Donne Novecento – Cate e “La casa in collina” di Cesare Pavese
Il 27 agosto scorso si sono celebrati i 70 anni dalla morte di Cesare Pavese, morto suicida. Di lui ci restano i romanzi, le raccolte di poesie e il suo diario postumo, Il mestiere di vivere.
La protagonista di questa puntata è nata dalla sua penna: La casa in collinavenne pubblicato nel 1948 per i tipi della casa editrice Einaudi, della quale Pavese può essere considerato un co-fondatore. Protagonista del romanzo è Corrado, alter ego dello scrittore: giovane professore a Torino, di notte torna sulle colline per paura dei bombardamenti. Siamo nel 1943, alla vigilia dell’armistizio dell’8 settembre.
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In questo romanzo soprattutto è presente il distico città vs. collina: la città è affascinante e difficile come l’età adulta, un passaggio che si cerca di rimandare il più possibile (pare che a Pavese fosse cara una frase di Shakespeare, «ripeness is all», “la maturità è tutto”); la collina è invece placida e tranquilla come l’adolescenza, quando si ha ancora tempo davanti a sé per le decisioni importanti. Una sera, il professore ritrova Cate, una donna del suo passato:
«Lei non s’era scomposta. Abbandonava sempre il capo contro il muro, e quando le balbettai:
«Lei è Cate. Sei Cate,» non mi dava più risposta.
Mi pareva di aver riaperto una stanza, un armadio dimenticati, e d’averci trovata dentro la vita di un altro, una vita futile, piena di rischi.
Ott’anni fa, cos’era Cate? Una figliola beffarda e disoccupata, magra e un poco goffa, violenta.
Lei viveva con i suoi, sei o sette, in due stanze su un cortile. Ma quella fu l’unica sera che venne a trovarmi. […] Io poi combattevo tra la soddisfazione di averci la ragazza e la vergogna del suo tipo scalcagnato e inesperto. […] Le comperai qualche volta un rossetto che la riempì di gioia, e fu qui che mi accorsi che si può mantenere una donna, educarla, farla vivere, ma se si sa di cos’è fatta la sua eleganza, non c’è più gusto. […] Mi chiarì che per me lei non era che sesso. Sesso sgraziato, fastidioso.»
Come si è visto, il romanzo è narrato in prima persona, quindi ci sarà bisogno di “filtrare” i pensieri del protagonista per ottenere Cate senza filtri.
Corrado scopre che la donna ha avuto un figlio, Dino:
«In quel momento piombò Belbo di carriera, rotolandosi e schizzando nell’ombra. Il ragazzo si strinse alle gonne di Cate, impaurito.
«Scemo,» gli disse Cate, «non è niente».
«È tuo figlio?» le dissi.
Mi guardò senza aprir bocca.
«Ti sei sposata?»
Scosse il capo con forza – riconobbi anche questa -e disse:
«A te cosa importa?»
Da questo momento, l’ossessione di Corrado è sapere se Dino (tra l’altro, diminutivo di Corradino) è suo figlio, ed è impaurito e attirato allo stesso tempo dall’idea di dover assumersi delle responsabilità. Cate, fin da subito, manifesta una grande dignità:
«Ti ho già raccontato la mia vita di questi anni. Ho sempre faticato e battuto la testa. I primi tempi è stato brutto. Ma avevo Dino, non potevo pensare a sciocchezze. Mi ricordavo di quello che mi hai detto una volta, che la vita ha valore solamente se si vive per qualcosa o per qualcuno …»
Dimostra di non essere più la «ragazza disperata», ma una donna che conosce bene chi ha di fronte e non ha paura ad esporsi, di questo se ne rende conto lo stesso Corrado.
Tuttavia, l’uomo non riesce a liberarsi da questa ossessione:
«Che cosa t’importa se Dino è tuo figlio? Se fosse tuo figlio mi vorresti sposare. Ma non ci si sposa per questo. Anche me vuoi sposarmi per liberarti di qualcosa. Non pensarci».
Tra Corrado e Cate sembra riallacciarsi l’antica intesa, ma l’uomo, per quanto desideri tornare con lei e formare una famiglia, sa di essere destinato a stare solo, come lo stesso Pavese:
«Voialtri non posso essere io» tagliai. «Io sono solo. Cerco d’essere il più solo possibile. Sono tempi che soltanto chi è solo non perde la testa».
Cate si rabbuiò fermandosi.
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Ben presto, la guerra dilaga e la collina smette di essere un luogo calmo e rassicurante. Tutti gli abitanti, Cate compresa, si adoperano per aiutare i Partigiani e vincere la guerra. Tranne Corrado, che si sente dilaniato dal voler aiutare e il sentirsi estraneo a tutto. Un altro tratto comune a Pavese, il quale, a differenza dei suoi amici più cari, come ad esempio Leone Ginzburg, non partecipò attivamente alla Resistenza, tenendosi in disparte. Un senso di colpa amaro che tocca anche Corrado:
«Perché la salvezza sia toccata a me e a non Gallo, non a Tono, non a Cate, non so. […] Perché sono il più inutile e non merito nulla, nemmeno un castigo?»
Il personaggio di Cate è appena tratteggiato, ma Pavese è stato in grado di offrirci il ritratto di una ragazza diventata donna troppo presto che ha costruito la sua intera vita sulla dignità.
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