È adesso Cuba
È adesso Cuba, non più soggiogata da Fidel Castro, dittatore amatissimo da una sinistra mondiale orfana di punti di riferimento forti.
Dacché si è diffusa la notizia della morte del dittatore cubano, il web (soprattutto il web) si è listato a lutto. Drappi neri, commozione collettiva, rimpianto, orfanità proveniente da quella galassia del due per cento delle sinistre globali che proprio non ce la fa a convivere con la cosiddetta democrazia borghese. Eppure, a ben guardare, proprio chi rimpiange la morte di Castro pare giovarsi del sistema democratico borghese, potendo pontificare sulla morte altrui (quella degli oppositori di Castro scomparsi nei decenni) perché glielo concede la democrazia in cui vivono. Questa contraddizione esplode, nella lontana Cuba, adesso che l’ultimo difensore dei sistemi staliniani non c’è più.
Indiscutibilmente il cubano ha avuto il merito di rendere la piccola e provinciale Cuba un territorio di contesa tra due blocchi, ma chi conosce e sa apprezzare le leggi della Storia sa bene che nelle contrapposizioni globali Cuba è stata uno strumento nelle mani degli Usa e dell’Urss per spostare il conflitto nei Caraibi sulle prime pagine dei reciproci quotidiani.
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Il paravento della sanità per tutti, del buon welfare, della scolarizzazione di massa, cose encomiabili, ha nascosto la negazione del diritto alla critica, alla libertà di stampa e di opinione. Nello stesso tempo, Cuba è diventata una delle patrie mondiali della prostituzione minorile, femminile e maschile. Un paradiso per lerci occidentali che lì trovano (e troveranno forse ancora) sesso a pagamento in grande, spropositata quantità. Non una parola ha speso Castro su questo argomento che ha ingrandito il Pil nero, assieme allo spaccio di cocaina e all’ospitalità offerta dal dittatore a mafiosi sudamericani residenti sull’isola.
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Di questo, le tante piccole sinistre da web (la sinistra webete) non dice nulla. Su questo non vuol dir nulla. Perché fa male dover ammettere di essere ancora intrisi di stalinismo, mentre il mondo deve fronteggiare nemici esterni e interni (i fondamentalismi, i razzismi, le idiosincrasie violente) contro i quali servirebbe più buon senso e meno acredine.
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La risposta alla contemporaneità, molto complessa in questa fase, non è certamente l’esaltazione della dittatura del proletariato cubano, perché quel proletariato non vive in un paradiso. Per questo, grande fiducia va posta proprio nel popolo cubano, ora che il grande patrigno è morto. È l’ora dei cubani. È adesso Cuba, che dia una lezione di democrazia alle volpi dei mercati internazionali e ai conigli delle sinistre in cachemire occidentali.
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