E se i colpevoli non esistessero?
Sdilinquirsi, inani, leguleio, tregenda, acrimonia, efebico: sono solo alcuni dei termini il cui significato ho avuto modo di scoprire grazie al romanzo di Alessandro Piperno, Di chi è la colpa, uscito per Mondadori. Sono parole che escono con naturalezza dalla bocca del protagonista che, sì, a tratti sembra compiacersi nella commiserazione, a tratti risulta arrogante, con tutte queste barriere linguistiche che erge tra sé e il lettore a cui si rivolge, ma – e questa è maestria – si ha la sensazione che la distanza imposta è propedeutica. Un po’ come nell’arte bizantina, gli dèi sembrano quasi alieni, ingessati in abiti dorati, con volti scarni, scuri, corrucciati: hanno l’obiettivo di ricordare a chi li venera che loro sono irraggiungibili, sono altro, infatti si somigliano – venerati e fedeli – solo vagamente. Insomma, senza la distanza, difficilmente si capirebbe questa voce narrante che esprime giudizi su tutti. Se stesso, incluso.
Lo ritroviamo, all’inizio, bambino. Un bambino fragile, che soffre di insonnia, che odia il buio. (Ecco: è semplice esprimere giudizi. Perché definire un bambino fragile perché teme il buio? Di chi la colpa, chi mi ha traviata nell’esprimere un giudizio nel caso in cui due elementi si presentano insieme? È la logica della causa-effetto? L’autore non si intrattiene in esercizi di dialettica, ma lascia una porta aperta, per gli amanti di questa forma di ginnastica mentale).
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A prescindere dai giudizi, resta il fatto che al bambino le notti piacciono di più se le passa sveglio. A fianco, qualche volta, c’è suo padre, un complice, un’anima affine, un alleato contro la madre severa, schiva, impegnata a mantenere il segreto riguardo alla sua persona, al suo passato, alla propria storia. È una donna che il bambino non capisce. Professoressa di matematica, non è molto capita nemmeno dagli adulti chi le stanno intorno.
Probabilmente nasconde qualcosa. Pensa il lettore. Un pentimento? Il marito con cui si è ritrovata a condividere la vita, la responsabilità di una famiglia, non è l’uomo che ha sposato? È questo il segreto della madre?
O forse è una visione poco attendibile, a causa del fatto che la voce narrante racconta di un tempo passato, lontano, quando la madre, di cui si cerca di comprendere l’animo, non c’è più. E non c’è più da un tempo che ha creato vuoti in chi scrive in prima persona e che svela solo in parte il proprio nome.
Perché restare – quasi – anonimo, dopo aver squarciato i cieli più bui del proprio mondo? È un’altra domanda che intrattiene piacevolmente il lettore.
E, oltre alle domande aperte che l’autore regala al suo pubblico, ci sono rivoli, anzi torrenti di riflessioni, di prospettive rovesciate che rendono il romanzo una lettura imperdibile.
Dice Piperno: «Un giorno la gente non morirà più. Qualche secchione di un laboratorio di Houston o di Zurigo scoprirà il modo per non far invecchiare le cellule, o per rigenerarle. E allora sarà solo questione di welfare: bisognerà trovare il modo di nutrire questi vecchietti, per l’eternità».
Qualcuno potrebbe presagire filamenti di questo futuro nello stesso presente.
Oppure, dice ancora, pensando alla lettura: «Solo allora, durante la seconda stagione della mia vita, la più imprevedibile, mi sarei reso conto di come, tra i passatempi a disposizione delle persone sole, i romanzi fossero i più indicati proprio per la loro natura individualista».
E poco più oltre, con una frase di poche parole apre la mente su una distesa incommensurabile: «Ma chi lo dice che una storia per fare male debba essere vera per forza?». A tratti, Di chi è la colpa fa male, e poco importa se sia una storia inventata.
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Mentre, tra le pieghe di una manciata di parole, si trova l’essenza di questo romanzo davvero straordinario. Dice Piperno: «L’idea che le catastrofi avvengono perché avvengono è insostenibile. Per questo sono tutti alla ricerca spasmodica di un colpevole». Sa di Pirandello questo, dello strappo nel cielo delle marionette, di Oreste che non si sa cosa farebbe se sapesse che non c’è nulla. Non solo gli dèi, le certezze, la vendetta, ma se non ci fossero nemmeno i colpevoli?
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