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È su internet, è gratis

InternetQuest'articolo non ha ipotesi, non ha tesi, non ha soluzioni. Di fatto è l’analisi empirica di una percezione posta come assunto (anch’esso di origine empirica). L’analisi è parziale fino all’ultimo contributo, si completa con i commenti che vorrete aggiungere, ha tuttavia la pretesa di essere spunto meritevole di attenzione.

Questo scritto nasce su Facebook nella forma “stato”, cui sono seguiti parecchi commenti alcuni dei quali contengono considerazioni ritenute interessanti e vengono qui riportate.

Ecco lo scritto originario:

In metropolitana, un'ora fa, una ragazzina ha detto a un'amica: «Appena arrivo a casa vado su internet a cercare i libri che devo leggere».
Poi ha ancora detto: «Dei due di spagnolo, uno c'è sicuro il pdf».
Probabilmente non sa che sta per commettere un furto. Non lo sa perché non gliel'hanno detto, e pur se non gliel'hanno detto ha la responsabilità di non essersi informata.
Credo che ignori che scaricare un pdf presumibilmente coperto da diritto d'autore è un reato; perché non ho mai sentito dire in metropolitana: «Più tardi vado dal fruttivendolo e gli sottraggo un chilo di mele». Non siamo così aperti. La nostra società non accetta i ladri, eppure accetta chi scarica illegalmente libri, film e musica. Che sono ladri ma non vengono percepiti come ladri.

È uscito un mio pezzo su un giornale che si chiama Football Magazine Italia. Parlo del tormento del fantacalcista. Siccome molti di loro mi hanno ispirato, ho scritto una mail agli amici del fantacalcio, con i consueti toni ironici tra affetti di lunga data. L'oggetto era: «Leggete!», nella mail dicevo che è in edicola questa rivista, se non si ha l'abitudine all'edicola c'è l'applicazione per Ipad dove un numero costa 2,69 euro.
Dopo tre minuti, il primo ha risposto: «Mandami l'articolo».
Ho replicato: «No, non te lo mando. Con cosa ci viene pagato il pezzo, se tutto gira gratis?». Siccome l'amico lavora per un'azienda di abbigliamento, gli ho scritto: «Tu me lo mandi un paio di pantaloni?».
A nessuno viene in mente, quando un amico trova impiego in un'azienda di vino o diventa dirigente di un colosso dell'energia, di chiedere forniture perenni di prosecco o bollette gratis a vita. Se un amico scrive articoli e pubblica un libro, è ritenuto normale che passi il pdf dei pezzi e una copia del libro.

Capita spesso un dialogo come questo.
Amico/a: «Ci sei sabato pomeriggio?»
Io: «No, sabato scrivo»
Amico/a: «Ah be', allora puoi venire. Dai!»
Non mi è mai capitato un dialogo come questo
Amico/a: «Ci sei mercoledì pomeriggio?»
Io: «No, mercoledì lavoro»
Amico/a: «Ah be', allora puoi venire. Dai!»

Chi scrive, per chi non scrive, non lavora. È visto, giacché tutti scrivono ogni giorno, anche la lista della spesa, come uno che compie un’attività alla portata di tutti, o, se non alla portata di tutti, come un'attività non dispendiosa. Come fosse respirare.
«Respiri?»
«Ah be', allora...».

Questa mentalità ha concorso a portare alla drammatica concezione del «Se è su internet, è gratis». Al punto che se è scritto e va su internet, nemmeno ci si pone il dubbio che possa, quello che viene poi letto, avere un costo. Anzi: quasi si ritiene scandaloso che qualcuno avanzi una pretesa economica.

Risalire alle responsabilità di questo è un lavoro (sì: lavoro) lungo e complicato, e non è detto che si possa arrivare a una conclusione ragionevolmente veritiera. Sicuramente nel mio piccolo sbaglio a (non) comunicare quanto scrivere in un certo modo richieda energia e impegno. Probabilmente la sommatoria degli "io" – complice un mercato in cui si è svalutato nel corso del tempo qualsiasi impegno professionale – ha parecchio sbagliato e parecchio sbaglia.

L'erosione al basso di un certo tipo di professionalità porta a un impoverimento generale di cui pochi si rendono conto: e tutto ciò è molto triste.

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CommentiQuesti i commenti più interessanti:

Maddalena: In fotografia è lo stesso. «Vieni a fare le foto gratis che poi scriviamo che le hai fatte tu!». «E tu regalami un paio di jeans che poi io dico che me li hai regalati tu...». E le immagini in rete fanno la stessa fine dei testi. Ma in fondo anche chi fotografa non lavora!

Massimo: Quanto alla scrittura alla portata di tutti, l'opinione è alimentata anche dal livello agghiacciante di ciò che viene pubblicato, specie in rete, anche da testate di nome. Roba con meno forma e contenuto dei pensierini di mio figlio di 8 anni. Eppure esce, qualcuno la scrive, altri la controllano e pubblicano. e tanti pensano che scrivere sia un gioco da ragazzi, da fare a tempo perso.

Albina: Inutile lamentarsi, internet è nato gratis e sempre lo sarà. Difese d'altri tempi. Gli scrittori devono trovare il modo di usarlo a loro favore, sperare che tutto torni come prima è tempo perso. Che poi, se un libro per studenti non costasse uno sproposito, o fosse messo on line dalla medesima casa editrice a poco, per dire, magari sarebbe già una soluzione. Perché non è che i ladri sono sempre e solo da una parte....


Massimo: Per anni ho scritto pezzi per hobby. Tanti complimenti, applausi, gran pezzo eccetera, se hai fortuna la homepage del sito con il tuo pezzo in apertura finisce su Skysport24. Bello, gratificante, tutto quello che si vuole, ma economicamente zero e in prospettiva zero. Quindi capita che a quarant'anni ti stufi, se devo scrivere gratis (e scrivere è una faticaccia, almeno per me), lo faccio con gli amici, per divertimento.

Marco: la soluzione potrebbe essere uno Spotify di giornali/libri/fotografie. Qualcuno nella filiera ci perde, ma qualcuno recupera. Che non esista ancora, mi fa pensare che chi nella filiera ci rimette è proprio quello che la piattaforma dovrebbe proporre.

Simonetta: Anche chi scrive per lavoro spesso è considerato un fancazzista. Uno che ha un lavoro tanto bello quanto semplice e divertente. Quell'articolo? Lo avrei saputo scrivere anch'io. Anzi, io lo avrei scritto meglio. Un comunicato stampa? Capaci tutti, che ci vuole? Tutti sanno scrivere, no? Invece scrivere è una fatica nera e quando lo fai per lavoro a volte non è né bello né divertente. Proprio per questo ti deve piacere farlo (e devi essere pagato). Altrimenti ti spari.

Matteo: forse sarebbe bastato, all'inizio (10 anni fa?) che gli editori non mettessero online così tanta roba gratuita. «Pubblicità, tanto dopo il lettore fidelizzato va in libreria/edicola e ci compra». Ora tutti, editori, discografici ecc., stanno cercando disperatamente una soluzione per non morire, ma la vedo dura; la gran parte delle persone, oramai, si «documenta» quasi esclusivamente sui social network...

Laura: Non riguarda solo la pubblicazione di contenuti online. Mi sembra che in genere si tenda a chiedere ad altri una prestazione gratuita. All'amico idraulico o informatico o al medico si chiede un consiglio gratuito 'tanto siamo amici'. Al limite dopo che mi ha riparato il rubinetto o guardato l'eczema di nonna gli offro un caffè. Tra l'altro non credo che sia invenzione recente il plagio. Negli anni 80- 90 registravamo cd su cassetta e fotocopiavamo libri. Cambia la tecnica.

Marco: Vero, Laura. Ma credo che la media ragioni così: «Quello è un amico, gli chiedo consiglio e gli pago una cena/un aperitivo/un bel regalo a Natale». Sotto l'ipotesi che la consulenza o il lavoro dell'amico costino più di 5 euro (es: idraulico, avvocato, etc). Se per usufruire del frutto del lavoro di un amico devi spendere 3, 5, 7, 16 euro (per volta), scatta il meccanismo: «Allora è gratis». Negli anni '80 c'era la fatica di registrare. Sapevi che sotto sotto mangiavi la marmellata di nascosto. Io, noi lo sapevamo. Oggi non credo lo sappiano. Non si pongono nemmeno il dubbio. Estendiamo alle app: è gratis-> la scarico. Costa 0,89 -> allora no! Poi si spendono decine di euro per griffe, ma l'app a 0,89 NO! è principio!

L.: Se avessi soldi da spendere comprerei libri, dischi, abbonamenti a streaming, andrei perfino al cinema. Non avendoli guardo streaming illegali, non vado al cinema e i libri li prendo in biblioteca (oppure scarico pdf).


L’ultimo commento suggerisce una domanda: di fatto, chi scarica da internet è impunito. Come trovarsi dal fruttivendolo senza fruttivendolo e clienti, il negozio deserto. La merce è lì. Si intascherebbe o no il commentatore L. il chilo di mele? Sono propenso a pensare che non lo farebbe. Sia per il rischio di essere visto sia soprattutto perché «non si fa». Eppure, per i prodotti dell’intelletto, la percezione è diversa. Si fa.

 

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