Dieci anni di Lipperatura: intervista a Loredana Lipperini
Loredana Lipperini inaugura una nuova avventura per il blog di Sul Romanzo. Chiacchierate d’autore con blogger e giornalisti, alcuni famosi sia nella blogosfera sia fuori, altri lo diventeranno presto, per cercare di capire in che direzione sta andando la comunicazione on e off line. Tra social network, link, post e affini, partiamo intervistando appunto Loredana Lipperini, scrittrice, conduttrice radiofonica, autrice di programmi per la televisione.
Dieci anni di blog sono un bel traguardo e un bel risultato. Come si è evoluto il modo di comunicare sul web in questi dieci anni?
Non dico che sia stato rivoluzionato, ma certo i cambiamenti sono stati notevoli: quando ho aperto Lipperatura, nel novembre 2004, si respirava l’euforia da blog (io, anzi, sono arrivata con almeno due anni di ritardo rispetto ai pionieri), e il fatto che si potessero trovare tante idee esposte quotidianamente, e quotidianamente commentate, sembrava segnare l’inizio di un grande cambiamento. Per non poco tempo, le discussioni letterarie si erano davvero spostate in rete, ed erano le pagine culturali dei quotidiani a seguirle e riprenderle. Non che tutto questo sia scomparso, intendiamoci, e non ho nessuna intenzione di spargere lacrime sul tempo che fugge. Semplicemente, i social network hanno, da una parte, allargato la possibilità di partecipare alla discussione e, dall’altra, hanno compresso tempi e spazi. La comunicazione – ma questa è un’ovvietà – è divenuta più rapida e sintetica, e difficilmente si indulge al dibattito nei commenti sotto un post: più veloce, e visibile, il tweet, o lo status su Facebook. Detto questo, i blog non hanno certo esaurito la propria funzione, e i social possono essere molto utili per rilanciare il contenuto di un lungo post. Detto anche questo, è pur vero che i social spingono per propria natura a un raggiungimento di visibilità maggiore, alla battutina fulminante, al flame arguto. Ancora una volta, non esiste un canone: ognuno usa la rete come crede, qualunque sia la tendenza. Almeno, io continuo a fare così.
Dopo aver scritto Morti di fama con Giovanni Arduino, la situazione della comunicazione sul web le risulta più chiara? E quali scenari si intravedono, secondo lei, all'orizzonte?
Magari fosse davvero chiara: magari conoscessimo gli algoritmi di Amazon e i criteri con cui i libri arrivano nelle parti alte della classifica. Magari sapessimo quanto dei nostri dati viene fornito dai social alle aziende e come. Magari sapessimo essere consapevoli, sempre, dell’uso che il web fa chi di chi lo usa. Giovanni Arduino e io abbiamo scritto un pamphlet per raccontare quello che a nostro parere sta avvenendo ora: naturalmente, proprio perché ne siamo coinvolti in prima persona, non possiamo sapere quel che avverrà. Le profezie sono faccenda azzardata, ma non mi stupirei se nascesse un “datagate” anche per quel che riguarda Facebook e Google, prima o poi.
Servono i blog di letteratura a creare nuovi lettori? Oppure sono sempre gli stessi che se la cantano e se la suonano?
Non sono sempre gli stessi, e discutere sui libri serve sempre. Certo, in molti casi la sensazione è che i blog letterari parlino degli stessi libri, e che chi commenta parli dei propri o finga di apprezzare un determinato titolo sperando che arrivi il suo turno di pubblicare. Per quel che mi riguarda, raramente scrivo recensioni su Lipperatura, che non è un blog letterario in senso strettissimo, ma un blog culturale, e civile, semmai. I nuovi lettori non si creano in rete, a mio parere: si creano in famiglia e a scuola. E si creano con un sistema editoriale che non intende soltanto sfruttarli, ma stimolare la loro curiosità, e anche giocare al rialzo, anziché al ribasso. Utopie, al momento.
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Ha spesso parlato di rete, avanzando critiche e perplessità, scatenando talvolta le ire degli internauti e dei feisbucchiani. Ha avuto qualche volta la tentazione di non rispondere o replicare? Questi dibattiti possono essere realmente costruttivi per chi vi partecipa o per chi li segue?
Scateno molto spesso ire, e mi sono abituata. Per quanto riguarda la polemica che lei cita, è una delle poche in cui ho preso la parola: semplicemente, perché mi sembrava che non si stesse discutendo dei contenuti del libro (si parlava di Morti di fama, che nessuno dei partecipanti aveva letto) ma di quanto potessi essere antipatica a tizia e caio. I dibattiti sono sempre costruttivi: quando sono tali, però, non quando si tratta di sfoghi personali, di vecchi o nuovi risentimenti sulla persona, del banale desiderio di denigrare o fare pettegolezzo. Negli archivi di Lipperatura esistono discussioni da trecento commenti dove le posizioni erano diversissime, e che ritengo importanti anche quando ci si è espressi a muso duro. Ma c’era un contenuto, ripeto: non un flame per annoiati. Dunque, nella maggioranza dei casi non intervengo affatto.
Scrive molto della questione femminile, da Di mamma ce n'è più d'una a Non è un Paese per vecchie a L'ho uccisa perché l'amavo. Quanto contano le parole giuste, secondo lei, nel dibattito nazionale (se c'è davvero un dibattito, poi)? L'introduzione del termine "femminicidio" funziona? Serve a qualcosa?
Un po’ di chiarezza: l’introduzione del termine femminicidio non è recente, risale agli anni Novanta, avviene in ambito internazionale e, comunque la si pensi sulla parola, è utile a definire un determinato tipo di delitto. Le parole giuste contano sempre, contano moltissimo: perché solo attraverso parole nuove si ridefinisce la realtà. Le parole “fanno” la realtà, anzi: la vera creazione avviene quando Adamo, nel giardino dell’Eden, “nomina” piante e animali. Cambiarle è cosa lunga e difficile: ma, soprattutto per chi lavora con le parole, come sosteniamo Michela Murgia e io in L’ho uccisa perché l’amavo, non si può che partire da qui. Infine. Ho cominciato a scrivere della questione femminile nel 2007, con Ancora dalla parte delle bambine, che è stato il primo libro della trilogia ideale proseguita con i saggi sulle vecchie e sulle madri. Ora credo che sia giusto passare il testimone ad altri, e pensare a libri che riguardino altri argomenti, come Morti di fama o che raccontino le donne con un taglio narrativo, come nel mio primo libro per ragazzi, Pupa, che è uscito il 16 dicembre per Rrose Selàvy. O quello a cui sto iniziando a pensare ora.
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