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“C.U.B.A.M.S.C. Con Una Bomba A Mano Sul Cuore” di Marco Cubeddu

C.U.B.A.M.S.C. Con una bomba a mano sul cuoreC’è da qualche tempo una diatriba, tra le molte, che mi sembra particolarmente presente e viva, ovvero: nel nostro Paese, c’è bisogno o meno di nuove narrazioni, diverse? Domanda da un milione di dollari o, forse più probabilmente, un falso problema. Casomai, ci sarebbe bisogno di nuovi, e più “veri”, narratori.

E uno come Marco Cubeddu narratore lo è, senza possibilità di ulteriori smentite. Lo si può comprendere sin dalle prime pagine del suo romanzo d’esordio, C.U.B.A.M.S.C Con Una Bomba A Mano Sul Cuore, edito da Mondadori. Fatto salvo il titolo chilometrico, con la sigla a lettere puntate, che fa molto sms pre-linguistico, siamo di fronte a un romanzo decisamente, e inequivocabilmente, bello. Tanto tradizionale, e se vogliamo pure reazionario, l’innesco narrativo, con una strategia di codice di accreditamento del reale che non avrebbe sfigurato in pieno Ottocento, quanto scostanti, sgarbati, unfair le tematiche affrontate nei numerosi episodi che si susseguono senza soluzione di continuità.

La storia vede al centro tale Alessandro Spera, ipotetico scrittore italiano di grande fama, scomparso da molti anni, volatilizzatosi dopo un fattaccio, il cosiddetto “massacro di Barcellona”, da Spera stesso organizzato e commesso. Quando però arriva tra le mani di un avvocato, il celebre V.V. (anche lui puntato) un pacco contenente il manoscritto-confessione di Spera, allora può prendere le mosse una “biografia criminale” del tutto inattendibile e allo stesso tempo più che plausibile. Non una «agiografia assolutoria» ma una sorta di analisi anatomopatologica. Non una confessione vera e propria, e più una ricerca di razionalizzazione. Come Vespa, ma per fortuna più piacevole, e senza plastico.

Se c’è un difetto da rintracciare, nell’ampia e sapiente orchestrazione narrativa di Cubeddu, questo sta proprio nella variegatura della focalizzazione, per cui ci sentiamo a un tempo più e meno vicini alla “testa” di Alessandro, mentre si rende protagonista, sin dalla più tenera età, di scorribande delle più diverse. In tal modo, il rischio è, a lungo andare, che si stenda sulla narrazione come una patina, figlia di un narratore troppo ingerente. Per fortuna, a scongiurare l’analogia con Manzoni, ci pensa una scrittura davvero incisiva, all’insegna della continua variazione, che ben rende conto della necessaria, ineludibile, frammentarietà del progetto narrativo.

Dunque, tornando alla fatidica domanda di cui all’inizio: non importa chi, ma come. Quando poi, questo come è in grado di farti assaporare la piacevolezza di una ventata fresca, allora bisogna darne atto. Alessandro Spera è una figura ambigua, della magnifica ambiguità dei personaggi letterari in qualche modo importanti e che si fanno ricordare. A metà fra una figura di intellettuale tardo-sinistrorso, che però ammira Berlusconi, e la follia di un John McAfee, Spera è un narratore che ha imparato a non dire più la verità, e così è riuscito a pervenire a una realtà più alta ancora, quella del cuore che, come sappiamo, è “ingannevole più di ogni altra cosa”.

Il volume di Cubeddu è una piacevole sorpresa, tanto per l’età del narratore quanto per le vicende messe in scena e per la forte attenzione al presente, che non guasta mai, sopratutto se, come in questo caso, non è trattata da spunto per un pamphlet travestito da romanzo.

Sembrerebbe proprio incoraggiante, osservare una nuova e arrembante generazione che sa dire qualcosa di diverso, e in modo differente. Del resto, quale migliore occasione per venire allo scoperto, di questo tempo, oggi più che mai “devastato e vile”.

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