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Dante e l’enigma della sua giovinezza nel nuovo romanzo di Matteo Strukul

Dante e l’enigma della sua giovinezza nel nuovo romanzo di Matteo StrukulDopo i Medici, una saga dedicata a sette grandi famiglie italiane e un romanzo dedicato a Michelangelo, Matteo Strukul torna in libreria per indagare la giovinezza di Dante.

E lo fa in Dante enigma (Newton Compton editori), in cui Strukul, uno dei più noti autori di romanzi storici in Italia, prova a sciogliere molti nodi che riguardano il Dante ventenne, il suo rapporto con Firenze e la guerra, la relazione con Beatrice e con la moglie Gemma Donati, fino ad arrivare ad aspetti più personali oltre a quelli legati alla formazione che poi lo portò a concepire il suo viaggio nell’aldilà.

Di tutto questo abbiamo parlato con Matteo Strukul.

 

Comincerei dal titolo, in modo da entrare subito nel vivo: perché Dante enigma? Di quale enigma si tratta?

L’enigma è rappresentato dalla vita del giovane Dante di cui sappiamo gran poco. Penso al periodo fra il 1288 e il 1290, quando il Sommo Poeta partecipò alla campagna militare fiorentino-aretina, in prima linea a Campaldino, come feditore, nel 1289 e poi anche a Caprona nel 1290. Proprio in quell’anno, nel 1290, perse per sempre la sua amata Beatrice. E quali sentimenti provava Dante nei confronti di sua moglie Gemma Donati che aveva dovuto sposare con un matrimonio imposto, come quasi sempre avveniva nel Medioevo? E cosa sappiamo del suo essere guerriero e cavaliere? E abbiamo idea di cosa fosse la letteratura del Viaggio all’Inferno? La Visio Pauli? La Visio Tnugdali? Cosa sappiamo davvero dell’amore di Dante per l’Eneide? Come mai il Sommo Poeta era soggetto a visioni e incubi? Soffriva di epilessia? Il romanzo prova a rispondere a tutti questi quesiti e a molti altri: racconta ad esempio di Ugolino della Gherardesca e di Buonconte da Montefeltro. Della morte per fame nella Torre della Muda del primo e delle gesta guerriere del secondo. Credo che anche per questo un personaggio come Dante eserciti ancora oggi un fascino pazzesco. Perché nella Commedia egli ha voluto raccontare un mondo, celando opportunamente molto di sé ma lasciando trapelare qualche traccia. Rileggendo da cima a fondo la Commedia e poi laVita Nova e il Trattatello in laude di Dante di Boccaccio – fra l’altro – ho provato a risolvere qualche enigma o magari, semplicemente, a vagliare qualche possibile spiegazione.

 

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Nella prima parte del libro, racconta di Dante durante l'estate del 1288, dunque quando il Nostro aveva poco più di venti anni. Perché ha scelto «L'inquietudine» come titolo? Di che inquietudine parliamo? E a quale dolore si riferisce nell'incipit?

L’Inquietudine è quella di Dante a Firenze, città azzannata dalla morsa ghibellina, stretta fra Pisa e Arezzo. Una guerra incombe e Dante ne è perfettamente consapevole. La battaglia di Campaldino sarà l’ultimo atto di un progressivo stillicidio di violenze e crudeltà che ridurranno la guelfa Firenze allo stremo. Vi è poi la frustrazione dettata da un matrimonio non voluto e da un amore impossibile. Quel senso di impotenza restituisce al cuore di Dante un dolore metallico. E il senso di maledizione sbrana una città che già culla la faida fra guelfi bianchi e neri: l’arena perfetta per un poeta che si prepara a diventare guerriero.

Dante e l’enigma della sua giovinezza nel nuovo romanzo di Matteo Strukul

Cosa l’ha spinta a concentrarsi sugli anni che vanno dal 1288 al 1293, lasciando fuori il periodo di composizione della Divina commedia?

Tantissimi hanno scritto del periodo della Commedia, ci sono ottimi libri in proposito e da sempre io mi guardo bene dall’affrontare i grandi personaggi con angolazioni consuete. I miei romanzi, invece, offrono sempre una prospettiva diversa e letteraria di quello che è un grande personaggio: dai Medici a Michelangelo. Non sono un saggista. Piuttosto, come un negromante, evoco lo spirito dei personaggi storici e provo a catturarne poche scintille da restituire a lettrici e lettori. Sento come autentica missione quella di portare la bellezza della Storia d’Italia e la grandezza dei suoi personaggi al mondo. La dimensione avventurosa è perfetta quando si ha a che fare con figure come Dante Alighieri e Lorenzo il Magnifico o come Caterina de’ Medici, Gemma Donati e Lucrezia Borgia. Mi piace sottolinearne il lato eroico e grandioso, quando c’è, quello dannato e diabolico, in altri casi, penso a Cesare Borgia. E, così facendo, mi faccio carico di raccontare la magnificenza dell’Italia anche in Paesi molto lontani dal nostro come la Colombia e la Corea del Sud, la Russia e i Paesi Arabi, provando a ricordare che non siamo solo mafia e criminalità organizzata anche se molti autori hanno perfino abusato, a mio giudizio, di questo tema. C’è molto lavoro da fare ma la bellezza della nostra Storia e della nostra Arte vincono su tutto: lettrici e lettori di ogni Paese adorano l’Italia. Con buona pace dei suoi detrattori. Per questo, in Dante enigma, insieme a Dante ho scelto di raccontare anche Giotto.

 

Nonostante con Dante enigma si concentri sul Medioevo, dopo i Medici ritorna a Firenze. Qual è il suo legame con questa città? E perché sembra affascinarla così tanto?

Il legame con Firenze è un legame storico. Direi atavico. Io sono di Padova. Padova e Firenze sono legate da figure come Cosimo de’ Medici che proprio a Padova venne esiliato. A Padova, Giotto affrescò la Cappella degli Scrovegni, il suo capolavoro assoluto, e sempre qui Donatello realizzò il monumento equestre al Gattamelata e l’altare del Santo con le sue stupefacenti sculture di bronzo. A Padova vi è la seconda più antica università d’Italia. Qui Galileo insegnò diciott’anni per poi raggiungere Firenze e la corte del granduca Cosimo II de’ Medici che gli affidò la cattedra a Pisa. Esiste un legame profondissimo fra queste due città. Mentre cavalcava verso Verona ci passò anche Dante Alighieri molto probabilmente. Quindi scrivere di Firenze per un padovano come me è del tutto naturale. Quanto al fascino… quale uomo sano di mente non è affascinato da Firenze?

Dante e l’enigma della sua giovinezza nel nuovo romanzo di Matteo Strukul

Quest’anno sono ricorsi i settecento anni dalla morte di Dante e, accanto alle celebrazioni ufficiali, non sono mancate campagne social anche informali. Si tratta solo di una partecipazione emotiva oppure è segno reale che Dante fa ancora presa sui lettori contemporanei?

Dante ha creato un’opera immortale, il più incredibile poema mai concepito. Non solo. Ci ha offerto una visione completa e travolgente del mondo medievale. Ha rivoluzionato il concetto di lingua e quello di scrittura, esercitando un’influenza culturale clamorosa nei sette secoli successivi alla sua morte a livello globale. C’è un lavoro quotidiano che i professori svolgono con passione e competenza nelle scuole di tutta Italia per preservare un simile patrimonio. Dalla letteratura al mondo dei videogame non si contano i successi planetari fondati sull’opera di Dante. Penso che da parte degli italiani ci sia la giusta partecipazione emotiva ma anche la consapevolezza di avere come padre fondatore della nostra cultura un gigante. Questa fortuna ce l’abbiamo solo noi. Cerchiamo di meritarcela, così come dovremmo cercare di meritarci d’essere – in qualche modo – i discendenti di Michelangelo, Caravaggio, Leonardo, Petrarca, Tintoretto, Goldoni e potrei continuare per giorni. Credo invece che tendiamo a dare troppo per scontata questa eredità ed è bello e importante che in occasioni speciali come questa ci sia la voglia, invece, di ricordare e celebrare, rendendo il giusto omaggio ai più grandi.

 

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Lei è uno dei più prolifici autori di romanzi storici in Italia. Può dirci qualcosa del suo metodo di ricerca e scrittura? Come procede?

Non si improvvisa un metodo del genere. Ci vuole una vita intera. Credo di aver maturato una capacità di selezione delle informazioni attraverso i miei studi universitari di giurisprudenza e le esperienze di dottorato e post-dottorato. Lo dico perché dalla infinita congerie di dati acquisiti con lo studio delle fonti poi il romanziere deve scegliere e distillare, per così dire, in modo da non annoiare le lettrici e i lettori. È un lavoro difficilissimo perché dopo aver raccolto un infinito numero di informazioni è necessario sintetizzarle così da mantenerne una minima parte. Il romanziere deve offrire quel mondo – medievale o rinascimentale che sia – in modo naturale al lettore. Come se egli stesse vivendo quell’epoca. Non può indulgere nelle pedanterie e nei didascalismi. Amo la Storia fin da quando ero bambino. Prima di scrivere i Medici ho studiato il Rinascimento per almeno dieci anni. Forse è per questo che gli autori di romanzi storici sono davvero pochi in Italia. Poi, personalmente, amo il taglio avventuroso ma considero i miei romanzi per quello che sono: letteratura. I miei riferimenti principali sono Dumas, De Balzac, Hugo, Schiller, Goethe, Tolstoj, Shakespeare, Marlowe, Milton, Manzoni, Eco, Vassalli, Manfredi.


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Per la prima foto: Henry James Holiday, Dante Alighieri, 1875 circa, Matita, acquerello e gomma arabica su carta, 49.5 x 63.5 cm, Collezione privata c/o Christie’s.

Per la terza foto, copyright: Marco Bergamaschi.

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