È morta Pia Pera. Qui la nostra intervista per il Premio Viareggio
La notizia, appena giunta in redazione, ci ha lasciato attoniti perché, solo pochi giorni fa, avevamo avuto modo di sentirla per un'intervista che avremmo dovuto pubblicare domani.
Abbiamo deciso di anticipare ad oggi la messa online, affinché possa essere un modo gentile e garbato per ricordare Pia Pera, e la sua gentilezza e il suo garbo nel rispondere alle nostre domande, nonostante tutto il dolore degli ultimi giorni. La ringraziamo per questo, ovunque sia adesso.
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Premio Viareggio – Intervista a Pia Pera
Il prossimo 27 agosto saranno comunicati i vincitori dell’ottantesima edizione del Premio letterario Viareggio-Rèpaci. La terna dei candidati al premio per la narrativa comprende, insieme a Una sostanza sottile di Franco Cordelli e Reality in Arcadia di Marco Salotti, anche il bel libro di Pia Pera, edito da Ponte alle Grazie, Al giardino ancora non l’ho detto, un testo che ha beneficiato giustamente del “passaparola” sia tra i lettori che on-line.
Al giardino ancora non l’ho detto è un verso di una poesia di Emily Dickinson ed è un diario, un memoir che descrive il lento declino fisico della scrittrice, affetta da una malattia a carattere degenerativo. Come tutti i diari, il libro descrive momenti belli (la scoperta sempre nuova di quello che può produrre la terra) e attimi dolorosi (la consapevolezza di non poter più tornare a curare direttamente l’amato giardino, di dover rinunciare alla solitudine preziosa…); scatti di rabbia (i tanti “guaritori” ciarlatani che possono circondare un malato; una legislazione italiana che ancora non ha il coraggio di affrontare il fine-vita dei cittadini…) e poi improvvisi “lampi di luce” (i fiori del giardino; le amicizie che rimangono e scaldano ancora il cuore…).
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Abbiamo posto alcune domande a Pia Pera. Le siamo grati che, malgrado le non buone condizioni fisiche, abbia avuto il tempo e la pazienza di risponderci.
Com’è nata in lei la grande passione per il giardinaggio, per le piante e i fiori? È un sentimento che le apparteneva fin dall’adolescenza, dalla giovinezza, o è col passare del tempo che ha preso il sopravvento in lei, diventando parte fondamentale della sua vita?
Fin da piccola sono stata attratta dalle piante, prima ancora di sapere scrivere. Il mio primo biglietto a mia madre è stato: la rosa gialla ha i picchi, ovvero i pidocchi. Con le piante ho sempre provato un senso di muta comprensione che prescindeva dalle parole, cosa che ha poi provocato innumerevoli malintesi con gli umani.
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«Un giorno di giugno di qualche anno fa un uomo che diceva di amarmi osservò, con tono di rimprovero, che zoppicavo», scrive all’inizio del libro. Il giardino le ha mai rimproverato la sua zoppia, la sua malattia?
No, è stato sempre molto comprensivo, anche perché ho trovato un bravissimo giardiniere, Giulio, che ne ha capito perfettamente lo spirito. E così continua a essere per me una grande fonte di gioia.
Nel libro c’è un bellissimo ritratto di Derek Jarman, il regista inglese morto di Aids, che passò l’ultimo periodo della sua vita curando il giardino di Prospect Cottage. Cosa rappresentava per lui quel giardino?
Credo abbia rappresentato per lui una libertà estrema, la libertà di sentirsi connesso a qualcosa di vivo, prendersene cura, creare un luogo capace di esprimere tutto quanto sentiva, e questo senza rendere conto a nessuno.
Scrive a un certo punto del libro: «La debolezza m’ispirava paura e repulsione. Forse per il piacere selvaggio della rapidità fulminea, dell’efficienza, del buon funzionamento. Da chi era lento, incapace, inetto, occorreva allontanarsi come da uno scandalo…». È stato difficile parlare di questi aspetti caratteriali della vecchia Pia?
Al contrario, è stato liberatorio. Scriverne mi ha permesso di vedere meglio le sbarre della gabbia in cui ero rinchiusa, uscire.
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Nel corso del libro si parla spesso di “fine vita”… Pensa che sarebbe opportuno in Italia legalizzare l’eutanasia?
Sì, penso che sarebbe più che opportuno permettere libertà di scelta. Per chi soffre di una malattia degenerativa, tra l'altro, il pericolo è soccombere al terrore optando per le possibilità offerte dai paesi dove il suicidio assistito è lecito quando le condizioni di salute non sarebbero ancora intollerabili.
Le cure palliative sono anche quelle una soluzione, ci vorrebbe però maggiore informazione e preparazione dei malati.
Il titolo del suo libro è la citazione di una poesia di Emily Dickinson; alla fine c’è una bellissima poesia di Stevenson. Cos’ha rappresentato e cosa ancora rappresenta per lei la letteratura?
Un secondo giardino senza il quale, forse, quello materiale sarebbe infinitamente meno ricco di vita significato e felicità.
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