Dazai Osamu, l’arte giapponese del racconto
La forma breve della narrativa si porta dietro un pregiudizio piuttosto tenace: stare s’un livello diverso o inferiore rispetto ai romanzi e di conseguenza ritenuta meno letta e meno spendibile sul mercato. Eppure, se pensiamo a certi racconti ben scritti, ciò che ci rimane impresso di più è proprio la bellezza contenuta in una trama ridotta, priva di fronzoli, e di quelle digressioni della struttura lunga che a volte rallentano la lettura; ancora, ci consente di volare meglio con la fantasia, immaginare ad esempio ulteriori scenari o leggere fra le righe del non-detto. Di casi nel vasto panorama letterario ce ne sono tanti. Basti pensare solo a Italo Calvino o a Raymond Carver, considerato da Murakami modello di scrittura, e Alice Ann Munro, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura nel 2013 proprio per essere «“maestra del racconto breve contemporaneo».
Questa considerazione, seppur essenziale, è in qualche modo calzante per introdurre la raccolta La studentessa e altri racconti di un importante scrittore giapponese della prima metà del Novecento, Dazai Osamu (dove Dazai è il cognome, che la tradizione orientale vuole anteposto al nome), morto suicida per annegamento nel 1948, dopo svariati tentativi e sempre con la donna “del momento”. L’uomo, dallo stile anticonformista, ha vissuto i suoi problemi familiari e suoi travagli interiori in un periodo di grande sconvolgimento sociale, politico e militare della sua Nazione.
L’opera in questione è stata pubblicata nello scorso aprile da Atmosphere libri, in una collana dedicata, tra le altre, agli asiatici; traduzione e postfazione affidate ad Alessandro Tardito. Inoltre, la presenza di un comitato scientifico e l’inserimento di avvertenze e note sull’uso della lingua e della civiltà nipponica restituiscono un testo molto ben curato.
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Il primo racconto, che dà il titolo, fu redatto nel 1938 in una fase di relativa serenità e ci porta sin dalle prime battute nel mondo di un’adolescente che scopre se stessa e gli altri un po’ per volta come «aprendo una scatola, solo per trovarci all’interno un’altra scatola». Orfana di padre, una sorella amata che ha lasciato la casa genitoriale per costruire il proprio nido, abita insieme alla madre, verso cui prova sentimenti contrastanti e da cui non si sente compresa. Una storia di formazione narrata in prima persona e in presa diretta. Vive – e chi legge con lei – tra il ricordo di un tenero passato di bambina quando c’era la figura paterna e troppe cose erano diverse e il presente, composto, come naturale che sia, da scuola e coetanei, che lei osserva e giudica in modo sardonico. Il futuro è lontano e la voglia di crescere in fretta è tanta, per «diventare più forte e pura, per non prendermela più per cose così insignificanti». Un flusso continuo di pensieri che rende quasi impossibile non condividere le emozioni e i turbamenti provati dalla ragazza.
«Quando torno in casa le luci sono già accese. È calmo. E papà non c’è. Avverto la sua assenza come un vuoto gigantesco che mi fa rabbrividire di sofferenza. Mi metto degli abiti tradizionali e do un bacetto alla rosa sulla biancheria che mi sono cambiata, e quando sento qualcuno scoppiare a ridere dal salotto, proprio quando mi siedo davanti allo specchio, mi arrabbio per qualche ragione. Quando siamo solo noi due, io e mamma, va tutto bene. Ma ogni volta che c’è qualcun altro mi sembra sempre così distante, così fredda e formale. Ed è in quei momenti che papà mi manca di più, che mi sento più triste».
Una piccola curiosità – parlando di giapponesi non dovrebbe stupire e gli appassionati, che in Italia sono numerosi, speriamo apprezzino – c’è l’anime ispirata a La studentessa e c’è pure quella ispirata al suo creatore, tutto “genio e sregolatezza”. Percorsi simili e in sintonia come le parole che fa dire alla giovane protagonista:
«Mi sono lasciata trasportare, così la mia testa e il mio petto sono via via diventati trasparenti, come se sopra di me fosse disceso il senso stesso della mia esistenza e senza fare rumore, docile come dei tokoroten prima che diventino spaghetti, mi sono sentita alla mercé di queste onde, con la leggera, splendida sensazione che avrei potuto continuare a vivere così».
Con i racconti successivi la struttura cambia e diventa fantastica o fiabesca, con una connotazione di saggezza orientale e il classico messaggio “morale” nell’epilogo. Il mare delle sirene o Bambù Blu sono abbastanza eloquenti in tal senso a partire dal titolo. Uno narra di un samurai conosciuto per l’onestà e il coraggio che salva la vita ai passeggeri della nave nella quale si trova, compreso il capitano, dalle malevole intenzioni di una sirena, bella e triste. L’ostacolo più grande che affronta però non è la battaglia con una creatura soprannaturale sulla cui reale esistenza la maggioranza delle persone nutre dei dubbi, ma è far riscoprire la fede a coloro che non ce l’hanno, dare pace a chi vede il male ovunque, resistere alle calunnie. Nell’altro, un uomo colto ma indigente – «Da sempre erudizione e povertà vanno a braccetto, chissà poi per quale motivo» dice l’autore con malcelata ironia – trova l’amore vero e assoluto al di fuori del matrimonio ma nella prospettiva dall’alto e non-umana dei corvi, e dove si sente finalmente riconosciuto e desiderato senza secondi fini o ipocrisie e a prescindere dal lavoro svolto o dalla quantità dei beni posseduti. Tale esperienza gli consentirà di comprendere, aiutato dalle massime diConfucio, che vivere significa superare le difficoltà e che lo studio è sì importante, ma non basta per superarle.
Un argomento analogo sprovvisto degli elementi ultraterreni lo ritroviamo in Una storia di onesta povertà in cui lo stesso Dazai si rivolge al pubblico per spiegare l’intento narrativo (e il suo ragionamento conferma quanto si è detto in premessa di articolo):
«Il racconto che segue è ispirato da una storia dei Racconti straordinari dello studio Liao. L’originale è di soli 1834 caratteri cinesi, che basterebbero appena a riempire quattro pagine e mezza dei fogli standard che usiamo in Giappone. È un racconto brevissimo, ma è in grado di evocare così tante immagini che il lettore prova la stessa soddisfazione che può ottenere con racconti di trenta o più pagine. Ciò che vorrei fare io è mettere nero su bianco tutte le circonvoluzioni che ha compiuto la mia mente mentre lo leggevo».
Nel terzo Sull’amore e la bellezza e nel sesto e ultimo Lanterne di una storia d’amore il discorso si fa più incantato e originale poiché vediamo manifestarsi in pieno la potenza immaginifica dell’artista, attraverso la quale egli crea, come scatole cinesi, non un semplice meta-racconto ma addirittura diversi racconti nel racconto, in base a chi narra. Soggetto principale è un nucleo familiare (lo stesso in entrambi) composto di nuovo solo dalla mamma e i figli, che stavolta sono cinque tra fratelli e sorelle. Tutti vengono descritti e analizzati nei dettagli della loro dimensione psicologica e dei tratti caratteriali. Accade che nei momenti di noia o quando le giornate sono uggiose si dilettino a raccontare a turno delle storie traendo ispirazione dai libri che leggono. Il primo decide soggetto e ambientazione e gli altri quattro continuano; in tal modo ognuno concorre con la propria inventiva a un’elaborazione differente. Da notare che tali rivisitazioni sono tratte da opere occidentali e vanno da Ibsen ai Fratelli Grimm, in particolare Raperonzolo, che risulta veramente piacevole e riuscita.
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Una scrittura primitiva e misteriosa, malinconica ed eterea quella di Dazai Osamu, come l’acqua presso cui si è lasciato andare via per sempre. Il filo rosso che accomuna le vicende riportate ne La studentessa e altri racconti abbiamo visto essere costituito dalla famiglia, alfa e omega di tutto. “Il treno” di Tolstoj con l’incipit più celebre della letteratura – «Le famiglie felici si rassomigliano tutte. Ogni famiglia infelice, invece, lo è a modo suo» – si è fermato anche nel Paese del Sol Levante. La fragilità dei sentimenti e dei legami di sangue in lotta perenne con il mondo esterno. Una lotta in cui nessuno sembra uscire vincitore.
Per la prima foto, copyright: Tianshu Liu su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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