E se davvero i terremoti fossero causati dall’uomo? Intervista ad Alessandro Amato
Si discute molto di terremoti negli ultimi tempi, soprattutto sull’onda dei recenti eventi sismici che hanno colpito l’Italia. E c’è chi ne approfitta per lanciare una sfilza di notizie false se non vere e proprie bufale, che fanno leva su complottismi orditi da chi prima causa i terremoti e poi impedisce che se ne parli. O ancora da parte di chi ricaverebbe non pochi benefici dall’indicare una magnitudo più bassa di quella che effettivamente è.
Ma davvero i terremoti possono essere causati dall’uomo? E veramente sono prevedibili anche se fanno di tutto per tenercelo nascoso?
Ne abbiamo parlato con Alessandro Amato, dirigente di ricerca dell'Ingv – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e autore di Sotto i nostri piedi (Codice Edizioni), finalista dell’edizione 2017 del Premio Galileo per la divulgazione scientifica.
Il libro pone, fin dal sottotitolo, una differenza netta tra scienziati e ciarlatani. Come mai, secondo lei, oggi i secondi sembrano avere così tanta risonanza sui media e sui social network? È solo una questione di folclore?
Credo ci sia un problema di cultura scientifica, che nel nostro Paese è carente. Non viene recepito che la ricerca in generale, quella sui terremoti in particolare, è un’impresa complessa, che richiede tempi lunghi, sforzi notevoli, verifiche e smentite, aggiustamenti continui, nuove tecnologie. A questa complessità si preferisce chi ha la risposta pronta, da chi dice di saper prevedere i terremoti a chi ha la cura miracolosa per il cancro. È rassicurante pensare che un fenomeno sia prevedibile e quindi evitabile, rispetto a un panorama di incertezza e complessità che lascia inermi e terrorizza. C’è poi una diffusa diffidenza verso la scienza e gli scienziati, accusati spesso di nascondere verità e dati. Niente di più sbagliato: nel caso dei terremoti tutti i dati sono pubblici e disponibili già pochi minuti dopo un terremoto; chiunque avrebbe la possibilità di calcolare la magnitudo, per esempio, uno dei parametri per cui gli enti ufficiali sono spesso oggetto di critiche, ma nessuno lo fa preferendo credere a chi la spara più grossa. In questo contesto il web e i social media hanno aggravato notevolmente una situazione già difficile. Nel libro cito il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi di Giacomo Leopardi, che già ai suoi tempi si era preso la briga di catalogare e descrivere tutte le “bufale” che giravano dai tempi degli antichi Greci e Romani fino all’Ottocento.
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Nel capitolo dedicato alle bufale ne analizza molte, dalle antenne americane ai Maya. Cosa possono fare la divulgazione scientifica e l’informazione di settore per arginare l’insorgere e la diffusione di queste false notizie?
Non è facile intervenire per smentire le false notizie, soprattutto quelle che presentano un’apparenza di veridicità. Ci sono molti complottisti che dedicano il loro tempo a inventare e a diffondere teorie strampalate, talvolta in buona fede, altre chiaramente in malafede. Il risultato è un danno ai cittadini, perché questi perdono di vista il vero problema del rischio sismico e gli strumenti per difendersi. Un’informazione continua e capillare è il primo passo, avvalendosi anche di mediatori esperti (giornalisti scientifici e generici) il cui ruolo in questo è determinante. Un altro modo che stiamo sperimentando da qualche anno, sia come Istituto (INGV) che come singoli ricercatori, è quello di scendere nell’arena dei social media per instaurare una comunicazione diretta con i cittadini.
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Proviamo a entrare in un tema spinoso, quello dei cosiddetti terremoti indotti o innescati da attività antropiche. Esistono davvero delle attività umane che possono avere un’incidenza sulla formazione dei terremoti? E quali accorgimenti si potrebbero o dovrebbero mettere in atto per prevenirli?
È stato dimostrato che alcune attività antropiche possono generare dei terremoti. Dal riempimento di grandi invasi artificiali, alle operazioni di estrazione e reiniezione di fluidi, alle attività di miniera e altro ancora. Negli ultimi anni sono aumentati decisamente i casi di sismicità indotta dalla immissione in profondità dei fluidi di lavorazione nei campi di petrolio o gas, inclusi (ma non solo) quelli in cui si estrae il cosiddetto “gas di scisto” con la tecnica del fracking. Il problema è esploso dal 2011 negli Stati Uniti centrali (Oklahoma, Texas, ecc.) dove esistono migliaia di pozzi di reiniezione, alcuni dei quali hanno generato terremoti anche importanti, sopra magnitudo 5. La buona notizia è che come l’uomo è in grado di produrre terremoti, allo stesso modo può diminuirli o azzerarli, riducendo o interrompendo le attività produttive. Sono allo studio diversi sistemi per regolamentare questa attività, attraverso dei monitoraggi attenti e affidati a Enti terzi, che possano vigilare e intervenire sull’attività in tempo reale.
Uno dei compiti del sismologo, così come riportato anche nel libro, è «lo studio del fenomeno sismico al fine di ridurne l’impatto sulla società». Quali azioni possono essere concretizzate dal cittadino comune per supportare il perseguimento di quest’obiettivo?
Il contributo principale che i sismologi hanno offerto alla riduzione del rischio sismico è la valutazione della pericolosità sismica, strumento molto importante per la gestione del territorio. Sulle stime di pericolosità si basano infatti i criteri per costruire (o adeguare) gli edifici. Se nel ‘900 si fosse costruito seguendo tali criteri, i terremoti avrebbero avuto un impatto decisamente minore. Un altro elemento importante è la consapevolezza del rischio e la conseguente volontà di ridurre la propria esposizione e la vulnerabilità delle proprie case, delle scuole e dei luoghi di lavoro. Occorre che ciascuno faccia la sua parte, a partire da noi cittadini, senza aspettare sempre che qualcun altro ci risolva il problema. Prepararsi a un futuro terremoto, sapere come comportarsi quando questo accadrà, e soprattutto darsi da fare per aumentare la sicurezza degli edifici in cui si vive, sono questi gli elementi fondamentali per la riduzione del rischio.
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Il dibattito che più ha preso piede a seguito dell’ultimo evento sismico nel Centro Italia riguarda la ricostruzione dei paesi andati distrutti. Fino a che punto è ipotizzabile una completa messa in sicurezza di aree così altamente sismiche?
Qui si entra in un campo che è proprio dell’ingegnere e non del sismologo. A quanto ho capito parlando con gli esperti, si potrebbe costruire e adeguare alle attuali norme sismiche il nostro Paese, anche nelle aree a più elevata pericolosità, preservando le caratteristiche dei tessuti urbanistici e gli stili architettonici, quando questi lo meritino. A parte alcuni casi in cui la struttura geologica locale sconsiglia fortemente la ricostruzione negli stessi luoghi, per la maggior parte del territorio si potrebbe ricostruire in modo sicuro anche nelle aree a maggiore pericolosità sismica. L’esempio della buona risposta della cittadina di Norcia ai terremoti del 2016 e 2017 è esemplare al riguardo: a seguito di un sisma nel 1859 e di una buona legge del 1860, la città fu ricostruita con criteri antisismici, pur con le limitate conoscenze del periodo. Questo approccio, ripreso poi con interventi seguiti ad altri eventi sismici nel ‘900, ha di fatto impedito ciò che è invece accaduto in altri posti, ossia un abbandono graduale dell’attenzione al problema sismico, con conseguente aumento scriteriato dell’edilizia non sicura, fenomeno che è esploso nella seconda metà del ‘900 in quasi tutta Italia. A questo uso scellerato del territorio protrattosi per decenni è molto complicato porre rimedio oggi. Ci vuole una forte determinazione e lungimiranza politica per farlo, virtù di cui il nostro Paese purtroppo non gode. Sembra che gli ultimi eventi sismici abbiano generato una reazione positiva in questo senso, vedremo nei prossimi anni se gli effetti saranno stati quelli auspicati.
Il terremoto di Lisbona del 1755 rappresenta il momento di inizio della sismologia, a partire da Kant e dall’esigenza da lui rimarcata di ricercare le cause dei terremoti sotto i nostri piedi. Quanto è stato tortuoso il percorso di affermazione della sismologia come scienza?
È un percorso millenario, che parte dai filosofi greci e attraversa tutta la storia dell’umanità in tutte le culture. Ma è soltanto da un centinaio di anni che si è capito il meccanismo che muove le faglie e genera i terremoti, poco più di cinquant’anni che esiste una teoria che spiega la dinamica della Terra (la Tettonica a zolle). Siamo agli albori di questa scienza. Negli ultimi vent’anni si sono fatti enormi progressi verso una comprensione e una quantificazione dettagliata degli spostamenti tra le placche e i blocchi crostali, grazie ai satelliti e alle reti di osservazione terrestre. Abbiamo capito moltissime cose sui processi sismici, su come sono fatte le faglie e come si muovono durante un terremoto. Ma c’è ancora tantissimo da studiare, da scoprire e da capire, e piano piano aumenteremo anche le nostre capacità previsionali. Nel frattempo purtroppo continueranno a fioccare le ipotesi bislacche, non suffragate da prove scientifiche ma con una forte presa per la loro semplicità e per le promesse, più o meno implicite, di prevedere il prossimo terremoto. Sarebbe bello se tutti si rendessero conto che la scienza è un’impresa difficile e complessa, che le scoperte arrivano ma devono essere avvalorate con il criterio galileiano del metodo scientifico, e che chi ha la risposta facile, magari esotica, come sosteneva Kant, non va lontano.
I terremoti non sono prevedibili e ogni tentativo di realizzare il desiderio di prevederli si è rivelato fallimentare o non totalmente affidabile. Questo dato di fatto è legato allo stato attuale delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie disponibili oppure si deve ritenere che non lo saranno mai?
Mai dire mai. L’aumento continuo delle conoscenze affina sempre più le nostre capacità di “prevedere” il futuro, anche in campo sismico. Tuttavia, è importante che ci si concentri anzitutto sulla comprensione del fenomeno fisico, evitando la rincorsa a improbabili, sporadici ed elusivi fenomeni precursori, spesso segnalati solo ex post. Ci vuole metodo e pazienza, misure continue, nuove tecnologie, esperimenti in laboratorio e sul terreno: “bucando” le faglie per studiarle da vicino, osservando la Terra dallo spazio con i satelliti, ma anche lavorando con il classico martello da geologo, scavando le faglie con le trincee paleo-sismologiche, portando le rocce di faglia nei laboratori. Credo sia sbagliato affrontare il problema pensando che un giorno ci sarà IL METODO per prevedere tutti i terremoti. Molto più probabilmente ci saranno alcuni terremoti che, per la loro posizione e le loro caratteristiche, daranno luogo a fenomeni che riusciremo a captare e comprendere, altri resteranno più elusivi e difficili da capire e prevedere. Nell’attesa che queste ricerche portino a risultati importanti, per i quali ci vorranno molti anni, sarà bene mettere in sicurezza gli edifici. Non sarebbe funzionale né economico arrivare a prevedere i terremoti per evacuare città che comunque verrebbero distrutte ogni volta.
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