Due “Gemelle imperfette” alle prese con gli esperimenti di Josef Mengele
Gemelle imperfette è il titolo che la Longanesi ha scelto per questo romanzo d’esordio della scrittrice Affinity Konar, pubblicato nella traduzione di Elisa Banfi. Il titolo originario a mio avviso era più pertinente e meritava maggiore riflessione perché evocava una contaminazione di popoli. Mischilng, infatti, è letteralmente la mescolanza, ossia il possedere un sangue misto. Nella nostra storia metà ebreo e metà tedesco, quindi nazista.
Siamo nel 1944, una famiglia di ebrei polacchi costituita da una madre, due gemelle e dal nonno è tra le innumerevoli vittime deportate nel campo di concentramento di Auschwitz.
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A metà strada però tra Auschwitz e Birkenau ci sono disseminate diverse baracche, vecchie cascine, capannoni abbandonati. Una volta erano usate come stalle per i cavalli. L’intera struttura prendeva il nome di Zoo. Dice Pearl:
«mentre Auschwitz era stato costruito per imprigionare gli ebrei, Birkenau era stato costruita per ucciderli in modo più efficiente. Pochi chilometri separavano quei due orrori congiunti. Per cosa fosse stato progettato lo Zoo, non lo sapevo proprio».
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Era dentro lo Zoo che le gemelle Pearl e Stasha Zamorski, ebree polacche, venivano rinchiuse. Non erano le sole coppie di gemelle. Lo Zoo, infatti, ospitava coppie, ma anche tre o quattro gemelli, insomma tutte le tipologie che era possibile rintracciare.
Tutti quanti sotto la giurisdizione del medico nazista più famoso che la storia ci abbia lasciato: al secolo Josef Mengele.
Le gemelle imperfette Pear e Stasha vivono quotidianamente alle prese con gli esperimenti medici di Josef Mengele sui corpi di queste creature, per la maggior parte adolescenti. Questi conoscono le torture, le sevizie, le atrocità.
Dentro lo Zoo, Pearl e Stasha Zamorski vivranno esperienze disumane, di orrori e di continue privazioni. Un posto dove era sbagliato diventare troppo umani, dove una qualunque prima volta sarebbe potuta diventare l’ultima. Questo diceva Pearl.
Pearl e Stasha riescono a farsi forza tra di loro attraverso codici propri e un loro linguaggio segreto che hanno condiviso da prima di trovarsi dentro lo Zoo e che le ha portate a inventarsi un mondo tutto loro, un mondo dentro cui solo loro possono intendersi.
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Pearl è quella seria, tratta le cose del passato, della tristezza, è malinconica, a Stasha spetta il futuro e tutto ciò che ha per tema il gioco. La loro situazione è paradossalmente più tollerabile rispetto agli altri gemelli.
A differenza della madre e del nonno, loro avranno salva la vita. Stash e Pearl non sono infatti né vittime, né martiri, sono solo esperimenti, oggetti vivi che stanno sotto i ferri.
Mengele non può ucciderle perché ha necessariamente bisogno di loro. E mangeranno e berranno, si laveranno, perché non potranno neppure ammalarsi. Potranno soffrire sì, ma non ammalarsi.
Il dottor Mengele si fa chiamare zio. Si mostra premuroso e apprensivo. Ad esempio, lo Zoo, ripeteva, era il posto dentro cui si mostrava e conservava la vastità della vita.
La dimensione che le gemelle sono riuscite a creare viene meno quando Pearl scompare. E subito il mondo diventa reale, atrocemente reale. Stasha non può credere che la sorella sia stata uccisa e non può crederlo dal momento che lei è ancora viva.
Quando il regime nazista verrà sconfitto, Stasha si metterà alla ricerca della gemella scomparsa, mossa dalla granitica certezza che questa sia ancora viva.
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Il romanzo è affrontato in modo originale senza ammiccare alla violenza tout court, giusto per attirare il lettore che cerca un contatto, sia pure immaginifico, con il sangue. È raccontato in prima persona, quindi con gli occhi di due sorelle gemelle. Alternativamente, pertanto, vedremo con gli occhi dell’una, Stasha e con quelli dell’altra, Pearl.
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Il soggetto del romanzo rischiava, per le innumerevoli riproduzioni tanto letterarie quanto cinematografiche, di passare facilmente in cavalleria. Il trovarmi, anch’io sotto il naso, un romanzo che avesse come sfondo le tragedie dell’olocausto, non mi incoraggiava. Dimostrazione che il pregiudizio può essere sempre vinto leggendo.
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