Dino Risi raccontato dal figlio Marco
È uscito il 4 febbraio per Mondadori, collana Strade Blu, Forte respiro rapido. La mia vita con Dino Risi di Marco, secondogenito dell’indimenticato regista, del quale ha seguito le orme (ad esempio, ha curato lo scorso anno la regia della fiction Rai L’Aquila – Grandi Speranze), come del resto il fratello maggiore Claudio.
In quest’opera autobiografica l’autore, in cinquantuno capitoli condensa il suo percorso accanto al padre, riuscendo nella delicata impresa di renderci partecipi. Per la mia generazione, quella degli ultimi figli del Novecento, Dino Risi rappresenta solo, per i più fortunati, un nome da libro di storia. Ben venga dunque quest’opera, che ci proietta indietro di molti anni, e ci permette di conoscerlo come se l’avessimo ospitato nel nostro salotto per un caffè.
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La prima cosa che mi ha colpito è il titolo: non “la mia vita con papà”, ma la mia vita con “Dino Risi”, come a volercelo regalare e mostrare senza i filtri dell’affetto filiale. La seconda è il capitolo Circeo, nel quale si racconta la genesi delle estati al mare, immancabili per le famiglie italiane: la casa quasi dentro il monte, tra le rocce, che ha ospitato divi come Tognazzi e Gassman, che ha intravisto l’incontro con Susan Sarandon. Le estati che sanno di sale e pescetti da pescare, di piccoli infortuni sugli scogli (propri di ogni generazione!). Un capitolo che ho davvero gustato perché mi ha ricordato le mie di estati, passate al Circeo da quando ho memoria, con una divertente coincidenza: la famiglia di mio padre ha comprato la casa nello stesso periodo. Credo che quest’opera (mi sembra improprio chiamarla “romanzo”, anche se scorre come fosse tale) avrà successo non solo perché l’autore è stato sincero, raccontando e raccontandosi, ma anche perché ha usato quello che Natalia Ginzburg chiamò “lessico famigliare”, cioè quella lingua segreta che è propria di ogni famiglia, nota solo ai componenti che ne fanno uso. È divertente e al tempo stesso commovente “spiare” i lessici famigliari altrui.
Tutti i capitoli, uno dopo l’altro, s’imprimono nella memoria e contribuiscono a creare un ritratto di Dino (mi si conceda questa familiarità) sempre più corposo: dal matrimonio con Claudia, madre dei suoi figli (Mia madre, Dino e Claudia) e il loro legame che non è mai davvero finito, al profondo affetto per il fratello Nelo e la cognata Edith Bruck, una delle ultime sopravvissute ad Auschwitz (cosa darei per poterla conoscere!), passando per l’amicizia di una vita con Vittorio Gassman (Dino e Vittorio), del quale vediamo una profonda e intima essenza, Federico Fellini, con De Sica, con le attrici che sono diventate vere e proprie icone come Anita Ekberg (Anitona). Non mancano episodi divertenti, come in L’avvocato, dove Dino Risi viene scambiato per Gianni Agnelli, mostrando la sua vis comica. E poi ci vengono mostrate tutte quelle persone che girano intorno alla famiglia, come le donne di servizio che diventano pezzi di cuore (La Gina), gli amici e i compagni di classe e tutte quelle persone che, anche per un solo giorno, influenzano la nostra vita per sempre. E poi, ovviamente, molti capitoli sono dedicati alla settima arte, che padre prima e figlio poi hanno amato più di ogni altra cosa.
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Sembra scontato dirlo, ma il capitolo più efficace, che il respiro lo fa davvero perdere, è quello che dà il titolo al romanzo: non svelerò cosa racconta, perché è come un patto segreto tra l’autore e ogni lettore, ma posso assicurare che è una piccola lezione di vita, che spero i più giovani raccoglieranno. Una citazione di Dino, molto gustosa, che viene riproposta, mi ha fatto molto ridere: «Il mio lavoro? È stato una bella vacanza». Ecco, leggere questi capitoli è stata una piccola, bella vacanza. Grazie Marco e grazie Dino.
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