Dialogare con l’assenza. “Atti di un mancato addio” di Giorgio Ghiotti
Giorgio Ghiotti è un narratore/poeta che ha iniziato prestissimo a pubblicare. Non aveva nemmeno vent’anni quando firmò il suo primo libro, una raccolta di racconti; oggi non ha ancora toccato i trent’anni, ma i suoi libri sono numerosi. Per Hacca edizioni ha appena mandato in stampa un romanzo: Atti di un mancato addio, il ricordo di un gruppo di giovani che ha trascorso insieme gli anni del percorso dall’essere giovani all’età adulta.
In questo romanzo il protagonista, Edoardo, è diventato uno scrittore che ricorda così i suoi sedici anni:
«Mio padre diceva che ero un rincoglionito, pieno di distrazioni e per questo inciampavo di continuo, e non escludo sia vero perché a sedici anni, ricordo, pensavo moltissimo a delle cose enormi e fondamentali, almeno a me sembravano enormi e fondamentali, cioè il destino dio la natura e sopra ogni cosa l’amore, chiedendomi dove mai si nascondesse, e cosa volesse dire, se una felicità sotterranea e lunghissima o un brivido solo, un picco, di notte davanti al mare con i piedi affondati nella sabbia e l’uccello in un corpo caldo di voglia e di sole accumulato come una serra.»
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Il mistero del libro è racchiuso nella scomparsa di uno degli amici del protagonista, di nome Giulio, una persona «sempre piena di misteri». Ma prima c’è tutta la vita di questi universitari che stazionano in una delle case di San Lorenzo, che ha ricevuto una bella botta nel corso dell’ultimo terremoto. È un palcoscenico che mostra la vita delle persone prima che vengano chiamate dall’esistenza adulta. Il gruppo faceva delle trasferte molto piccole, da esaurire nel Lazio, quando alla fine Trottola legge sul cellulare una notizia vecchia di cinque anni: la morte di Lucio Dalla. La piccola comunità decide di andare a rendere omaggio al grande cantante bolognese e di avere delle visioni lì in mezzo a dei gatti che amoreggiano tra le tombe.
Dopo la scomparsa di Giulio, Edoardo e Massi vanno a Santa Maria, a cercare la casa dove è cresciuto il loro amico; qui tra gli altri incontrano anche la madre, Susanna:
«Il modo in cui tenevano la sigaretta tra le dita, quasi con noia, o il silenzio di cui erano capaci, ascoltando per dei minuti interi con lo sguardo fisso, altrove concentratissimi. La calma della loro voce, sempre bassa, un modo di camminare solo loro, dignitoso e dimentico, come se ogni passo fosse il primo, pieno di uno stupore naturale. Consapevoli della bellezza altrui, ignoranti di possederne molta.»
Il protagonista, l’io scrivente, comincia a “parlare” con l’assenza, con questa figura che un giorno all’improvviso è scomparsa, senza lasciare traccia, se non nelle menti dei suoi parenti, dei suoi amici. E così quel corto a cui stava lavorando anche Giulio, nel momento in cui è scomparso, diventa quasi la “scena del crimine”, quando viene proiettato all’Azzurro Scipioni. A un certo punto c’è la presenza di Giulio in quella sala, anzi lo vede proprio il protagonista, è una specie di visione la sua:
«Allora, in quel fluttuare lattiginoso, lo vidi. Giulio se ne stava lì, tra noi, seduto in platea pochi posti più in là, sprofondato nella poltrona di legno, le gambe accavallate come quando fumava in cucina, spalle alle piastrelle, un gomito sull’acquaio l’altro sul tavolo, incastonato nel mezzo. Un’icona. Sembrava un fantasma immerso in quella luce da obitorio, il mio pesce-lanterna a scandagliare l’oscurità dell’oceano.»
La vita di ogni scrivente, di ogni persona che pensa alle cose perdute e mai più ritornate è una specie di continua perdita e Giulio ha compiuto quell’azione in un modo eccezionale, quasi un pezzo di bravura. E così dopo gli anni passati a studiare, ognuno fa una cosa distinta dagli altri, com’è ovvio, ma nessuno ha più molta voglia di comunicare tra loro. Perché ci sono momenti della vita che appartengono al passato. Non c’è più nessuno che potrà ritornare a vivere quella giovinezza trascorsa a San Lorenzo, dentro quella casa con la condivisione di una trama orizzontale come la botta del terremoto.
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Edoardo non può che continuare a mettere insieme in maniera ondivaga e rabdomante le sue visioni che sono le uniche che possono arrivare ad una fantomatica realtà:
«Per me scrivere è sempre stato cogliere, dalla matassa intricata e informe dell’esistenza, qualche immagine, momenti, poco o nulla, e avvicinarli tra loro senza un ordine definitivo per reinventare ogni volta la storia; disfarla ancora; darle infine la pace meritata del silenzio».
Per la prima foto, copyright: Helena Lopes su Unsplash.
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