“Cuore di tenebra” e “Apocalypse now”: le due facce dell'orrore
Iniziamo dalla fine: «L'orrore... l'orrore».
Un Marlon Brando insanguinato e morente ripete queste due parole prima di spirare.
Sono le stesse che escono dalla bocca di Kurtz, il personaggio letterario di Cuore di tenebra, romanzo di Joseph Conrad. Ma, come spesso accade negli adattamenti cinematografici, il finale viene rivisitato.
Nel film girato da Francis Ford Coppola, coadiuvato alla sceneggiatura dal giornalista di guerra Michael Herr e da John Milius (regista, tra gli altri, di Un mercoledì da leoni), la scena è il preludio alla venuta di un nuovo dio da venerare: il Capitano Willard (Martin Sheen), portata a termine la sua missione, osserva dall'alto la folla di indigeni che si inchina e poi, pian piano, si apre al suo passaggio.
Nel testo originario, Marlow (il marinaio che fa da narratore) assiste alla morte naturale di un già debilitato Kurtz; una volta di fronte alla fidanzata di quest'ultimo, non avrà il coraggio di svelarle la vera natura dell'amato e lei continuerà a serbarne il ricordo di un uomo buono e senza macchia.
Finali diversi, dunque, nei quali, da una parte (Cuore di tenebra), Kurtz accetta di intraprendere il viaggio sul battello verso il ritorno, mentre dall'altra (Apocalypse now), attraverso un magniloquente discorso di Marlon Brando, invoca d’essere ucciso piuttosto che essere giudicato. In entrambi i casi, però, Kurtz, prima ancora di essere un uomo di spiccato carisma che diventa onnipotente, è un efficace strumento del colonialismo occidentale; rimane, infatti, quella terribile frase sui suoi appunti: «Sterminateli tutti», rivolta all'indirizzo della popolazione locale.
Neanche le differenze di ambientazione, contesto storico e sociale cambiano l'esito, che siano l'Africa nera e il commercio britannico d'avorio di fine Ottocento raccontati nel romanzo, oppure gli sconquassati Paesi del Vietnam e della Cambogia durante l'infinito conflitto con gli americani mostrati nella pellicola.
C'è una discesa lungo un fiume che pare conduca agli inferi, e c’è Conrad che ci porta in una giungla abbandonata dal mondo eppure ricca di fascino misterioso («Il limitare di una giungla colossale, di un verde così scuro da sembrare quasi nero, orlato dal bianco della risacca, correva dritto, come tracciato con la riga, lontano, lontano lungo un mare azzurro il cui scintillio era offuscato da una foschia strisciante»); c'è Kurtz, un uomo notevole («Lui aveva qualcosa da dire. E lo disse»), un magnifico oratore, un “genio universale” («È l'emissario della pietà, della scienza, del progresso e il diavolo sa di quante altre cose»), un estremista, uno al quale non si parla ma che sarebbe preferibile ascoltare; ci sono morte, follia e menzogna che si mescolano fino a diventare un'unica cosa («Nella menzogna c'è un odore di morte, di corruzione della carne, che mi ricorda ciò che mi fa più orrore al mondo e che cerco di dimenticare»). Ci sono anche il volto imbrattato di Martin Sheen che esce dalle acque paludose e quello di Marlon Brando che lentamente buca l'oscurità, Coppola e Storaro che fanno una fugace comparsata (come membri di una troupe televisiva), Robert Duvall che imperturbabile vuole praticare il surf in mezzo ai bombardamenti, il fotoreporter Dennis Hopper che riconosce la potenza visionaria di Kurtz («La sua mente è lucidissima, ma la sua anima è matta»), Harrison Ford in una piccola parte e un giovanissimo Laurence Fishburne (sarà Morpheus nella saga di Matrix); ci sono The end dei Doors (geniale cominciare il film con quella canzone) e la Cavalcata delle valchirie di Wagner (che sottolinea la notissima scena dei bombardamenti, con la musica “sparata” ad alto volume dagli amplificatori montati sugli aerei). E poi ancora Kurtz, «ombra più tenebrosa dell'ombra della notte», e l'insieme di dubbi e ripensamenti che lascia in chi lo ha incontrato («Marlow tacque e rimase seduto in disparte, indistinto e silenzioso, nella posa di un Budda in meditazione»). Infine l'orrore, ancora lui che ritorna. L'orrore.
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