E se riapparissero le Torri Gemelle? “Shadowbahn” di Steve Erickson
Con Shadowbahn, lo scrittore e critico californiano Steve Erickson è al suo decimo romanzo, il quinto pubblicato in italiano, appena uscito per Il Saggiatore, nella traduzione di Michele Piumini.
Se si è nuovi all’opera di questo narratore (è il mio caso), Shadowbahn è una bella sorpresa, una lettura che, capitolo dopo capitolo, intriga, entusiasma, confonde, sfinisce.
Inutile cercare di venire a capo della trama. Ogni filo conduttore si perde, ed è possibile rintracciare nel romanzo solo una serie di motivi, come le canzoni che lo attraversano in maniera ossessiva, formandone la sostanza.
C’è, in ogni modo, un chiaro punto di partenza: la riapparizione, nel 2021, a vent’anni dalla loro distruzione, delle Torri Gemelle. Un camionista incredulo le scorge per primo, attraversando la regione delle Badlands del South Dakota: intatte e deserte, si stagliano altissime una accanto all’altra.
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In pochi giorni una folla di spettatori silenziosi intasa la strada interstatale che le costeggia, ma nessuno osa avvicinarsi troppo al miraggio o allucinazione collettiva che sia. Chi è costretto a entrarvi (lo sceriffo Rae Jardin, unica rappresentante delle forze dell’ordine mandata in perlustrazione dalle autorità), o chi, misteriosamente, vi si risveglia dentro (il bel Jesse, fratello gemello, nato morto, del cantante più famoso di tutti i tempi!), si ritrova sbalzato di continuo tra presente e passato, o, piuttosto, tra possibilità diverse del passato e del futuro d’America.
L’apparizione delle Torri è accompagnata da una musica lieve e insistente, percepita da chiunque si trovi nei loro paraggi. Ciascun osservatore ode appena distintamente una canzone diversa di una immensa colonna sonora americana, dagli anni Trenta fino agli White Stripes. Sono le Torri a emanare le canzoni, come sembra? O a trasmetterle non è piuttosto la Toyota di due giovani fratelli, Parker e Zema (lui bianco, lei nera), che, attraversando il paese dalla California al Michigan, si fermano a guardare i due grattacieli?
Le Torri appaiono e scompaiono in un breve lasso di tempo, o forse restano sempre lì, nelle Badlands, visibili non sempre e non a tutti. Allo stesso modo delle torri, vengono evocati in ogni pagina del romanzo musicisti e figure della storia recente americana (mai nominati espressamente), che, interagendo tra loro e con gli altri personaggi, sembrano riscrivere in maniera oscura e allusiva l’ultimo secolo di storia del loro paese.
Episodi e personaggi si intrecciano, si sovrappongono, le identità si sdoppiano e sfarinano. Impossibile afferrare tutte le allusioni a meno di non possedere una profonda conoscenza della musica e della storia americane.
Nel caos creato dai continui simboli e rimandi, permane nel lettore una sensazione come di perdita, di furto, di potenzialità frustrate. L’America attraversata da Parker e Zema (adolescente d’origine etiope, adottata da una famiglia bianca, amata in modo speciale dal padre musicofilo) è spezzata da una Frattura tra gli Stati dell’Unione e gli Stati della Disunione. A tratti, l’interstatale I-40 si trasforma in una shadowbahn, una strada segreta che taglia da parte a parte il «paese ombra» nel «secolo ombra». Le Torri, simbolo di catastrofe indicibile, riappaiono deserte, prive di vita, nella ragione delle Badlands, terre incoltivabili. Il loro manifestarsi è spaventoso quanto la loro distruzione. Anche le canzoni onnipresenti raccontano di perdite, cuori spezzati, presagiscono catastrofi.
Tuttavia, è come se i tre avvenimenti principali del romanzo – la manifestazione delle Torri, la comparsa del gemello morto di Elvis con la sua missione di uccidere la musica americana (perché ha fallito) e il viaggio di Parker e Zema, il fratello bianco e la sorella nera – volessero da una parte rendere apparente il fallimento dell’America (da sempre nient’altro che un sogno), dall’altro rendere giustizia a chi del sogno-America mai realizzato è stato vittima. Non per niente il romanzo è accompagnato da una sorta di playlist ideale, stilata dal padre adottivo di Zema, che racconta la storia del Paese, i suoi protagonisti dimenticati, i fallimenti e le ingiustizie. Se Elvis ha rubato la musica ai neri d’America, ha anche reso possibile darle voce, farne davvero la musica americana per i decenni a venire.
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Shadowbahn di Steve Erickson affascina per la potenza delle immagini e confonde con le sue molteplici allusioni. Nel caos rappresentato, si può scorgere forse un’America sospesa tra l’ombra – l’oblio su cui si fonda il XXI secolo, secondo il padre di Zema – e la speranza.
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