Due donne allo specchio attraverso “Il ritratto” di Ilaria Bernardini
Dopo aver letto poche pagine de Il ritratto (Mondadori), si avverte subito la sensazione di ritrovarsi sotto gli occhi un romanzo elegante e denso, ricco di spunti brillanti. Ilaria Bernardini si spinge a esplorare la vita e l’animo di due donne che fanno delle loro opere d’arte i mezzi preferenziali per comprendere chi hanno di fronte. Sarà proprio un ritratto a metterle una di fronte all’altra, diventando al tempo stesso specchio su cui riflettere se stesse e canale diretto per ricercarsi e conoscersi a vicenda, opponendosi e completandosi.
La trama segue i pensieri e i vissuti di una scrittrice famosa, Valeria Costas, i cui racconti hanno un notevole riscontro in tutto il mondo, e la cui mente è oberata da idee che si accavallano, trovando respiro soltanto tra le pagine delle sue opere. Ecco che la scrittura, per Valeria, diventa cifra indispensabile per decodificare il mondo e le persone attorno a lei, per sciogliere e dispiegare materiale inconscio, per svuotare la mente dalle troppe fantasie. Scrivere assume la forma di una necessità, per cui l’arte non è sperimentata in quanto tale in modo puro e distaccato, ma in quanto bisogno da soddisfare, e dunque sempre direttamente collegata con l’autrice. E mentre sbirciamo il suo mondo artistico attraverso gli scorci delle trame dei suoi racconti (con cui Ilaria Bernardini puntella Il ritratto), allo stesso tempo iniziamo a conoscere la sua personalità, i suoi affetti, i suoi dispiaceri: insomma, il suo mondo reale. Tra fantasia e realtà, ciò che emerge è il ritratto di una donna con delle cicatrici profonde, presenti e passate, una donna che si sente invecchiare, che si sente svanire, che si sente, fondamentalmente e sempre più, sola.
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La solitudine è uno dei temi ricorrenti per Valeria, in quanto l’ha accompagnata fin dall’infanzia per via di spiacevoli eventi: la morte dell’amatissima sorella Sybilla in giovane età a causa di un tumore, l’abbandono del padre, l’incostanza della madre, l’esilio “forzato” dalla propria patria (l’isola greca di Rodi) in quanto luogo della memoria della sorella morta. Valeria si ritrova immersa in un vuoto affettivo ingigantito anche da una mancanza di radici. E ora, a sommarsi a tutto ciò, a farla sentire ancora più sola al mondo, è l’improvviso ictus da cui il suo amante, il grande imprenditore Martìn Aclà, viene colpito, restando in uno stato di coma. La relazione clandestina con Martìn, che proseguiva da venticinque anni, era l’unica àncora di salvezza per lei. Ora che anche questo baluardo viene a mancare, così come la possibilità di stargli accanto, Valeria, sopraffatta da un dolore lacerante, intraprende una via imprudente e avventata.
Inventandosi il pretesto di voler farsi fare un ritratto per la quarta di copertina dei suoi libri, Valeria contatta Isla Lawndale, rinomata pittrice e moglie di Martìn, e si ritrova in men che non si dica a posare per la moglie del suo amante nella loro casa londinese. Inizia così la ricerca e lo studio reciproco fra le due donne. L’unico mezzo a loro disposizione sarà il ritratto che, come uno specchio, porterà alla luce verità di entrambe, timori e sofferenze. Ecco che l’“altra” donna entra in scena, con tutto ciò che esso comporta. Ognuna con il proprio bagaglio, che a tratti si oppone e a tratti diviene complementare. Tra il dubbio di sapere l’una dell’altra, il legame che nasce tra Valeria e Antonia (la figlia di Martìn e Isla), il rispetto e il sostegno contraccambiato nel momento del bisogno, Valeria e Isla approfondiscono la comprensione umana vicendevole, usando ognuna la propria arte per scavare l’inafferrabilità dell’altra e ritrarne un’impressione.
E mentre la loro relazione, da fascino iniziale, si trasforma assumendo i connotati dell’amicizia, percepiamo, forse assieme a Valeria, che la solitudine provata è sempre più rarefatta. La voce di Sybilla e il suo ricordo ritornano costantemente come un richiamo fra le pagine del romanzo, segnandone l’indubbia presenza. La figura del padre riappare con delle lettere e si svela come vicinanza inaspettata. L’avvicinamento ad Antonia colma il vuoto affettivo e compensa il desiderio di senso di maternità. La malattia della madre permette un ricongiungimento e anche un ritorno alle origini. E infine Martìn, seppure in un’altra dimensione, è fisicamente raggiungibile, in quanto nella stessa casa in cui Valeria viene dipinta.
In un commovente crescendo di emozioni, ci ritroviamo spettatori del processo interiore e relazionale di due donne interessanti, che riescono a comprendere quanto precaria e fragile sia la vita, e quanto essenziale sia usare compassione e dolcezza per poter vivere degnamente e degnamente, infine, scomparire.
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Il ritratto è un romanzo inaspettato, in quanto mette in scena l’importanza di un’attesa che apre a una realtà differente da ciò che si era immaginato. Tutto ruota attorno alla speranza che Martìn si risvegli, eppure, di fatto, la storia non è incentrata sull’“uomo-assente”. Il focus di tutto è sulla presenza di queste due donne, che sanno riconoscersi e apprezzarsi, che vogliono dare vita alla propria artee che imparano a dare spazio alla propria vita. La lettura incredibilmente accattivante e scorrevole vi porterà a terminare questo libro in men che non si dica, lasciandovi in bocca un gusto di verità ed empatia.
Ilaria Bernardini ritrae una “ballata” dell’interiorità, che ognuno articola come può ma che, se direzionata verso una ricerca sincera, non può che portare a svelare la bellezza artistica e della vita.
Per la prima foto, copyright: Timon Klauser su Unsplash.
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