Dove si aggrappa la vita. “La rampicante” di Davide Grittani
La rampicante (LiberAria Editrice), terzo romanzo dello scrittore e giornalista Davide Grittani, è la trasposizione romanzata di una storia vera, risalente ai primi anni Novanta, a cui l’autore ha donato una seconda vita, quella della letteratura. Può sembrare un’espressione esagerata, retorica, eppure è quella che più si addice a un romanzo come questo, interamente dedicato alla vita.
Nella vicenda di Riccardo Graziosi, il giovane protagonista, e dei suoi familiari la vita è un continuo vibrare di emozioni, sentimenti, colpi di scena e, anche, dolori. Fin dall’incipit la vita è messa in constante relazione con la morte; il romanzo, infatti, si apre dal fondo, con la prematura morte di Riccardo in un incidente stradale: un’immagine penosa che Grittani, come farà più volte nel corso della narrazione, trasforma in uno stridente ossimoro:
«Chi l’ha visto dice che una volta a terra avesse ancora la gioia incastrata tra i denti, come frattaglie di mele in mezzo alle finestre degli incisivi. Racconta che avesse un ghigno sornione mentre fissava un punto impercettibile, un’apparizione invisibile agli altri. Il femore sinistro aveva perforato muscoli e tessuti, s’era spezzato in due e il tronco più lungo tendeva i jeans come i piloni di un circo. Chi ha assistito allo schianto sostiene di non aver mai visto nulla di simile, ma dice pure che, nonostante la morte gli stesse alitando sul collo, Riccardo fosse ancora cosciente. E a suo modo persino felice».
L’apparente felicità con cui Riccardo dice per sempre addio al mondo viene usata da Grittani per esprimere l’essenza bifronte della vita, crogiuolo di contraddizioni dove niente è come appare. Il suo carattere beffardo, umorale, viziato dalle trame nascoste del destino in cui spesso si intuisce un’ironia distorta e perversa, riaffiora già al secondo capitolo, intitolato significativamente Inseguendo un porno si inciampa nella vita.
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Vita. Io non le ho contate, ma sono certo che nel romanzo sia una delle parole che compare più volte. Della vita, Grittani ci mostra anche le sfide più attuali. Il trapianto d’organi, per esempio, un tema che tocca da vicino un numero altissimo di persone, ma di cui ancora non si parla quanto si dovrebbe. La vita segreta dei bambini “speciali”, per i quali la sensibilità rappresenta una sorta di senso sostitutivo attraverso cui leggere e interpretare il mondo. E poi, sullo sfondo, la vita in provincia, che è una vita vissuta sulla soglia, un piede dentro e l’altro fuori; una vita in cui crescere significa scegliere, e scegliere rompere per sempre con una delle due parti. Personalmente, credo che possa essere questo il senso dell’espressione “di provincia”: stare sulla soglia, della vita come di un bar, dove osservando il modo di atteggiarsi dei ragazzi con i bicchieri in mano è possibile farsi un’idea su chi di loro resterà e chi invece inseguirà lontano le proprie aspirazioni:
«Le Marche – scrive Grittani non a caso – sono un immenso pianerottolo senza pareti, una terra che osserva tutto senza staccare gli occhi dall’ombelico: difficile stancarsi di posti come questo, a meno che uno non sia stanco di sé stesso».
Ambigua e contraddittoria, la vita. Un po’ come l’edera, simbolo dell’intero romanzo, che ci lascia nell’incertezza se come pianta che non può vivere senza il sostegno di qualcos’altro sia da considerare un esempio di inadeguatezza o invece di perfetto adattamento alla vita. Nel romanzo, Edera è la figlia dei vicini di casa di Riccardo, Piero e Costanza; si tratta di una bambina speciale che soffre di allucinazioni uditive, alla quale Riccardo è molto legato:
«Edera, così l’avevano chiamata in uno slancio di speranza, in un rimbalzo di gaiezza. Pietro e Costanza l’avevano accoltacome si accolgono solo i regali e i bambini, rimanendoper sempre nel dubbio se siano meritati o no. Edera, perché questa rampicante conserva meglio di qualsiasi altro vegetale le tracce della fatalità. Risorge se la estirpano, ricresce se la tagliano, reagisce se la umiliano. S’aggrappa dove può, un po’ come la vita».
Con questo romanzo intriso di attualità, Davide Grittani invita il lettore a seguirlo nel labirinto delle emozioni e dei sentimenti umani. È un viaggio difficile e ad alto rischio, per l’autore più di tutti gli altri. Una storia come questa, che muove facilmente alla commozione, non è materia facile da trattare: il pericolo di cadere nel retorico, nello scontato, nel melenso si ripresenta all’inizio di ogni paragrafo, con la penna dello scrittore costantemente insidiata da una serie piuttosto nutrita di fatti e situazioni da fiction. Questa presenza costituisce uno dei pochi elementi di disturbo in un libro gradevole per la maggior parte, la cui trama, a mio avviso, avrebbe però potuto fare tranquillamente a meno di qualche scena da repertorio televisivo. L’avvertimento che Grittani si sia ispirato a una storia vera è, dunque, quanto mai provvidenziale (ammesso che basti), e potrebbe rappresentare la conferma che la realtà, a volte, sappia davvero mettersi al passo con la fantasia.
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Essendo incerto il confine in cui la realtà cede il posto all’invenzione (sebbene non ci sia camuffamento o veto che impedisca al lettore più o meno esperto di farsi un paio di idee a tal riguardo), il maggior pregio che pertanto mi sento di riconoscere a Davide Grittani e al suo libro è nello stile, dove una scrittura lineare, senza fronzoli né pretese, non estranea a opportuni idiomatismi regionali, rende ancora più apprezzabili alcune delle sue metafore ed espressioni meglio riuscite, segno che quegli sparuti casi di trascuratezza linguistica su cui a volte l’occhio cade non sono imputabili a mancanza di gusto né di capacità.
Per la prima foto, copyright: Kelli Tungay su Unsplash.
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