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Due fiabe di Natale di ieri e di oggi

Due fiabe di Natale di ieri e di oggiL’appuntamento con le fiabe di Natale, quelle di ieri e di oggi, proposto da Graphe.it edizioni, è ormai irrinunciabile. Così dopo aver messo a confronto il Natale raccontato da Carlo Collodi ed Eleonora Mazzoni (2013), quello di Grazia Deledda e Daniele Mencarelli (2014) fino alle festività raccontate da Camillo Boito e Patrizia Violi (2015) e da Matilde Serao e Giulio Laurenti (2016), quest’anno la casa editrice umbra ci propone Il Natale di Fortunato di Guido Gozzano e Il Natale di Amalia di Francesca Sanzo.

I racconti contenuti nel volume Fiabe di Natale presentano due celebrazioni del Natale all’apparenza diverse: da un lato Fortunato, che per risollevare le condizioni di povertà della famiglia, è costretto ad accettare un lavoro nel giorno di Natale, e dall’altro Amalia con la quale siamo trasportati in un Natale familiare che ha, almeno all’apparenza, il sapore della solitudine dietro le luci colorate delle feste.

Qui di seguito vi proponiamo gli incipit dei due racconti.

 

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Due fiabe di Natale di ieri e di oggi

Il Nataledi Fortunato di Guido Gozzano

 

Oggi che l’ala della pace cristiana sembra sfiorare la terra, la mia fantasia stanca non ama raccontarvi vicende di orchi e di fate, di gnomi e di malefizi. Evocherò per voi una fiaba non mia, una leggenda che ascoltavo dalla cara bocca d’una fantesca defunta, in altri Natali lontani, quando ero piccolo come voi, miei piccoli amici.

La buona vecchia raccontava ed io fissavo attraverso i vetri il cielo bigio e la città invernale e la mia fantasia s’attendeva di veder rosseggiare la tunica di Gesù fra le rotaie dei tram-vai, sotto il bagliore delle lampade elettriche...

Quando Gesù veramente compariva su questa terra e lasciava la tunica per travestirsi e confondere i peccatori e confortare gli oppressi, viveva in un paese lontano un contadino rimasto vedovo con molti figli troppo piccoli ancora per guadagnarsi la vita.

Era la vigilia di Natale e Fortunato – così si chiamava il pover’uomo – stava sulla porta di casa, pensoso ed inquieto. Non aveva danaro, non aveva lavoro, né sapeva come sfamare le sue creature.

Udiva a tratto, dall’interno della casa, lo strillare dei bimbi e si chiudeva gli orecchi e chinava il capo sulle ginocchia, col cuore spezzato.

«A che meditate, buon uomo? Perché siete così triste?» Fortunato alzò il viso sussultando e vide uno sconosciuto dinnanzi a sé.

Signore, se sono triste, non è senza ragione; i miei bimbi hanno fame; e non c’è in casa un tozzo di pane, non ho lavoro e non so come fare!»

«Non domando di meglio, signore!»

«Sta bene. Andate domattina a falciare l’erica sulla brughiera e al tramonto verrò a pagarvi.»

«Voi dimenticate che domani è Natale, il giorno più santo dell’anno. Comincierò dopo, con tutto lo zelo.» «Allora non c’intendiamo... Comincio a dubitare che siate un simulatore e che non abbiate quel gran bisogno che dite.»

«M’è testimonio Iddio che muoio di fame!»

«Fate allora ciò che vi dico.»

In quell’istante Fortunato intese i gemiti dei bimbi che dall’interno della casa imploravano disperati.

«Sia! Farò come voi volete, per amore dei miei figli. E Dio, che vede, perdonerà!»

«Sta bene. Trovatevi domani sulla brughiera e al tramonto sarò a pagarvi.»

E lo sconosciuto disparve.

 

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Due fiabe di Natale di ieri e di oggi

Il Natale di Amalia di Francesca Sanzo

 

La signora Zaniboni vive in quella casa di via Santo Stefano dal 1980. Suo marito è «il Professore del ginocchio»: così lo chiamano i suoi ex pazienti, a Bologna ma non solo, e tutti quelli che – in qualche modo – hanno avuto problemi ai legamenti.

Chi ci ha avuto a che fare lo considera un mago, conosciuto tra giocatori di basket, sciatori attempati e sportivi disarcionati da un qualche cavallo. Il Professore del ginocchio passa molto tempo in ospedale, anche ora che potrebbe andare in pensione. Non gli interessa, non fa per lui, quando pensa al momento in cui sospenderà la professione, gli prende un nodo in gola, si sente mancare l’aria. Preferisce andare ai congressi, discutere casi e sentirsi un deus ex machina per chi poi – ogni Natale – gli porta doni, quasi fosse Gesù bambino.

La signora Zaniboni non ha mai lavorato perché non ne ha avuto bisogno: prima si è occupata della casa – trovarla, arredarla, trasformarla nel loro regno – e poi sono nati Giovanna e Davide; tempo per lavorare non ce n’è mai stato e quando i ragazzi sono cresciuti, ecco che orma era tardi per recuperare quella vecchia laurea in filologia classica. La mamma ha smesso di farla a tempo pieno da poco, Giovanna e Davide sono partiti, entrambi, per due incarichi di prestigio, ci tiene a sottolinearlo – all’estero. In Italia non c’era niente che potesse valere la loro laurea con lode. Non che non avessero ricevuto delle proposte, per carità, ma niente alla loro altezza: a trent’anni lui e trentadue lei, quasi si fossero messi d’accordo, sono volati verso la Francia la femmina e in America il maschio. Parigi, quando hai un figlio che vive a Boston, ti sembra davvero dietro l’angolo!

Per fortuna la signora Zaniboni non ha mai lasciato che i bisogni degli altri le facessero dimenticare i suoi interessi e ha sempre mantenuto tutte le sue relazioni: l’associazione per la tutela degli animali, il circolo di lettura, qualche pomeriggio con le vecchie amiche compagne di università.

[…]

Di tutta la luce che la fa sentire protetta e rassicurata, quella che Amalia ama più delle altre è la luce che si moltiplica ovunque durante il periodo natalizio. Una luce condivisa e spudorata, icona perfetta dei ricordi che tornano a bussare alla porta ogni anno, insieme all’albero, al cenone, alla lista delle telefonate da fare, a quelle che riceve Carlo, agli inviti, alla gestione degli impegni familiari.


Per la prima e la terza foto, copyright: Jeffrey Wegrzyn e Markus Spiske.

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