è che sprecare tempo prezioso con quelli brutti sarebbe di dubbio piacere e ancor più dubbia utilità (anche perché se un libro è brutto, lo smacco più grande che potete fargli è lasciarlo all’oblio).
Detto ciò, in alto i calici! A Vlad la prima chiacchierata libraria. Sul tavolo un libro dell’italianissimo Luca Tarenzi, una delle penne più abili e delle sensibilità più acute che l’Italia sfoggi al momento (e pian piano se ne sta accorgendo). Il 18 febbraio su Sul Romanzo, per Fantasy e vin brulé: God Breaker (Salani).
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