Donne Novecento – Teresa e Carolina, le “Sorelle Materassi” di Aldo Palazzeschi
Aldo Palazzeschi (pseudonimo di Aldo Giurlani) è stato uno dei protagonisti del Futurismo, corrente letteraria che ha incendiato l’inizio del Novecento italiano. Palazzeschi, grande amico di Filippo Tommaso Marinetti, ha pubblicato sia opere di poesia (come Viaggio sentimentale) sia di prosa (come, appunto,Sorelle Materassi), distaccandosi sul piano materiale dalle idee futuriste per la letteratura, che volevano applicata la visione delle “parole in libertà”, senza, dunque, l’osservanza delle basilari norme grammaticali e ortografiche. Come ha notato Gino Tellini, infatti, il Futurismo di Palazzeschi è “leggero e beffardo”, lui stesso si definiva un “saltimbanco” anziché un poeta e ha sempre rivendicato il volersi “divertire” con le parole.
Sorelle Materassi, pubblicato per la prima volta nel 1934, è considerato il capolavoro di Palazzeschi. Ne sono state tratte diverse rappresentazioni: un film nel 1943, con le sorella Irma ed Emma Gramatica. Nel 1972 il regista Mario Ferrero (con la collaborazione di Fabio Storelli) presenta una versione televisiva del romanzo, che convince l’autore assai più del film. L’ultima versione, teatrale, risale a un paio di anni fa: Geppy Gleijeses ha diretto Lucia Poli, Milena Vukotic e Marilù Prati.
Protagoniste del romanzo sono due sorelle, ormai zitelle, Teresa e Carolina Materassi, che vivono del lavoro di ricamatrici a Firenze. La loro esistenza, grigia e noiosa, viene rischiarata dall’arrivo improvviso di Remo, loro nipote, figlio di un’altra sorella. Il giovane uomo non esita a spillare continuamente soldi alle zie, coinvolgendole nella sua vita e risvegliando in loro qualcosa che era sopito.
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Il romanzo comincia “da lontano”: Palazzeschi inizia a parlare di Firenze, descrivendola ai lettori che non la conoscono. Allo stesso modo di Manzoni, che parte dal celebre “ramo del lago di Como” per poi farci conoscere Don Abbondio, così Palazzeschi descrive Firenze per poi passare a illustrarci la casa delle sorelle Materassi, nel sobborgo chiamato Coverciano. Qui le donne svolgono l’attività di ricamatrici, di abiti bianchi e corredi da sposa, per la quale sono rinomate in tutto il paese. L’autore racconta, con una digressione, la storia della famiglia Materassi, ma prima ci presenta le due protagoniste. Teresa, leggiamo, è una
Donna forte e volitiva, […] dotata di unacorporatura complessa. I capelli sono diunnero lucente, mentre gli occhisono neri, grandi e molto infossati. La sua femminilità, dice Palazzeschi, giace sepolta.
Carolina sembra rappresentare, perlomeno fisicamente, il contrario della sorella:
Esile, tale elasticità del corpo la faceva giudicare fragile, ma era fortissima. I capelli color castagni, avevano riflessi biondastri. […] Gli occhi chiarissimi, non più celesti ma color lavanda, erano due dischi scialbi. […] La faccia era pallida e morbida, pallore e morbidezza prodotti dalla fatica. Sappiamo poi che, mentre Teresa gestisce l’attività sartoriale, Carolina è l’artista, esperta in ricami per tessuti sacri.
Palazzeschi aggiunge che il destino “le aveva volute zitelle” e che nelle vicissitudini (il padre che ha sperperato quasi tutte le ricchezze, ad esempio) le due sorelle (che in tutto sono quattro) si sono in special modo “fatte argine prima e sostegno poi”, abituate alla tristezza piuttosto che alla gioia.
Nel momento in cui inizia il racconto, nel 1918, Teresa e Carolina sono sulla cinquantina. Vive con loro una terza sorella, Giselda, che sembra gravitare su un’altra orbita: infatti, come dice Palazzeschi
Delle quattro sorelle era la più graziosa […] e la più giovane. Era franca, intelligente, vivace. Sappiamo che era franca, intelligente, vivace.
Le sorelle la tengono con sé quasi come una mascotte: Giselda, infatti, non è in grado di ricamare e dunque le assiste unicamente nelle faccende più semplici.
Tutto cambia quando Giselda annuncia alle sorelle il suo matrimonio. Se prima Teresa e Carolina non sono mai state gelose di lei e anzi dimostrano una certa fierezza nei riguardi della sua bellezza, la notizia del matrimonio, ci dice Palazzeschi, getta il seme della rivalità destinato a durare per sempre. Palazzeschi è abile a mostrarci come tra le tre sorelle inizi a serpeggiare la rivalità che sovrasta tutto il resto: quando il fidanzato di Giselda si mostra già inaffidabile prima ancora che diventi suo marito, nessuna delle sorelle fa nulla per fermarla e lei stessa è convinta che Teresa e Carolina siano gelose di lei, quindi è ben felice di allontanarsene. Quando il matrimonio naufraga, appena cinque anni dopo, Giselda è riaccolta dalle sorelle che, magicamente, dimenticano tutto il rancore e la riaccolgono come se fosse la figliola prodiga.
Tuttavia, ormai il rapporto è rotto: Giselda vive in casa come una cameriera che si limita a sistemare le stanze ed è fisicamente e spiritualmente cambiata:
Si era fatta cupa e silenziosa, magra di corpo […] dalla faccia sfiorita, vizza, aveva perduto ogni grazia e il colore, il proprio aspetto quasi come covasse, più che l’intima delusione e la sconfitta. […] Era divenuta dura […] né riusciva a nascondere il livore verso le sorelle vittoriose.
Con loro vive anche Niobe, la vecchia serva, sinceramente affezionata alle tre sorelle e da loro ricambiata.
La quarta sorella, Augusta, è la madre del già citato Remo. Di lei Palazzeschi parla poco, essendo già morta quando inizia la narrazione. La sua storia, dice l’autore, non è né troppo lunga né troppo gaia. Di carattere “mansueto”, abituata a non attirare l’attenzione, Augusta sposa un manovale e si trasferisce ad Ancona. Il rapporto con le altre sorelle, già freddo, si gela ancora di più, limitandosi a uno scambio di lettere e biancheria ricamata per la nascita di Remo. Solo quando Augusta si dice moribonda, le due sorelle si recano al suo letto di morte:
[Augusta] umile e timida nella vita si manteneva davanti alla morte. […] Afferrata la mano delle sorelle disse due volte un nome: «Remo! Remo!» E gliele strinse come si strinse una mano cara per l’ultimo addio.
È in questo momento, dunque, che il destino delle due sorelle si lega a quello del nipote, visto che, come nota Palazzeschi, non è facile dimenticare le parole dei moribondi né le nostre promesse fatte in quell’ora.
Le zie prendono con loro Remo e si adoperano per fornirgli tutto ciò di cui ha bisogno, in primis un’istruzione: sono intenzionate a fargli conseguire la licenza elementare, che il ragazzo, ormai quasi maggiorenne, ancora non ha. Il loro adoperarsi le costringe, per forza di cose, a smuoversi dalle loro solite occupazioni dentro casa, e questo attira, per forza di cose, l’attenzione del paese:
Quasi si fosse trattato di sentinelle impazzite che abbandonano il posto.
Le due sorelle cominciano a diversificare l’atteggiamento nei riguardi del nipote:
Teresa doveva distrarre gli occhi come per fuggire a una domanda; Carolina invece , assalita da uno slancio a cui non era possibile resistere, finiva per abbracciarlo e baciarlo forte, cosa che la sconvolgeva senza poterne capire il perché.
Remo, con il suo comportamento arrogante, comincia a farsi detestare da tutto il vicinato, all’insaputa delle zie, che invece glorificano continuamente il nipote. L’unica a tirarsi fuori e a continuare a detestare il nipote è Giselda.
Giorno dopo giorno, Remo continua a pretendere sempre di più dalle zie: continua a spendere a spandere e sia Teresa che Carolina continuano a cedere, inebriate dall’atmosfera mondana che Remo gli ha portato. Lo giustificano anche quando mette incinta una loro lavorante, dandole la colpa e provvedendo per lei a un matrimonio riparatore, salvando però Remo dal doversi impegnare.
Una scena significativa è quando Remo, per farsi firmare l’ennesima cambiale, diventa aggressivo e le chiude in cantina. Dopo una prima resistenza, anche in questa occasione le due donne cedono, seppur in maniera diversa:
«Non metto firme!» urlò Teresa scattando in piedi e con accento sempre più forte, sbarrando la strada a quel pezzetto di carta […]. Carolina, che non aveva mai distolto gli occhi dal nipote si alzò sempre fissandolo e, come per rovesciargli addosso tutto quello che il suo animo conteneva […] gli si scagliò, avvinghiandogli il corpo, stringendolo con tutte le forze e scoppiando in lacrime.
Si può notare come il rapporto tra Teresa e Remo sia fatto prettamente di sguardi e parole, mentre quello tra Carolina e Remo sia sempre fisico: la zia infatti cerca, in tutte le occasioni, un contatto fisico, come se le parole non fossero sufficienti ad esprimere quello che prova.
Quando Remo le chiude in cantina, con il tacito assenso di Niobe, che non capisce la gravità della questione e che, comunque, è soggiogata dal fascino di Remo, le due sorelle cedono al ricatto, ma il loro aspetto è ancora una volta diverso:
Teresa a testa alta, rispondendo col massimo dello sdegno al massimo della nequizia. Era una regina caduta in mano alla plebaglia […].Carolina a testa bassa, i capelli disciolti, le braccia abbandonate […] era invece la Maddalena.
Anche dopo quest’atto vergognoso, però, le due donne cancellano lo sdegno una e le lacrime l’altra e si agghindano per seguire il nipote in una gita in automobile, come se non fossero capaci di distinguere l’uomo che è dall’immagine che ne hanno.
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Nella conclusione del romanzo, quando Remo si fidanza con l’americana Peggy (e si capisce che sia un matrimonio di interesse), le due donne si sentono tradite, provando quindi il bisogno di screditare la ragazza, prendendola in giro per la sua bocca e per la sua condotta (Peggy infatti ha il vizio del fumo, un’assoluta novità per le donne dell’epoca).
Teresa e Carolina sono due donne diverse, una più forte, l’altra più fragile e dipendente dall’altra. Eppure entrambe, in modi diversi, cedono al rimpianto di una giovinezza perduta.
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