Donne Novecento – Amalia in “Senilità” di Italo Svevo
L’immagine della morte è bastevole ad occupare tutto un intelletto.
(Italo Svevo, Senilità)
Senilità è il secondo romanzo di Italo Svevo, pseudonimo, come sanno i più, di Ettore Schmitz. Lo pubblicò dapprima a puntate su «L’Indipendente», nel 1898, secondo l’suo dell’epoca, per poi pubblicarlo in volume successivamente, a sue spese. Come era successo per Una vita, il primo romanzo di Svevo, anche Senilità fu un insuccesso. D’altronde, per iniziare ad avere i primi riconoscimenti, Svevo dovrà aspettare il 1925, tre anni prima della sua morte, anno di uscita del saggio scritto da Eugenio Montale, che non ha certo bisogno di presentazioni, dal titolo Omaggio a Italo Svevo, pubblicato sulla rivista «L’Esame». Un altro aiuto per la sua popolarità lo ricevette da James Joyce, dal quale prendeva lezioni di inglese e che divenne in seguito suo amico ed estimatore, proponendo le opere di Svevo a parecchi traduttori.
Nel 1923 Svevo aveva pubblicato il suo terzo e ultimo romanzo, nonché il più famoso, La coscienza di Zeno, destinato a diventare una pietra miliare della nostra letteratura, ma era ancora uno sconosciuto. Montale lesse tutti e tre i romanzi e si rese conto, con una sorta di chiaroveggenza, della portata della novità rappresentata dalle opere di Svevo.
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Tornando a Senilità, la coprotagonista è Amalia, sorella di Emilio Brentani. L’uomo, trentacinque anni, è un inetto, il personaggio impreparato alla vita che Svevo aveva già proposto con il suo primo romanzo, Una vita, con protagonista Alfonso Nitti. Lì, però, l’uomo finiva per suicidarsi, incapace di affrontare il mondo. Emilio, al quale l’autore regala un suo tratto, cioè quello di essere uno scrittore incompreso e di dover fare un lavoro che non gli piace per sopravvivere, non muore, ma, come nota il critico Gino Tellini; fa morire gli altri, quelli che gli stanno intorno e che gli vogliono bene. Emilio si crede un seduttore (ma è invece sedotto) e soprattutto si muove per casa come un cliente d’albergo, ignorando i sentimenti e la solitudine di Amalia. L’assonanza tra i loro nomi non è casuale, c’è tra di loro una sorta di legame che va oltre a quello di sangue: sono proprio fatti della stessa pasta, sono dei “senili”, dei vecchi, nonostante la loro giovane età sono dei falliti, incapaci, si diceva, di prendere posto nel mondo. Di ben altra materia sono composti i loro innamorati, speculari a loro, vitali e che si godono la vita, Angiolina Zarri e Stefano Balli.
Vediamo come Svevo ci presenta Amalia:
«Una sola sorella, non ingombrante né fisicamente né moralmente, piccola e pallida, di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino. Dei due, era lui l’egoista, il giovine; ella viveva per lui come una madre dimentica di se stessa.»
Si noti poi che gli unici elementi fisici che Svevo ci illustra di Amalia sono “gli occhi grigi” (quindi spenti) e le mani, unico elemento giovane in un corpo che sembra già decadente e avvizzito.
Mentre Emilio porta avanti una relazione tra alti e bassi con Angiolina, che lui vede angelica (il nome non è infatti casuale) mentre, invece, è fin troppo disinibita (e infatti lo tradisce continuamente); Amalia prova un interesse per Stefano Balli, pittore e amico di Emilio. Proprio il fratello se ne accorge:
«Nel suo occhio grigio brillava una nuova luce quando lo posava sullo scultore. Non v’era alcun dubbio. […] Amalia amava il Balli.»
Poiché Stefano non ricambia il sentimento di Amalia, Emilio si frappone tra i due intimando all’amico di non tornare più a casa loro. La sorella, che aspettava l’arrivo dell’uomo con ansia, rimane dispiaciuta:
«Poco dopo ella venne, con passo rapido; si fermò dandosi da fare intorno alla porta che non voleva chiudersi. Doveva aver pianto. Aveva gli zigomi rossi e i capelli bagnati; certo, s’era bagnata la faccia per cancellare ogni traccia di lagrime.»
Emilio, preso dalla sua storia con Angiolina, finisce per ignorare completamente il dolore della sorella, troppo preso dal suo, fino a quando la donna non rivela i primi segni della sua malattia:
«Le guance infiammate, le labbra violacee, asciutte, informi come una ferita vecchia che non sa più rimarginare.»
Spaventato da quella immagine, Emilio cerca di aiutarla:
«Lo aveva guardato una seconda volta, pensierosa, come se avesse cercato di comprendere la ragione di quei gridi e di quella replicata pressione sulla sua spalla. Si toccò il petto, come se in quell’istante si fosse accorta dell’affanno che la tormentava.»
Il fratello chiede aiuto ai vicini e a Stefano, che si incarica di chiamare un medico. È sorprendente come, nonostante il delirio e la febbre alta (date da una grave forma di polmonite) Amalia riconosca Balli e si concentri su di lui:
«Quando le permisero di riadagiarsi, ella continuò a guardare il Balli ch’ella, anche nel delirio, continuava a considerare quale la persona più importante per lei in quella stanza.»
Secondo il medico, è impossibile che una forma così grave non si sia manifestata prima. Emilio si sente quindi chiamato in causa, perché, evidentemente, ha ignorato dei segnali, troppo preso dalla sua vita per notare la malattia della sorella.
Amalia continua a concentrarsi su Stefano: Emilio si accorge che, nei suoi deliri, la donna sta sognando le nozze:
«[Amalia]: -Che bisogno avevo io di questo … oggi! Come faremo con questo … questo … in una giornata simile?
Il solo Emilio comprese. Ella si sognava a nozze.»
L’unica consolazione per la donna, ormai in punta di morte, è l’ammirazione di Stefano Balli:
«Amalia era livida; la sua faccia aveva il colore del guanciale su cui si proiettava. Il Balli la guardò con evidente ammirazione. […] La faccina […] minacciava imperiosamente. Fu un lampo: ella ricadde subito, quetata da parole che non comprese […]. Il Balli disse: -Pareva una buona dolce furia. Non ho mai visto qualche cosa di simile. -S’era seduto e guardava in aria con quell’occhio sognatore con cui cercava le idee. Era evidente, ed Emilio ne provò soddisfazione: Amalia moriva amata dell’amore più nobile che il Balli potesse offrire.»
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Alla fine Amalia, dopo un inaspettato miglioramento, muore:
«Infatti, poco dopo, la bocca d’Amalia si contrasse in quello strano sforzo in cui pare che da ultimo anche i muscoli, inetti a ciò, vengano costretti a lavorare per la respirazione. L’occhio guardava ancora. Ella non disse più alcuna parola. Ben presto al respiro s’unì il rantolo, un suono che pareva un lamento, proprio il lamento di quella persona dolce che moriva.»
Amalia Brentani è uno dei personaggi femminili del Novecento che merita di essere riscoperto per la semplicità ma, al tempo stesso, la dignità con cui Svevo la rappresenta.
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