Dal Romanzo Moderno al Romanzo Post-Moderno
Siamo finalmente arrivati a parlare di romanzo, che, data la natura del nostro blog, è l’argomento che ci premeva di più, quando abbiamo avviato questa rubrica. Il Romanzo Postmoderno. Iniziamo allora con una domanda e una precisazione. La domanda è: cos’è il romanzo postmoderno? La risposta più ovvia sembrerebbe: un romanzo scritto nell’epoca postmoderna. Inutile dire che non sarebbe quella giusta. A questo punto passiamo alla precisazione; la categoria di “Romanzo Postmoderno” indica una particolare tipologia di testo narrativo, contraddistinta da alcune caratteristiche peculiari. Come puntualizza Bran Nicol (Postmodern Fiction, Cambridge Press, 2009), non è un genere preciso, ma piuttosto «un’estetica, una sensibilità, un set di principi», sviluppatisi in narrativa attorno alla seconda metà del XX secolo. Noi tradurremo questi principi in aspetti letterari, in strumenti narrativi e in linee tematiche. Prima di tutto però ci fermeremo a fare un piccolo confronto tra il romanzo Postmoderno e il romanzo Moderno di fine Ottocento.
Stefano Calabresi ripercorre la strada che dal romanzo Moderno conduce a quello Postmoderno in tre tappe fondamentali. Tre perché tanti sono i modelli narratologici da prendere in esame. Il primo è quello in cui il romanzo tenta di ricreare l’equilibrio perduto tra l’individuo e il contesto sociale che lo circonda, come nel caso del Wilhelm Meister di Goethe o nei vari Bildungsroman. Il secondo modello è quello di Madame Bovary di Gustave Flaubert, in cui si verifica un esproprio del soggetto sotto la spinta delle pressioni sociali; il "romanzo totale" in cui la società è ancora spazio “globale” e strutturato secondo un ordine preciso - a questo secondo modello appartengono anche i romanzi veristi, in cui il narratore è costretto a eclissarsi per lasciare che i fatti possano narrarsi da soli. Il terzo modello prende forma all’inizio del Novecento, quando l’unico terreno dell’azione diventa invece il soggetto stesso, la sua psiche, il suo inconscio. Questo cammino ha quindi come momento essenziale il passaggio dal «romanzo totale», in cui è ancora forte la pretesa di inglobare la realtà all’interno del processo di scrittura, fino alla rinuncia a ogni ambizione totalizzante, alla rassegnazione a vivere di frammenti, all’attitudine a raggomitolarsi su se stessi, per giungere a comunicare ciò che probabilmente nessun lettore vorrebbe sentirsi dire, «l’impossibilità di scrivere un romanzo» (Stefano Calabresi, www.letteratura.global, Einaudi, 2005).
Il Romanzo Postmoderno – avrete capito ormai che non poteva che essere così – è il romanzo che ha resistito alla fine del romanzo, all’impossibilità di rinnovarsi all’infinito. È il tipo di romanzo in cui si tenta di dire qualcosa di nuovo quando ogni sentiero è stato battuto e ogni cosa è stata ormai detta. È il tipo di romanzo che rievoca le cose e il mondo, pur sapendo che tra la parola e le cose la distanza è incolmabile. Questa consapevolezza in particolar modo, fa da raccordo tra alcuni originali esiti modernisti di primo Novecento, da James Joyce a Franz Kafka, e i romanzi Postmoderni della seconda metà del Novecento. L’assunto di base è semplice, l’abbiamo già detto ma lo ripetiamo: la realtà è oggettivamente irrappresentabile. Il romanzo rinuncia definitivamente alla pretesa di riprodurre il reale e la sua complessità. Si accontenta di parlare del nulla, di ripercorrere la storia della letteratura o di tentare di comunicare ancora qualcosa, in una sorta di grande preterizione, proprio dichiarando di non volerla dire.
Gli aspetti essenziali di questo tipo di narrativa, volendo riassumerli brevemente, stanno nella considerazione auto-riflessiva del testo stesso sul proprio stato di artefatto estetico – il narratore interviene nel racconto, espone volutamente i meccanismi narrativi, si lascia scoprire nell’atto di raccontare una storia, scambia i punti di vista, rompe le convenzioni stilistiche; la critica implicita o esplicita all’approccio realista – il narratore manipola volutamente lo spazio e il tempo, confonde la realtà esteriore con quella interiore, altera il tempo della storia e quello del racconto, infrange le leggi naturali, crea realtà parallele; la tendenza a indirizzare l’attenzione del lettore sui processi di interpretazione del testo – il narratore chiama il lettore direttamente in causa, gli sottopone delle scelte, insinua dei dubbi, lascia degli spazi bianchi, degli interrogativi irrisolti, propone riflessioni metanarrative, riempie il racconto di citazioni, giochi colti, richiami letterari.
I romanzi postmoderni sono romanzi ironici, arditi, al loro interno si muovono riflessioni complesse, si articolano le problematiche più stringenti del mondo contemporaneo, si dàvoce a un disagio profondo, per certi versi risentito, che non ci azzardiamo a definire d’avanguardia, ma che con le avanguardie condivide una certa foga e un certo impeto, anche se smorzato e smussato, disincantato, più sardonico e beffardo. Leggendo tra le righe dei romanzi di Pynchon, DeLillo, Fowles, Barth, Barthelme, della Carter, di Perec, Robbe-Grillet, dell’ultimo Calvino, di Eco, ma anche di Ballard, Gibson, Easton Ellis, si individua una forte spinta innovatrice, una fortissima carica contestatrice, una rabbia profonda, una risata amara, ferita, laconica eppure ben nascosta, quasi simulata e divertita. Divertita al punto da apparire irridente. Sembrano romanzi dispersivi, disparati, distratti, eppure ci sono delle connessioni, delle tematiche di fondo e dei legami intimi, soprattutto per quanto riguarda gli autori e i romanzi anglo-americani – perché non ci dimentichiamo che i primi discorsi critici e le prime riflessioni sul Postmoderno nascono nell’ambiente anglo-americano, ovvero laddove le caratteristiche della Postmodernità si sono mostrate prima e con più forza che altrove.
Remo Ceserani, nel suo Raccontare il Postmoderno (Bollati Boringhieri, 1997), per trovare una guida all’interno della folta selva di tracce, sottotracce ed espedienti narrativi, propone delle mappe tematiche, dei «procedimenti rappresentativi appartenenti alle grandi categorie dell’esperienza». Anche qui lo schema è tripartito. In primo luogo a essere centrale nel Romanzo Postmoderno è il soggetto. Non più il soggetto alienato dei romanzi modernisti, ma un soggetto schizofrenico, diviso e lacerato, frammentato, divenuto simulacro di sé, costretto a saltare senza avviso dalla finzione alla realtà e dalla realtà alla finzione, non capace di esplorare e comprendere né il mondo, né la propria interiorità, spinto a cercarsi nelle immagini riflesse, nei doppi, nei fantasmi. La seconda categoria analizzata è quella del tempo e dello spazio; un tempo ridotto a eterno presente omnicomprensivo, in uno spazio immutabile eppure in costante mutazione, in città senza inizio né fine, in luoghi senza connotazione precisa, divenuti guazzabugli di frammenti scomposti. A questa analisi dello spazio e del tempo si collega infine la nuova percezione della natura – terza e ultima categoria tematica -, divenuta spazio antropologizzato, colonizzato e violentato dall’uomo, urbanistico e urbanizzato. È chiaro quindi come e quanto i romanzi postmoderni, lontani dalle categorie estetiche Moderne, e lungi anche dal disordine privo di raziocinio paventato da tanta critica, vivano e rispecchino la società e il contesto sociale e storico all’interno del quale vengono partoriti. Un contesto che ormai chiamiamo senza remore Postmoderno.
I lettori più attenti ricorderanno che, nel paragrafo introduttivo di questo pezzo si era parlato anche di un’analisi degli strumenti narrativi utilizzati nei romanzi postmoderni e noteranno quindi che l’attesa è stata fin qui tradita. Un gesto voluto. Ma solo perché ci piacerebbe rimandare il discorso alla prossima puntata, in cui parleremo di come si scrive e di come si legge un romanzo postmoderno, cercando di rendere più concreto il discorso con riferimenti ed esempi pratici.
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