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Da Leonardo a Michelangelo, quando il romanzo storico racconta l’arte

Da Leonardo a Michelangelo, quando il romanzo storico racconta l’arteI romanzi storici sono di nicchia. Sono fratelli minori della grande letteratura. Per chi la pensa così ecco una bella sfida per ricredersi: Il secolo dei giganti di Antonio Forcellino. Uscito per HarperCollins Italia, siamo arrivati al secondo volume che, dopo Il cavallo di bronzo, narra Il colosso di marmo. Dopo Leonardo, Forcellino si addentra nella vita di Michelangelo permettendoci di scoprire un uomo eccezionale iscritto in un tessuto politico, culturale e sociale che definisce i suoi tempi. Nasce così un viaggio in un mondo di cui nessuno ci ha mai raccontato nulla a scuola, nei libri di storia dell’arte o nei programmi televisivi dedicati all’argomento.

Il secondo volume si apre con Michelangelo appena rientrato a Firenze dopo la permanenza a Roma, della quale ci è stato raccontato nel primo libro, e la situazione politica è molto cambiata. Non c’è più un certo frate, più cattolico dello stesso papa, che si aggira per le piazze terrorizzando gli infedeli, ma anche i fedeli. A dare lavoro a Michelangelo è un certo Niccolò Machiavelli che gli illustra le sue richieste per la città di Firenze.

Mentre Michelangelo coglie i dettagli che renderanno il futuro David il grande David, anche Leonardo sta facendo ritorno a Firenze. Ha il cuore spezzato perché gli è stato distrutto il lavoro decennale che lo aveva portato a voler realizzare un’opera incredibile. Un cavallo in bronzo in un pezzo unico. In mezzo, troviamo anche un giovane Raffaello, ma a lui verrà dedicato un volume a parte.

 

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A leggere Forcellino si ha la sensazione che la differenza fondamentale tra la gente comune e il genio è la grandezza di pensiero di quest’ultimo, delle sue ambizioni, dei suoi progetti. Come se la realtà non potesse contenere confini nell’abbracciare la sua idea. Non c’è nulla di assurdo. Se non esiste ancora, è soltanto perché non ancora realizzato.

In occasione dell’uscita del secondo volume de Il secolo dei giganti. Il colosso di marmo, Antonio Forcellino ha svelato qualche dettaglio che si cela dietro la stesura del suo romanzo.

Da Leonardo a Michelangelo, quando il romanzo storico racconta l’arte

La prima domanda che vorrei porle è una curiosità. Cosa l’ha spinta a dedicarsi alla scrittura di un romanzo storico?

L’idea mi è venuta per caso. Ho scritto diversi saggi su Leonardo, su Michelangelo, su Raffaello e mi sono reso conto che mi sarebbe piaciuto poter raccontare la storia ampliando l’orizzonte.

Come si suol dire, per capire un uomo, bisogna guardare tre generazioni che lo hanno preceduto.

Ero impegnato nella stesura di una sceneggiatura per una serie televisiva che non so se prenderà mai vita, visto che le logiche dei format sono molto rigide, ed è stato lì che mi sono reso conto che volevo raccontare la verità.

Ammetto che scrivere questi libri è stato utile, prima di tutto, a me. Amo il periodo e mettere nero su bianco una passione con cui convivo da quarant’anni è stato un esercizio importante per me.

 

Lei racconta la storia dell’arte da un altro punto di vista rispetto a quello canonico con cui siamo abituati sin dai banchi di scuola…

L’arte, per me, è come una macchina del tempo utile per capire la società. Alcuni guardano con un certo snobismo verso il romanzo storico, eppure le persone sono la storia, sono un risultato storico.

I restauratori, per esempio, lo sanno bene. Per loro, un’opera non è solo un’opera d’arte, una forma, ma è anche un oggetto che ha richiesto fatica, sudore, lavoro. Tutte le grandi opere nascondono dietro i segreti della loro realizzazione, che è sempre un duro lavoro.

 

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Ha dedicato diversi volumi di saggistica al periodo e ai grandi geni rinascimentali, prima di dedicarsi alla narrativa. Quali difficoltà ha incontrato nel secondo approccio, quello dello scrittore?

Parto dal presupposto che un certo tipo di narrativa sia superiore alla saggistica. Specie se si pensa alla storia dell’arte dove, se non si spiega la realtà, l’esercizio critico rimane appunto un esercizio. Non si può capire molto dal mettere in fila le immagini di chi ha influenzato un determinato artista. In questo senso, la letteratura può portare più avanti la comprensione della realtà, se è una letteratura onesta.

Da Leonardo a Michelangelo, quando il romanzo storico racconta l’arte

Leonardo, ma anche Michelangelo e per certi versi, sebbene un po’ meno, Raffaello ci dimostrano che il genio emerge nonostante tutto, nonostante i mezzi scarsi, nonostante le condizioni avverse…

È una questione di cui mi parlano in molti. Si è più liberi fuori dagli schemi dell’istruzione? Sì, in un certo senso, senza un’educazione a dirigere le proprie attitudini si può sperimentare di più. Ma quello che manca è la struttura, la struttura che solo gli studi possono dare. Infatti, Leonardo studia, per esempio vuole conoscere il latino.

La cosa migliore sarebbe ovviamente avere entrambe, libertà ed educazione, ma è complicato.

Di certo non si può fermare la creatività, cioè la forza della mente.

Io stesso provengo da una famiglia modesta, da genitori poco istruiti, per cui ho avuto un’infanzia libera nell’amalfitano, con pochi impegni scolastici, ed è proprio per questo che penso sia importante acquisire gli strumenti, la struttura. Serve la mediazione.

Leonardo è stato il più libero dall’istruzione, per così dire. Michelangelo aveva alle spalle il buon nome della famiglia da riscattare, Raffaello, invece, era un po’ l’intellettuale del suo tempo, proveniente da una famiglia istruita.

 

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A chi dei tre geni di cui racconta si sente più vicino?

A Raffaello, decisamente. Mi sento poco compreso come Raffaello. Tra l’altro, la sua pittura mi sembra ancor più inarrivabile di quella di Leonardo.

Da Leonardo a Michelangelo, quando il romanzo storico racconta l’arte

Un secolo dei giganti, dice il titolo, ed effettivamente è così. Dal punto di vista politico, artistico, culturale. C’è stato un altro periodo con un’altrettanta concentrazione di menti geniali nella storia dell’umanità?

Forse nel 1860 a Parigi abbiamo qualcosa di simile, ma ha avuto meno conseguenze sulla storia futura di quanto ne abbia avuto il Rinascimento.

 

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La conoscenza senza coinvolgimento emotivo è incompleta, dice in un’intervista. Può commentare questo pensiero?

Nella conoscenza si mette in gioco il proprio coinvolgimento emotivo. Fintanto che rimane fredda, non si va avanti.

Quando ho deciso di scrivere di Leonardo, ovviamente, era difficile dire qualcosa di nuovo su di lui, eppure il mio lavoro è stato tradotto in inglese e ricevuto con entusiasmo dalla critica americana.

Non riuscivo però a spiegare la sua infanzia. Allora mi sono reso conto che è solo una questione di come si guarda alla vita dell’artista. Mi sono immedesimato. È così che ho compreso il valore che ha assunto la carta per Leonardo, per esempio, che egli considerava come una proiezione della propria anima. Mi sono chiesto quindi cosa potesse provare un bambino rifiutato, com’era crescere ai margini?

La storia dell’arte non è una scienza, anzi è ridicolo pensarla una scienza. La letteratura è più onesta. Pensiamo a Tolstoj e alle guerre napoleoniche.

 

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Ha già in cantiere il terzo volume?

Il terzo e anche il quarto. Mi sono reso conto, nello scrivere, che mi serviva più tempo, più spazio per dire tutto. Sono quarant’anni che studio l’argomento e, nel momento in cui ho iniziato a scrivere il primo volume, attraversavo un periodo delicato, mi sentivo emotivamente provato. Mi sono chiuso in casa per un mese e l’ho scritto. A luglio 2017. Ho mandato la bozza del romanzo al mio agente e quello che credevo una bozza era già un romanzo.

Certe volte, a rileggere, mi commuovo da solo. Infatti, scrivere è stato terapeutico per me.

Il terzo sarà pronto per settembre e ho già in cantiere il quarto, ci sono ancora molte zone d’ombra inesplorate e di cui vorrei parlare, come per esempio, il Sacco di Roma.


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