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È giusto aver paura dei vaccini? Intervista ad Andrea Grignolio

È giusto aver paura dei vaccini? Intervista ad Andrea GrignolioParlare di vaccini e vaccinazione oggi significa mettere in conto la possibilità di scatenare facili polemiche, oltre ad fatto di esporsi a critiche da una delle due parti in causa. Ma è possibile discuterne senza far leva sulla paura? Si può cioè provare a convincere i genitori anti-vaccinisti della positività dei vaccini per la salute dei loro figli?

Per questo ne abbiamo parlato con  Andrea Grignolio, autore di Chi ha paura dei vaccini? (Codice Edizioni), entrato nella cinquina dei finalisti del Premio Galileo. Grignolio insegna Storia della medicina alla Sapienza di Roma e svolge ricerche sulla storia della vaccinazione all’Université François Rabelais di Tours. Ha pubblicato su riviste nazionali e internazionali e scrive per il quotidiano «La Stampa». Il libro è stato attaccato di recente, sulla stampa e sui media, dal legale di Roberto Gava (il medico che per le sue posizioni anti-vacciniste è già stato oggetto di un provvedimento disciplinare dell’Ordine dei medici). A difesa di Grignolio si è sollevata la comunità scientifica italiana.

 

 

Tra i cinque finalisti del Premio Galileo, il suo libro è quello che affronta l’argomento più scottante: la paura dei vaccini ponendo l’attenzione su “chi”. Vorrei però iniziare da un’altra domanda: perché i vaccini fanno così paura?

Indubbiamente, il principale responsabile della paura dei vaccini è il web, assieme ad altre ragioni: almeno tre. Partiamo dal web. Una madre e un padre che hanno bisogno di vaccinare il loro figlio vanno sul web, inseriscono la stringa classica “vaccinazioni pediatriche”: quel che emerge, in Italia (come in Europa e USA), è che i siti e i social hanno informazioni per lo più contrarie alle vaccinazioni. Questo è già un primo dato. Il secondo, ch’è più lento e insidioso, è dovuto al fatto – e qui subentrano ragioni neuro-cognitive – che i genitori portano il proprio figlio dal pediatra per vaccinarlo in un momento in cui il bimbo è in stato di salute. È questa la differenza tra il vaccino, che è preventivo, e qualsiasi altro farmaco. Sappiamo infatti che alcune terapie a base di farmaci (pensiamo alla terapia oncologica, per dirne una) sono estremamente efficaci, ma sappiamo anche che hanno degli effetti collaterali, delle reazioni avverse. Eppure il dolore e le caratteristiche più o meno gravi della malattia non fanno pensare ai genitori che questa classe di farmaci possa portare dei rischi tali da negare il consenso al loro utilizzo. Il concetto di una malattia ipotetica, di là da venire, per la quale è stato concepito il vaccino, tende a spostare l’attenzione dal rischio (reale) della malattia infettiva al rischio (irrilevante) della vaccinazione. Da ultimo, un po’ meno importante, ma per certi versi ancora nel pensiero di alcuni, è l’idea che col vaccino si inoculino dei batteri “vivi”, per quanto “attenuati”, che potrebbero riattivarsi.

 

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All’inizio del suo libro lei sottolinea che a sorprendere, nell’attuale panorama di chi si oppone alla vaccinazione, è il «numero sempre più alto di persone coinvolte». Quali potrebbero essere le ragioni di questa crescita?

Le ragioni di questa crescita sono dovute al fatto che la generazione attuale, quella dei 40-50enni, per capirci, è una popolazione che ha perduto la percezione del rischio concreto dovuto ad alcune malattie. I genitori di queste generazioni avevano in classe o nel giro delle amicizie un compagno o un amico paralizzato dalla poliomielite, sfregiato dal vaiolo oppure morto a causa di una malattia infettiva. Queste tragedie personali servivano per dimostrare la ferocia delle malattie infettive e l’efficacia delle vaccinazioni. Questo aumento delle resistenze è dovuto a una diminuzione della percezione del rischio dovuto alle malattie infettive. È un dato storico: la cittadinanza perde la memoria del rischio connesso a questo genere di malattie e tende a sottovalutare l’importanza delle vaccinazioni. Parlo non a caso di “percezione”: il rischio è reale e concreto; non è che le malattie infettive sono sparite. Ora che è calata la copertura vaccinale alcune malattie infettive stanno tornando.

È giusto aver paura dei vaccini? Intervista ad Andrea Grignolio

 

In parte mi ha già risposto, ma com’è possibile che a questo gruppo di persone i vaccini incutano più timore delle malattie che aiutano a prevenire?

Aggiungo un fatto e le rispondo ancor più nel dettaglio. Va detto che chi non vaccina ha almeno tre caratteristiche: ha un buon livello d’istruzione, ha un buon livello economico e vede con favore i trattamenti alternativi. L’omeopatia, le medicine alternative, le scuole steineriane (dedite all’antroposofia) non vedono di buon occhio le vaccinazioni, perciò queste categorie di persone, tendenzialmente naturiste, hanno questa visione paradossale. Rifiutano le vaccinazioni perché si informano molto; sono gli individui che si sottopongono, più di altri, proprio perché istruiti, a un sovraccarico d’informazione che sappiamo essere deleterio. Più informazioni non danno chiarezza ma portano a rifiutare e non affrontare la terapia, proprio perché fondate sulle situazioni di rischio connesse ai vaccini. L’altro paradosso è che questa sensibilità nei confronti di sé è un iper-interesse nei confronti dei trattamenti sanitari. Sono così interessato a tutelare i miei figli che metto in dubbio l’efficacia delle terapie farmacologiche classiche. Sono figure interessanti che fanno troppo e si preoccupano troppo. Se queste sensibilità venissero, come auspico, reindirizzate con le corrette informazioni, ponendo l’accento sul rischio conseguente alle malattie infettive invece che a quello connesso alle vaccinazioni, potrebbero esser ricondotte nell’alveo delle scelte opportune.

 

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La storia del movimento anti-vaccinale prosegue di pari passo con quella della vaccinazione, eppure oggi tra informazione di massa, web e social network la voce dell’anti-vaccinazione sembra essersi fatta più rumorosa. Cosa possono fare la divulgazione scientifica e il giornalismo di settore per riuscire a mettere ordine nel marasma di notizie false? Basterebbe non parlarne per non dare loro risalto?

Tutti gli studi più recenti ci dicono che nell’immediato non ci sono soluzioni, nel senso che il complottista rimane complottista. Vari studi confermano, anzi, la presenza del bias (ovvero un pregiudizio cognitivo) del “ritorno di fiamma” in chi crede nel complotto. Nel momento in cui si cerca di demistificare alcune idee sbagliate (facciamo un esempio: che i vaccini siano responsabili di alcuni casi di autismo) e si procede a spiegare che è una frode scientifica, nata da un certo medico, poi radiato dall’ordine e i suoi studi ritrattati dall’ordine dei medici britannici, in alcuni casi diverse persone hanno rinforzato, a partire da tale fatto, la loro opinione. In questo caso il mio invito è quello di indirizzare le persone verso siti affidabili, dove si può apprendere che il vaccino non ha effetti in questa direzione. Gli anti-vaccinisti, poi, sono diversi tra loro; c’è chi è più radicale e chi è disposto al confronto. Al momento attuale, perciò, non è possibile fare nulla granché per far cambiare loro idea, solo una parte degli “esitanti” è disposta a farlo. È possibile, invece, certamente fare qualcosa per le generazioni che verranno. Nel mio libro parlo di James R. Flynn, il celebre psicologo australiano che dice suggerisce —per una società come la nostra che vive nell’era del web, nell’era della conoscenza tecnologica e scientifica quotidianamente aggiornata— che gli strumenti che dobbiamo offrire alle nuove generazioni, nella didattica scolastica, vanno necessariamente cambiati. Lui offre una ventina di strumenti, grazie ad essi è più difficile cadere nella trappola della cattiva informazione e negli atteggiamenti ideologici, antiscientifici e nelle teorie del complotto. Qualche settimana fa è uscito un articolo interessante secondo cui la filologia, la ricostruzione delle fonti originali, una disciplina che sta morendo, potrebbe essere rivitalizzata impiegandola per le fonti web, cioè per spiegare come difendersi dalle notizie false. Nelle scuole questi nuovi indirizzi potrebbero costituire un ottimo insegnamento per spiegare come si possono costruire le false notizie e come si demistificano. La filologia lo ha fatto per testi scomparsi da centinaia di anni ed è assolutamente possibile farlo per le informazioni della rete. Potrebbe rivelarsi molto utile.

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E i medici? Esiste, secondo lei, una loro responsabilità di fronte a questa crescita del movimento anti-vaccinale? E cosa potrebbero fare, a livello comunicativo, per arginare tale fenomeno?

Ho una posizione ambivalente su questo. In parte mi sento di difendere i medici, e per ragioni storiche. Fino a qualche tempo fa i medici uscivano dalle facoltà di medicina e la vaccinazione era obbligatoria. Loro non dovevano essere pro-attivi nel proporre la vaccinazione. Si laureavano e i pazienti venivano nel loro studio per farsi vaccinare. Oggi le cose sono molto cambiate; i medici, però, non hanno nei loro curricula insegnamenti che li mettano in grado di fronteggiare le nuove istanze, perciò si trovano nella condizione di dover convincere i loro pazienti a intraprendere un percorso vaccinale. E non hanno gli strumenti adeguati, non sono abbastanza preparati nei confronti di questo “nuovo sapere” o “cattivo sapere” che viene dal web. I pazienti dicono: «Ho letto su wikipedia che…» e mettono in discussione le terapie prescritte dal medico, che, poniamo, ha studiato per trent’anni quella patologia. Si tratta di una novità storica; si è modificato il rapporto medico-paziente. In questa accezione non mi sento di accusare i medici di incapacità; è evidente che non gli sono stati forniti gli strumenti adeguati. Però c’è un altro aspetto della storia, occorre anche chiedersi: cosa potrebbero fare i medici per convincere gli scettici? Potrebbero innanzitutto vaccinarsi loro stessi. È facile predicare ai propri pazienti di vaccinarsi e poi si scopre, andando negli ospedali, e mi riferisco per esempio agli ospedali oncologici, che solo il 20-30% dei medici ha fatto i richiami per le vaccinazioni o si vaccina per l’influenza. Uno starnuto, in un ospedale del genere, equivale a una fucilata per il malato. Con il sistema immunitario compromesso, il paziente oncologico o trapiantato, quindi con un sistema immunitario indebolito, può essere ucciso da un medico che ha contratto una banale influenza o che ha, per ipotesi, il morbillo. Alla fine la vera domanda del paziente è sempre quella: «Ma lei, dottore, si è vaccinato? A suo figlio l’ha fatta la vaccinazione?». L’esempio potrebbe essere la miglior cura in azione.

È giusto aver paura dei vaccini? Intervista ad Andrea Grignolio

 

Complotto di multinazionali del farmaco, questioni economiche legate ai brevetti, autismo, malattie neurologiche, indebolimento del sistema immunitario… sono alcuni dei punti sui quali maggiormente insiste chi è contrario alla vaccinazione e lei li analizza in modo particolareggiato mostrandone l’infondatezza. Proviamo però a parlare direttamente a due genitori che hanno qualche dubbio sul vaccinare o meno il loro bambino o la loro bambina. Cosa direbbe loro?

Io seguirei le teorie che ho espresso nell’ultima parte del mio libro. Cercherei di correggere le loro conoscenze errate di base. Che so, se pensano che ci sia del mercurio nei vaccini o altri metalli tossici; se pensano che il vaccino possa indebolire il sistema immunitario o indurre l’autismo cercherei di sfatare queste convinzioni dirigendoli verso fonti più attendibili, o spostando la loro attenzione sul rischio dovuto alle malattie infettive più che sul rischio connesso ai vaccini. Spiegherei a quali rischi può andare incontro il figlio a quell’età in un dato contesto non essendo vaccinato. Il mio sarebbe un approccio personalizzato, imperniato sul rischio che si corre a non vaccinarsi. È necessario, ciò è fondamentale, non sfidare il proprio interlocutore, non contraddirlo, parlargli dei rischi e renderlo consapevole, senza andare ad intaccare profondamente le sue convinzioni. Altrimenti si ottiene una chiusura cognitiva e ogni tentativo di convincerli fallisce.


 

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