“Dannazione” di Chuck Palahniuk
L’inferno è sulla terra, ci dice Palahniuk, e non sarebbe chissà quale trovata se non fosse proprio lui a dircelo, se soprattutto non ce lo dicesse alla Palahniuk.
Le ambientazioni: i monti fumanti di cacca di cane, la distesa di funghi dei piedi che crescono incontrollati, la palude dei feti abortiti, il mare d’insetti, il lago di bile tiepida, il grande oceano di sperma sprecato. E’ lì che viaggia Madison, una tredicenne morta per overdose di marijuana, che quando si ritrova in una gabbia circondata da altre gabbie che ospitano improbabili compagni di sventura, decide di socializzare.
Perché lei espansiva lo è, pure testarda: deve trovare Satana in persona.
Se chiedi come mai la gente sia finita all’inferno, ti diranno che non hanno fatto attenzione ad attraversare la strada, o che hanno detto troppo volte la parola cazzo, o hanno fumato troppa marijuana. Nessuno è colpevole, almeno a una prima informazione. Nemmeno i vivi, quelli ancora sulla terra, si aspettano di fare quella fine, anzi non si aspettano proprio di morire.
“La morte è un Errore Enorme che nessuno di noi progetta mai di fare. Ecco perché il pane di crusca e le colonscopie. Ecco perché si prendono le vitamine e si fanno i pap test. No, voi no, voi non morirete mai, per questo adesso vi sentite tanto superiori a me. Be’, prego, fate pure. Continuate a spalmarvi creme solari e a palparvi in cerca di noduli. Non sarò certo io a rovinarvi la sorpresa”, dice Madison, che poi ai vivi ci parla pure. Perché quello che non sappiamo è che, ad esempio, i call center sono fisicamente all’inferno e quelli che ci propongono una nuova tariffa telefonica o l’olio extravergine o la polizza online sono in realtà morti. Come non sappiamo che i morti hanno un giorno di libera uscita la notte di Halloween: sono morti quelli che indossano le maschere horror.
Lingua, immagini, significati: il solito bravissimo Palahniuk, anche se il grottesco lascia spazio questa volta all’allegorico (inevitabile visto argomento e luogo).
Alcune annotazioni per definire qualche paletto:
a) dico “solito bravissimo” senza aver letto Pigmeo e Senza veli, che sono gli ultimi due prima di Dannazione, che hanno goduto di critica non buona; specificatamente, vengono ritenuti romanzi che segnano la parabola discendente della qualità dell’opera di Palahniuk. A proposito di Dannazione, è stato detto che l’autore “ritorna al livello delle prime opere”. Per questo dico “solito bravissimo”: perché chi ha amato Invisible Monsters, Fight Club, Diary, Survivor, Soffocare (Ninna Nanna lo metto un gradino sotto) - senz’altro apprezzerà Dannazione.
b) combatto da tempo contro la definizione cinico attribuita all’autore. Dal Devoto-Oli: cinismo, s.m., atteggiamento di ostentata indifferenza e disprezzo nei confronti di valori morali e sociali, da cuicinico èchi ostenta disprezzo o indifferenza nei confronti dei valori umano com. accettati dalla società in cui vive.
Non sono d’accordo: l’ostentazione del disprezzo - di sicuro non vi è mai tra le sue pagine indifferenza - esiste ma è secondaria a un processo primario cui forse per semplicità non si fa mai cenno: una specie di disincrostazione del pensiero comunemente accettato in funzione di un pensiero puro, logico, che narrativamente sfocia in un circostanziato iperrealismo (o brutalità, diciamo pure anche crudezza), che soltanto un riflesso emotivo e superficiale porta a definire semplicisticamente: cinismo.
Insisto per un motivo: cinico ha connotazione spregiativa ed è chiaramente inserito nella lista dei difetti; disincantato, invece, significa pienamente consapevole, attento a percepire l’intima essenza delle cose, sempre Devoto-Oli, la consapevolezza essendo invece da augurare e augurarci.
Questo per chi di questo autore non ha mai letto nulla: potrebbe essere interessante incominciare da quest’ultimo romanzo, che termina con “continua”, e che costituisce, a quel che si sa, la prima di una trilogia che farebbe ripercorrere all’americano le impronte di Dante Alighieri.
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