Daniele Sanzone e il suo “Camorra Sound”: «Non colpevolizziamo i neomelodici»
È arrivato nelle librerie Camorra Sound, un saggio firmato da Daniele Sanzone, componente della gruppo crossover rock originario di Scampia degli A67, che prova a indagare il rapporto tra musica e camorra. L’inchiesta parte dagli anni Settanta e arriva sino ai giorni nostri, ripercorrendo la storia della musica popolare napoletana, da Pino Mauro e Mario Merola,che hanno cantato e raccontato la camorra, simbolo di un’epoca e di una realtà ben precise, ai neomelodici. Lo studio ruota intorno a una domanda chiara che Sanzone si è posto all’inizio di questo viaggio, pubblicato con la piccola casa editrice milanese Magenes, su suggerimento di Pino Aprile: «Perché la “musica impegnata” non ha mai preso posizione contro?». Per trovare una risposta, Sanzone, cresciuto a Scampia, con una tesi di laurea in filosofia proprio sulla camorra, ha intervistato O Zulù (99 Posse), Raiz (Almamegretta), Edoardo Bennato, Caparezza, Giancarlo De Cataldo, Teresa De Sio, Dario Fo, Frankie Hi-ENG MC, provando ad aggiungere un tassello importante a un argomento che non smette mai di appassionare, ispirato dalla massima di Confucio «Se vuoi sapere se un popolo è ben governato, e se le sue leggi sono buone o cattive, esamina la musica che fa».
Che impressioni ha ricavato nel corso di queste interviste?
Questo lavoro è la naturale prosecuzione di quanto faccio con il mio gruppo. Ma ho ritenuto necessario approfondire la questione, pur nella duplice (e difficile) veste di osservatore e di osservato. Se la sceneggiata napoletana degli anni Settanta quasi ne faceva un’apologia, perché oggi puntiamo a colpevolizzare i neomelodici che parlano di camorra, forse anche con una punta di ingenuità? I neomelodici raccontano la loro realtà quotidiana, niente di più. Come ho raccontato anche a Radio2, durante la trasmissione Social Club condotta da Luca Barbarossa, ho scritto Camorra Sound dal momento che m’interessava capire perché la musica cosiddetta “colta”, “impegnata” non si era mai preoccupata di parlare di camorra, non aveva mai avvertito l’urgenza di raccontare di una guerra che fa 100 morti all’anno. Se mi passate il paragone, è come se un volontario, animato da buoni propositi, va in Africa per aiutare le popolazioni locali e poi lascia a casa la nonna che è ammalata e che ha bisogno. Non è una contraddizione, secondo voi?
E secondo lei, perché è successo questo? La “società civile” gira sempre più spesso la testa dall’altra parte…anche in musica?
Le concause sono tante in realtà e la mia non è invettiva contro qualcuno o contro il sistema. La mancanza di questa presa di posizione è stata determinata anche da un cambiamento delle urgenze della comunicazione, così come della società intera. È un problema che va analizzato e contestualizzato e non dimenticato. C’è bisogno della presa di coscienza di questa responsabilità.
C’è qualche dichiarazione che l’ha sorpresa?
Il quadro di questo saggio è molto ricco e variegato. Mi ha sorpreso l’onestà intellettuale di Frankie Hi ENG MC che mi ha confessato che probabilmente non avrebbe scritto Fight The Faida, se fosse nato a Palermo. Essere cresciuto fuori da certi schemi, gli ha reso più facile e meno preoccupante il compito.
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Ha conservato le stesse idee di quando ha iniziato?
Assolutamente no, anzi ho rimesso tutto in discussione perché le parole degli artisti e degli scrittori che ho intervistato hanno rimescolato le carte e le mie convinzioni iniziali. Il confronto mi ha chiarito tanti aspetti che non conoscevo e che con molta umiltà ho accettato. Forse pochi sanno, ad esempio, che la band de I Giganti, famosa negli anni Sessanta,aveva scritto una canzone sulla camorra. La questione, in sostanza, è talmente complessa che bisogna mettere insieme tasselli di storia, di sociologia, antropologia, di economia, di costume. Ed è comunque un fenomeno centrale della nostra società, tuttora in divenire che merita l’attenzione dell’opinione pubblica e non di essere relegato in un angolo.
Ha paura di non essere compreso o frainteso?
Ho voluto a tutti i costi che Camorra Sound fosse un saggio e non un racconto. La mia paura più grande era quella di non riuscire ad essere rigoroso nei confronti di una materia così delicata e importante.
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