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Donne Novecento – Mara, “La ragazza di Bube” di Carlo Cassola

Donne Novecento – Mara, “La ragazza di Bube” di Carlo CassolaA differenza di Micòl e Fulvia, che nell’intenzione dei loro creatori sono delle co-protagoniste, Mara è invece protagonista assoluta del romanzo di Carlo Cassola, La ragazza di Bube, uscito per i tipi Einaudi nel 1960, poi pubblicato da Rizzoli e Mondadori (attualmente, si trova in libreria nella versione Oscar Mondadori). Ispirato a una vicenda reale, il romanzo, già a partire dal titolo, si focalizza su di lei, una ragazzetta di sedici anni che, nel 1945, vive nella campagna toscana, annoiata dalla vita casalinga. Nelle prime pagine, la vediamo intenta a sbadigliare (le prime due parole in assoluto sono proprio «Mara sbadigliò») scocciata dal dover badare al fratello minore e intenta, per distrarsi, a fare la civetta con Mauro, un suo coetaneo che la corteggia in modo goffo. A interrompere la sua routine monotona ci pensa Arturo Cappellini, detto Bube: un ex partigiano che è stato compagno di Sante, fratellastro di Mara, morto per mano dei tedeschi. Il giovane, per onorare la memoria dell’amico, vuole conoscere i suoi famigliari.

Si noti come, nonostante abbia di fronte un ex soldato, più grande di lei, Mara non ne sia per niente intimidita, anzi, sia lui a sentirsi sotto esame:

«Tuttavia le diede la giacca, e Mara andò nel vano della finestra e ricucì la tasca.

«No, qui non importa» disse il giovane, quasi avesse ritegno a farsi mettere le mani addosso. Mara ridacchiò dentro di sé: era proprio un giovanotto timido. […] Per un po’ stettero in piedi l’una di fronte all’altro, lei guardandolo con disinvoltura, anzi con sfacciataggine, e lui che invece non sapeva da che parte guardare.»

 

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Donne Novecento – Mara, “La ragazza di Bube” di Carlo Cassola

Accolto con affetto dalla famiglia di Mara, la ragazza, per fare rabbia alla cugina Liliana, ricca e spocchiosa, finge che tra lei e Bube sia nato qualcosa, visto che il giovane, per sdebitarsi della loro ospitalità, le ha fatto un regalo:

«Mara fu lì lì per inventare chissà che storia. Ma sapeva che Liliana non avrebbe mancato di venire a informarsi dalla madre; perciò disse: «No, io non lo conoscevo. Ma lui sì: mi aveva visto in fotografia». Questo del resto poteva esser vero, Sante s’era portato dietro una fotografia dei genitori, e c’era anche lei, ma figuriamoci, quando era ancora una bambina. […] “Mangiati il fegato, vai” pensava Mara, lasciandosi scivolare soddisfatta nel sonno.»

 

Mara invidia Liliana perché si sente sfortunata: «con il padre che era uno scansafatiche e si era fatto mettere anche in prigione. E con la madre, che voleva bene soltanto a Sante».

Succede, però, che Bube prenda per vere le sue attenzioni e si reputi impegnato: è dunque intenzionato a “fidanzarsi in casa”, come si faceva una volta, nel rispetto della famiglia dell’amico scomparso. Mara non ne è affatto contenta, ma il giovane decide ugualmente di parlare con suo padre, il quale approva il legame. Completamente diversa è la reazione della madre di Mara, che reputa Bube un delinquente (non cambierà mai idea per tutto il romanzo). Per di più, la donna è impegnata a rimpiangere il figlio scomparso e a disinteressarsi della vita della figlia, cosa che ferisce Mara profondamente. Si noti che, in questa prima fase della narrazione, è solamente la rabbia nei confronti dei genitori a spingere Mara verso Bube, una pedina che lei muove a suo piacimento.

Bube si considera comunque legato a lei, tanto da raccontarle di un fattaccio che ha commesso: per vendicare l’amico Umberto ha ucciso il maresciallo Cècora e suo figlio. Cassola è molto abile a inserire, quasi per caso, la violenza cieca alla quale il ragazzo si abbandona e che segnerà per sempre la sua vita. Inoltre, Bube vuole portare Mara nella sua città, Volterra, per farle conoscere la madre e la sorella. Anche questa volta, la ragazza accetta per rabbia verso la madre:

«“Non ha detto nulla perché non gliene importa che me ne vada. Non solo non gliene importa, ma è contenta se me ne vado, e anzi, vorrebbe che non me ne andassi più”. E fu in quel momento che decise che sarebbe andata con Bube anche a Volterra.»

 

Il rapporto tra i due comincia a consolidarsi: Mara lo rimprovera per quanto accaduto con il maresciallo; invitandolo a stare più calmo. La ragazza, comunque, continua a sfruttarlo: si fa regalare un paio di scarpe con i tacchi, un oggetto di lusso che ha sempre invidiato alla cugina. Bube, quindi, è lo strumento della sua rivincita.

Donne Novecento – Mara, “La ragazza di Bube” di Carlo Cassola

Dalla seconda parte in poi, il ritmo del romanzo comincia a diventare più incalzante: proprio sulla corriera per Volterra avviene la scena clou di tutta l’opera. Una donna, veduto Bube, lo prega di vendicare suo nipote, ucciso dai fascisti, a suo dire, per volere del prete Ciolfi, salito anche lui sulla corriera. Bube, quindi, è visto dai suoi concittadini come un vendicatore, ma anche, allo stesso tempo, come un capro espiatorio: perché è sempre lui a ritrovarsi con le mani macchiate di sangue e a doverne pagare le conseguenze. Dapprima, il ragazzo cerca di placare la donna…

«Così Bube era costretto a viaggiare in una posizione parecchio scomoda, curvo sulla donna, che non gli lasciava le mani e lo guardava fisso con aria avida e implorante.»

 

Mara, in questa scena, è dapprima solo una spettatrice, che ha il solo compito di registrare voci, odori ed espressioni, fino a quando la donna, che Bube le presenta come sorella di un partigiano ucciso, la chiama vicino. Se in un primo momento Mara provava per lei una sorta di repulsione, in un secondo momento si sente commossa e partecipe del suo dolore.

«Mara le posò una mano sulla spalla. Non lo fece per convenienza, ma perché improvvisamente aveva provato pietà per quel grosso torso piegato in avanti, per quella testa china e nascosta. […] A Mara non faceva più senso, le era venuto anzi l’impulso di abbracciarla e accarezzarla.»

 

Questa scena riproduce, in piccolo, il grande cambiamento che vedremo in Mara.

Nel frattempo Bube si incarica di scortare il prete Ciolfi in carcere, per evitare che venga linciato dalla folla. Il ragazzo è sempre animato da buone intenzioni, ma, come scoprirà Mara più avanti, cederà ancora una volta alla spinta dell’odio cieco, picchiando selvaggiamente il prete. Anche stavolta la ragazza non rimane in silenzio:

«Ma chi ti credi di essere? Perché hai picchiato un prete, pretenderesti di picchiare anche me. Bella forza picchiare un vecchio» aveva aggiunto con disprezzo. «E vi ci siete messi in cinquanta.». «Niente affatto: gli altri stavano a guardare, ho picchiato io solo». […] «Insomma sono io l’uomo… e te devi obbedire» aveva concluso Bube. Lei s’era messa a ridere: «E io sono la donna… e perciò voglio averla io l’ultima parola».

 

Mara tiene testa al fidanzato, pretendendo quella parità di idee e opinioni totalmente assente all’epoca.

Il ritmo narrativo continua ad aumentare. Bube deve scappare, poiché è ricercato per il doppio delitto commesso. In questo momento di difficoltà tra i due nasce finalmente una vera intesa, anche dal punto di vista fisico, cosa che non era mai accaduta prima:

«Posò una mano sulla sua: se la sentì stringere. Poi si sentì abbracciare. Allora appoggiò la testa sulla spalla di lui. E così rimasero a lungo, ed erano tutt’e due turbati, turbati e felici come si può essere una sola volta nella vita: perché anche per lui era la prima volta.»

 

Tra i due si crea un rapporto vero e autentico, senza più sotterfugi. Mara diventa la sua principale alleata e consigliera, i due si promettono reciproca sincerità.

«È proprio questo il bello di volersi bene. Che c’è una persona alla quale si può dire tutto … Io, vedi, non mi sono mai potuta confidare con nessuno… se avevo qualche dispiacere, dovevo tenermelo per me. Neanche con mia madre, ho mai avuto confidenza. Con le amiche, poi, dicevo sempre il contrario di quello che pensavo».

 

Facendo l’amore, i due si promettono per sempre uno all’altra, aspettando di poter tornare insieme, considerandosi già marito e moglie. Mara ha il grande potere di farlo riflettere sui suoi errori passati:

«Perché lo hai picchiato?» […]

«Perché era un fascista, no?»

«Si, ma prima t’eri messo d’accordo con Memmo di accompagnarlo alle carceri … in modo da evitare che lo picchiassero».

«È vero, ma …» La guardò: «E poi, come dovevo fare? Mi avrebbe giudicato un vigliacco, se l’avessi lasciato picchiare alle donne».

Donne Novecento – Mara, “La ragazza di Bube” di Carlo Cassola

Nella parte terza la situazione di Mara si ribalta: tornata a casa, la sua solita vita le sembra grigia ed estranea, il suo solo pensiero è Bube.

«Pensare che il giorno prima era insieme al suo amore; e ora era sola, o le toccava subire la compagnia di persone che le erano indifferenti, peggio, le erano odiose.»

 

Riesce, però, a riconciliarsi con i genitori e con il ricordo di Sante:

«Non dissero altro, non fecero più un gesto: per la prima volta uniti nel dolore per il figlio morto. E Mara, mentre rigovernava voltando le spalle ai genitori, versò in silenzio le sue prime lacrime per il fratello.

La notizia della fuga di Bube si sparge per tutto il paese e la gente comincia a chiacchierare. Mara, ormai, si sente stretta nella sua solita vita a Monteguidi, decidendo di andare a servizio a Poggibonsi.

Mara un tempo era la più svelta a prendere in giro le compagne e a rintuzzare le canzonature. Ma quest’anno se ne stava per conto suo. Non accettava gli scherzi, andava subito in collera; un giorno, piantò in asso il lavoro e scappò via. […] Lì a Monteguidi non ci poteva più vivere.»

 

Nella sua nuova vita Mara si affida a Ines, una sua compaesana, con la quale trascorre tutto il tempo libero. Una sera, l’amica le presenta Stefano. In un primo momento, Mara è infastidita da questo nuovo incontro e lo tratta freddamente. Dopo poco tempo, però, i due si raccontano le proprie vicende sentimentali e tra Stefano e Mara si instaura una reciproca attrazione:

«Mara tornò a casa stordita ed eccitata. […] Stavolta si trattava di uno sconosciuto, che sulle prime l’aveva intimidita anche per la differenza d’età. Era contenta di averci saputo parlare. E la lusingava il fatto di avergli ispirato confidenza… Ma poi finì col prevalere un senso di vergogna.»

 

Mara è attratta sempre di più da Stefano e da quella che le sembra una vita più semplice, adatta a una ragazza della sua età, andare al Luna Park, poter stare vicini, fantasticare sul matrimonio. Ma una lettera di Bube cambia tutto, di nuovo: la ragazza si sente ormai legata a lui e prova a troncare con Stefano. In questa fase, si sente delusa da entrambi. Da Stefano, perché non l’ha trattenuta; da Bube, perché non la lascia andare:

«Ma dunque sono destinata a passare la mia giovinezza così, senza l’amore? Un mese prima, aveva compiuto diciassette anni; e le pareva che il meglio della vita fosse già passato […] la sua gioventù stava consumandosi inutilmente, legata com’era a un uomo che non avrebbe potuto rivedere mai più.»

 

In effetti, le notizie per Bube non sono buone, per lui si profila l’ombra di un processo. Nel frattempo, Mara è tornata tra le braccia di Stefano, ma capisce che, tra loro, non ci potrà essere un futuro:

«Ma più Stefano si slanciava a parlare della loro futura vita matrimoniale, più lei si raffreddava. […] Un giovane che aveva queste idee, sarebbe stato certo un buon marito. Ma sotto questa veste, Mara non riusciva a immaginarlo.»

 

Quando Bube viene arrestato, dopo essere stato espulso dalla Francia, Mara si trova a rivederlo dopo un anno e nove mesi. Dapprima, non se la sente di incontrarlo e vorrebbe scappare, ma poi le viene in aiuto una forza interiore:

“No, sola no” … rinuncio” stava per dire Mara; ma subitaneamente sentì una forza straordinaria invaderla.

 

Ella riesce non solo a farsi forza, ma a trasmetterla al fidanzato, che riacquista un minimo di speranza per il futuro. Il ragazzo, da questo momento in poi, dipenderà sempre da Mara. Ormai i due sono legati indissolubilmente: a Mara non resta che lasciare Stefano, stavolta per sempre, poiché lei è e sarà la ragazza di Bube.

 

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La quarta e ultima parte è una sorta di romanzo nel romanzo: Bube è stato condannato per omicidio e Mara attende, ormai da diversi anni, la sua scarcerazione. Vediamo Mara per l’ultima volta sul treno, stanca, tornare da un colloquio con il fidanzato. Eppure, la sua forza interiore la sostiene ancora una volta:

«E l’angoscia la prese, al pensare che Bube era là tra quelle mura, e ci sarebbe rimasto altri sette anni. Ma non fu che un momento: perché ancora una volta quella forza che l’aveva assistita in tutte le circostanze dolorose della vita, la sorresse e le ridiede animo. Mara pensava […] che aveva fatto la metà del cammino, e che alla fine della lunga strada ci sarebbe stata la luce…»

 

Rispetto a Micòl e a Fulvia, Mara risulta di certo un personaggio più completo, che il narratore ci mostra in ogni sua parte. La sua metamorfosi è stupefacente: da ragazzina annoiata e immatura diventa una donna che sceglie una vita difficile, ma che difende con convinzione e sacrificio.

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